SUL CONCETTO DI DEMOCRAZIA IV

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Un caso controverso ma sintomatico della temperie politico-culturale europea  nei primi decenni del Novecento è quello rappresentato dal sociologo tedesco Robert Michels (Colonia, 1876 – Roma,  1936): allievo di Max Weber entrò nel Partito Socialdemocratico di Germania e fece parte della corrente anarco-sindacalista; dovette per questo abbandonare la carriera accademica in patria ma trovò accoglienza in Italia ed ottenne cattedra  nelle università  di Torino e di Perugia. Nel suo saggio Sociologia del partito politico (1912) sostiene che persino nel partito socialdemocratico la democrazia è inesistente perché comandano i gruppi dirigenti e che ove c’è organizzazione c’è oligarchia in quanto è l’organizzazione stessa che la produce. E’ questa “la legge ferrea dell’oligarchia”, cioè la legge secondo la quale nelle organizzazioni politiche e sindacali, la direzione e la rappresentanza vengono monopolizzate da una oligarchia di politici di professione, di fatto insostituibili a causa delle loro competenze esclusive. Michels, preparando il terreno alle teorie delle élites , elaborò la tesi secondo la quale il fenomeno del professionismo politico e sindacale derivasse dalle crescenti necessità organizzative dei partiti e dei sindacati operai che richiedeva la prestazione continuativa e specializzata di funzionari e dirigenti. Deluso dal movimento socialista di cui constatava l’inconciliabilità tra la corrente massimalista e quella riformista, nell’ultima parte della sua vita aderì al fascismo e nei suoi ultimi scritti esaltò Benito Mussolini, scorgendo in lui la figura del capo carismatico delineata da Max Weber. Quanto alla democrazia, sia pure rappresentativa, se risulta inattuabile persino all’interno dei partiti socialisti, come potrà mai realizzarsi e concretizzarsi nella società di massa? E poi le masse non chiedono libertà e potere ma sicurezza e svaghi, lo si è visto nel periodo tra le due guerre mondiali del Novecento con l’affermarsi dei totalitarismi, che sono il contrario della democrazia, almeno su questo punto non ci sono discussioni.

Si discute invece e si continua a discutere, ad esempio, sulla natura del fascismo e sul suo significato storico, e può succedere che si discuta senza avere le idee chiare in proposito, ragione per cui è opportuno chiarire,  che, come scrive Umberto Eco: “Il fascismo fu certamente una dittatura, ma non era compiutamente totalitario, non tanto per la sua mitezza, quanto per la debolezza filosofica della sua ideologia. Al contrario di ciò che si pensa comunemente, il fascismo italiano non aveva una sua filosofia. L’articolo sul fascismo firmato da Mussolini per l’Enciclopedia Treccani fu scritto o venne fondamentalmente ispirato da Giovanni Gentile, ma rifletteva una visione tardo hegeliana dello ‘stato etico e assoluto’ che Mussolini non realizzò mai completamente. Mussolini non aveva nessuna filosofia: aveva solo una retorica. Cominciò come ateo militante, per poi firmare il concordato con la Chiesa e simpatizzare coi vescovi che benedivano i gagliardetti.

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Nei suoi primi anni anticlericali, secondo una plausibile leggenda, chiese una volta a Dio di fulminarlo sul posto, per provare la sua esistenza. Dio era evidentemente distratto…Il fascismo degli inizi era repubblicano e spravvisse per vent’anni proclamando la sua lealtà alla famiglia reale, permettendo a  un ‘duce’ di tirare avanti sottobraccio a un ‘re’ cui offerse anche il titolo di ‘imperatore’. Ma quando nel 1943 il re licenziò Mussolini, il partito riapparve due mesi dopo , con l’aiuto dei tedeschi, sotto la bandiera di una repubblica ‘sociale’, riciclando la sua vecchia partitura rivoluzionaria, arricchita di accentuazioni quasi giacobine”. Come si vede il fascismo è una specie di ircocervo o un’idra dalle molte teste, in ogni caso qualcosa di mostruoso, una bestia feroce che ha divorato migliaia  di giovani italiani mandati a morire invano sui vari fronti di guerra. Quella bestia è morta, ma non è morto il ventre che l’ha generata.

Per questo giustamente Umberto Eco ci mette in guardia contro quello che chiama l’ “Ur-Fascismo” o “Fascismo eterno”: “Ritengo sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di questo ‘Fascismo eterno’. Tra le quattordici indicate da Eco ne trascrivo solo una, la settima: ”A coloro che sono privi di una qualunque identità sociale, l’Ur-Fascismo dice che il loro unico privilegio è il più comune di tutti, quello di essere nati nello stesso paese. E’ questa l’origine del ‘nazionalismo’. Inoltre, gli unici che possono fornire una identità alla nazione sono i nemici. Così, alla radice della psicologia Ur-Fascista vi è l’ossessione del complotto, possibilmente internazionale. I seguaci devono sentirsi assediati. Il modo più facile per far emergere un complotto è quello di fare appello alla xenofobia. Ma il complotto deve venire anche dall’interno: gli ebrei sono di solito l’obiettivo migliore, in quanto presentano il vantaggio di essere al tempo stesso dentro e fuori”. Per questo l’antifascismo ha ancora un senso: Mussolini è morto ma non sono morti i suoi ammiratori e l”Ur-Fascismo è ancora intorno a noi.

Fulvio Sguerso

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