Crisi della sinistra o scomparsa della destra?

Giuseppe Prezzolini

Tre, trentatre o trecentotrentatre che siano le destre – Prezzolini docet – questo governo non ne rappresenta nemmeno una; governo che, del resto, tutto rappresenta fuorché l’Italia e gli italiani. È passato un secolo da quando lo stesso Prezzolini dichiarava, ingenerosamente, che l’Italia era un Paese governato da imbecilli che si credevano Machiavelli; ma c’è da credere che fosse dotato di poteri divinatori e confondesse il suo col nostro presente. Nei luoghi comuni c’è sempre un fondo di verità se la loro origine è spontanea; non è così per quelli costruiti a tavolino e imposti attraverso media controllati dall’alto.

Sotto questo aspetto l’annus horribilis che ci ha appena lasciato è stato particolarmente prolifico, sulla guerra, sui vaccini e infine  sulla crisi della sinistra, per quello che il termine può significare. Intendiamoci: che il Partito Democratico se la passi male è indubitabile ma che questo significhi che si sia imboccata la strada che porta a liberarci del pensiero unico, del conformismo, dell’ipocrisia, della subornazione della pubblica opinione, di tutto ciò che è connotabile come “di sinistra” è mera illusione.

Se mi guardo intorno sono costretto a concludere che è vero esattamente il contrario: mai come ora la sinistra ha permeato di sé le istituzioni, la politica, il mondo accademico e tutti gli strumenti di controllo sulla società civile. Piuttosto, se devo stare al gioco e inserire nella tavola dei contrari sinistra vs destra trovo molto più fondato riconoscere che, almeno in Italia, non c’è più traccia di destra, comunque la si intenda. Nel passato la ripartizione parlamentare fra destra e sinistra (e, nei decenni immediatamente successivi all’unificazione nazionale, l’ “estrema”) era concettualmente e politicamente abbastanza fondata, e il suo fondamento dava un senso agli spostamenti da un settore all’altro, come quello compiuto da Cavour e più tardi in modo teatrale da D’Annunzio e dava altresì conto del trasformismo.  Ma ora che dopo essersi appuntati sul petto la difesa della sovranità nazionale  ci si appiccica come una ventosa all’alleanza atlantica, non si ventila nemmeno l’ipotesi, magari remota, di recuperare il controllo sulla moneta e di restituire alla banca d’Italia il suo ruolo originario,  ora che si piagnucola se l’Europa ci lascia soli e indifesi di fronte alle Ong e dopo essersi eretti ad argine contro l’invadenza islamica e avere solennemente annunciato l’arresto dell’immigrazione clandestina si spalancano i porti e si sragiona di flussi regolamentati  come se ci fosse bisogno di spacciatori, prostitute, accattoni o manodopera priva di qualsiasi qualifica; quando ci si accanisce contro il ceto medio, spina dorsale del Paese, per concedere mance ai poveri e privilegi ai ricchi, si deride il merito confinandolo in un’etichetta appiccicata al ministero dell’istruzione, ci si adopera per alzare le pensioni minime – quelle di chi non ha mai lavorato,  lo ha fatto in nero e ha evaso il fisco o ha vissuto di attività criminali –  comprimendo quelle di chi ha lavorato una vita per una vecchiaia decorosa a quale destra si fa riferimento?

Nessun cenno a una scuola che potenzi le capacità cognitive,  che insegni a imparare, che rimetta al centro il latino negli indirizzi propedeutici alle facoltà umanistiche mediche  giuridiche ed economico sociali, che riporti la storia patria in tutti gli ordini di scuola; nessun cenno  al riordino e potenziamento dell’istruzione tecnica e professionale fino all’alta formazione,  in ottemperanza al principio generale per il quale l’unico modo per garantire la dignità del lavoro, oltre ad una retribuzione adeguata, è la competenza. Questa è l’alternativa alla concezione dolciastra, permissiva, inclusiva, accogliente della scuola-parcheggio della sinistra, quella sinistra che prospera nell’ignoranza, nell’appiattimento delle coscienze, nel conformismo. Nessuna traccia di politica sociale che smantelli il regime timocratico creato dalla sinistra e dai sindacati, liberi il dinamismo interno alla società civile e restituisca  ai lavoratori la forza contrattuale della professionalità, non della pseudo tutela sindacale.

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Nessuna traccia di politica sociale che metta fine alle storture create negli ultimi cinquanta anni di malgoverno per cui un ferroviere guadagna il doppio di un professore di liceo, il direttore di una Asl quattro volte più di un chirurgo, il preside di una scuola meno di un tenente dell’esercito, per non dire degli assurdi privilegi di magistrati e dirigenti degli enti territoriali frutto di una micidiale miscela di stupidità e corruzione. Nessuna sentore di una politica economica che senza velleità autarchiche o proclami da imbonitore  sostenga la produzione agricola e industriale nazionale smascherando il falso made in italy, scoraggiando la delocalizzazione, impedendo  lo spostamento delle sedi fiscali all’estero che consente a una buona parte dell’imprenditoria di succhiare ricchezza invece di produrla;  nessuna intenzione di sorreggere l’economia nazionale con una politica estera autorevole e capace di guardare oltre i vincoli contingenti delle attuali alleanze, ivi compresa la comunità europea. E  in compenso nel polverone della riforma della giustizia si smarriscono gli interessi veri di cittadini che pretendono il pieno riconoscimento della sacralità della proprietà privata, la tutela della sicurezza personale, l’intangibilità della propria abitazione, il diritto di vivere la propria città in qualunque ora del giorno e della notte, di muoversi  sulle strade e di viaggiare sui mezzi pubblici con assoluta tranquillità e vivaddio l’applicazione del principio dell’uguaglianza di fronte alla legge, che impone agli stranieri quantomeno gli stessi obblighi dei cittadini italiani.

Che siano tre, trentatre  o trecentotrentatre le destre per ognuna di esse sono questi i fronti sui quali si combatte la sinistra, la plutocrazia, il pensiero unico liberticida. E guai lasciarsi invischiare sul terreno dei cosiddetti diritti invocati dal partito radicale di massa sotteso a tutte le formazioni politiche di regime: la vita privata deve rimanere inaccessibile allo Stato finché non vengono consumati reati, e non ci possono essere leggi che  limitano la libertà dei singoli, le cui scelte di vita sono insindacabili. Padrone lo Stato di tutelare la maternità ma non di combattere l’aborto, che è cosa che riguarda esclusivamente la donna, padrone di difendere la salute pubblica ma non di impedire alla gente di fumare, di ubriacarsi o di fare qualunque cosa che non rappresenti un pericolo per gli altri o di obbligarla a vaccinarsi quando il vaccinato è contagioso esattamente quanto il non vaccinato; e padrone anche chiunque – e ci mancherebbe altro – di togliersi la vita. Insomma  chi ha buona memoria ricorda il vecchio Msi che si opponeva al divorzio prima e all’aborto dopo: questa era ed è l’ipocrisia della cosiddetta destra simmetrica all’ipocrisia della sinistra, espressione di un’ideologia liberticida che con la tradizione liberale non ha niente a che vedere. Al conformismo e alla retorica non si contrappongono conformismo e retorica di segno diverso ma un pensiero libero, critico, se vogliamo anche trasgressivo, perfino sgradevole o impopolare ma orientato dalla stella polare del rispetto dell’altro e della separazione fra pubblico e privato. E di questo  non c’è traccia nell’ambizione smodata e senza basi della Meloni, nell’infantilismo politico di Salvini, in quel – poco – che rimane della lucidità di Berlusconi.

Pierfranco Lisorini

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