Una considerazione riguardo l’Inferno

 

Quante volte si nomina l’Inferno nella Bibbia?
Neanche una.
Quante i preti nelle loro omelie?
Un’infinità.

Detto questo, sappiamo che nella struttura e nel contesto del cristianesimo esso è largamente presente.
Anzi, lo si potrebbe ritenere basilare, nel senso che se si dovesse dare una definizione della Chiesa e delle sue strutture portanti, farlo senza inserire l’idea di Inferno presenterebbe un quadro manchevole; privo di un elemento, cioè, che ha larghissimamente e profondamente condizionato la vita dei singoli, delle istituzioni e dei processi storico-politico e socio-artistici per molti secoli.

Allora viene naturale chiedersi come sia possibile che a un “luogo-concetto” mai nominato si sia concessa una dose di invadenza e di radicamento nella catechesi e nella quotidianità tale da condurlo, a cominciare da quando per la prima volta in epoca tardo-antica la Patristica lo ha introdotto e via via corroborato, fino ai nostri giorni senza che praticamente patisse smottamenti o incrinature.  
L’Inferno, pertanto, quale fatto indiscutibile e scontato; espressione geografica delle eternamente infiammate viscere del mondo, che Dante ha consolidato e divulgato secondo una visione suo malgrado antropologica, del tutto in linea col concetto feuerbachiano di un uomo ( qui inteso nel senso allargato di umanità ) che crea Dio ( con il milieu teologico necessario allo scopo ), il quale a sua volta in una triangolazione di rimando, crea l’uomo.

Ma dove può trovare appoggio una simile catechesi di per sé ingiustificata?
Sheol, Geenna, Ade, Inferi, Tartaro, inopinatamente ( a volte per superficialità, a volte per perseguire un piano dottrinale ) sono stati interpretati come Inferno, nonostante abbiano un loro significato specifico che ad esso non è congruente. 
Si aggiunga la problematica della traduzione, anche questa gestita spesso con intenzioni non del tutto disinteressate, che nel passaggio dall’ebraico al greco, dal greco al latino e dal latino alle varie lingue nazionali, ha rappresentato un ulteriore inevitabile aggravio per la comprensione corretta della Scrittura. Perché, per quanto si voglia agire in modo fedele, non si può mai dimenticare che “tradurre è tradire”.
Si constata dunque con un approfondimento linguistico-lessicale che i termini utilizzati nell’Antico e nel Nuovo Testamento non hanno una accettabile corrispondenza col concetto di Inferno così come ci viene presentato dal cristianesimo ( cattolico, protestante, ortodosso, copto, maronita etc. ),
e si constata altresì la gran confusione che deriva dal tradurre lo stesso versetto in modi diversi nelle varie edizioni della stessa Bibbia cristiana.
Si veda per esempio l’edizione CEI del 1974 la quale in Luca 16, 23 usa il termine “inferno” (con la minuscola), mentre per lo stesso versetto l’edizione della Bibbia Concordata del 1982 usa il termine “Ade” (con la maiuscola), che chi ha studiato il mondo greco sa benissimo trattarsi di tutt’altra cosa. E’ allora inevitabile che si ingeneri nel fedele, o anche nel semplice lettore, una notevole confusione, la quale di frequente lo induce a rinunciare a una lettura consapevole e critica, nonostante la questione non sia di dettaglio, e arrivi a sconfinare dal linguistico all’esistenziale, e potenzialmente ( non da sola, bisogna precisarlo ) a far vacillare l’idea di aldilà elaborata nei secoli dalla Chiesa; talché oggigiorno molti teologi, filosofi, vescovi nonché lo stesso papa, la hanno riveduta o la stanno rivedendo.    
Tuttavia, senza legare il discorso del sisma che con scosse sempre più ravvicinate sta scuotendo un concetto così assorbito dalla comunità dei fedeli fino a rappresentare per una gran parte di essi un dogma ( cosa che in realtà non è ) al fattore lessicale, vi è un’idea che pare abbia la forza per superarlo. Nel senso di bastare, da sola, a mettere decisamente in discussione, arrivando eventualmente a negarlo, il concetto di Inferno così come finora senza contraddittorio è stato presentato, o, per dir meglio, visto che non vi erano ragioni che lo giustificassero, inculcato.
Essa nasce dalla difficoltà di pensare Dio nel  ruolo ( metaforizziamo grossolanamente per rendere l’idea ) del titolare di un dicastero economico. La Chiesa, ritenendo che egli non sappia o non possa ( ! ) graduare la tassazione dei sudditi individualmente e con precisione infinitesimale, lo immagina creare degli scaglioni con relative aliquote.
Ecco, con il concetto di Inferno fino ad ora avallato dal cristianesimo, si fa passare, senza ovviamente ammetterlo, il messaggio che Dio non sarebbe in grado di far pagare il dovuto secondo la giusta progressione se non per il Purgatorio. Cioè solo fino a un certo grado di colpa.
Dopodiché cambierebbe criterio valutando una colpa commessa da umani, ovvero da esseri finiti, come meritevole di una pena infinita…
Ne consegue che tra il maggior  peccatore  delle anime purganti e il minor peccatore delle anime dannate, debba scattare l’aliquota: il primo stazionerà nel Regno di Mezzo per un tempo lunghissimo, e tuttavia non infinito; il secondo, che è appena al di là della linea ideale di demarcazione, sarà sanzionato con una pena eterna.
Se non ci si arrivasse con considerazioni logiche e teologiche, non sarebbe il caso di rivedere, per mutarla o eliminarla, l’idea di Inferno lasciandosi guidare dal senso del ridicolo? 

Fulvio Baldoino

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