Il degrado della democrazia rappresentativa

Si sente dire con crescente frequenza che i genitori delle vittime di due efferati delitti sarebbero in procinto di candidarsi alle prossime elezioni europee nelle liste dei due maggiori partiti di maggioranza e di opposizione. Non so se in una posizione utile per essere eletti o solo per dare lustro alla lista e raccogliere qualche consenso in più grazie alla loro involontaria popolarità. Nel primo caso sarebbe un’ulteriore prova dell’abisso in cui è caduta la politica, e di conseguenza la democrazia; nel secondo la conferma della mancanza di una autentica coscienza civica e della perdita del senso della rappresentanza da parte degli elettori. Una cosa orribile in entrambi i casi.

Una cosa orribile perché chi viene eletto per rappresentare gli interessi degli elettori e del Paese deve avere le competenze giuste per farlo:  detesto i mestieranti della politica ma per quanti danni facciano più danni di loro li fanno i dilettanti della politica; che poi l’elettorato si orienti sulla base della notorietà comunque acquisita e non per una motivata fiducia  nei candidati, nelle loro idee, nel loro spessore etico e intellettuale rivela la sua incapacità di svolgere  una funzione di controllo e di stimolo. Il passaggio diretto dalla società civile alla politica è giustificato solo nel caso di portatori di professionalità e prestigio eccezionali in grado di dare corpo e sostanza alle proposte politiche: francamente non mi pare il caso di un giocatore di pallone o di una anziana cantante o di un biologo che ha saputo cavalcare l’onda del Covid.

E questo vale soprattutto dopo la riforma che ha dimezzato il numero dei parlamentari. Un provvedimento demagogico, al quale sarebbe stato di gran lunga preferibile il drastico ridimensionamento delle indennità, un provvedimento che di fatto toglie a una parte significativa della società il diritto di essere rappresentata ma che ha comunque il merito di avere sfoltito il numero dei peones, cioè dei deputati e dei senatori che servono solo a far numero. Ora, infatti, è più precisa la responsabilità dei singoli rappresentanti del popolo e sarebbe auspicabile che ciascuno di loro pur nell’ambito del mandato ricevuto e dei vincoli di partito potesse esercitare una funzione di filtro rispetto alle posizioni di volta in volta assunte da maggioranza e opposizione. Se al di là del cerchio ristretto dei maggiorenti c’è il vuoto si dà loro carta bianca e tanto varrebbe fare a meno del parlamento.

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Quindi, ripeto, sarebbe auspicabile e anche realizzabile che i seggi in parlamento fossero occupati da persone all’altezza del ruolo che ricoprono; ma come stanno le cose? Detto in soldoni: se dentro FI ci fosse stato un cospicuo numero di persone intelligenti, preparate e convinte dei principi che hanno ispirato la nascita e segnato la storia del partito di Berlusconi e lo stesso mutatis mutandis fosse accaduto nella Lega non sarebbe stato così automatico consegnare la guida del Paese alla signora Meloni e al gruppetto di amici e familiari che si è portata dietro: si sarebbe tornati a votare.  E quand’anche si avesse voluto evitare di rompere la coalizione e si avesse avuto paura di nuove elezioni una volta formato il governo non sarebbe stata così scontata e convinta la partecipazione dell’Italia alla guerra per procura contro la Russia né sarebbero stati consentiti un atlantismo ridotto ad acritica identificazione con Biden e chi gli sta dietro o il melenso europeismo suggellato dal gemellaggio fra la nostra presidente del Consiglio e la presidente della Commissione europea. E se nella maggioranza ci fossero state  persone con la schiena dritta  ci sarebbe stata una sollevazione quando la Meloni cominciò a vantarsi del successo dell’Italia destinataria della maggiore quantità dei fondi del Pnrr, dei quali, tutta giuliva disse che avremmo speso fino all’ultimo centesimo: una cosa raccapricciante, una zavorra per il Paese, un disastro finanziario molto peggiore del bonus edilizio, che quanto meno  qualche posto di lavoro l’ha creato e per quanto erogato in modo dissennato ha migliorato l’aspetto delle nostre città. Il Pnrr è stato ed è un enorme e irrazionale spreco di denaro privo d’impatto sull’economia reale e un rompicapo per dirigenti costretti a scervellarsi nella ricerca di progetti sui quali indirizzare quei fondi, pena il commissariamento.  E nessuno lo sapeva fra i parlamentari di Lega e Forza Italia che, anche senza il Mes, il Pnrr sarebbe stato solo un cappio per l’Italia e un’ipoteca sul suo futuro?  Ma per fare da filtro, per puntare i piedi, per far valere un punto di vista alternativo ci vuole spessore politico, culturale, etico unito alla consapevolezza delle proprie capacità e al sostegno degli elettori. Utopia, forse, ma di sicuro è di persone così che la democrazia ha bisogno, non di personaggi celebri. Sempre che di democrazia si possa parlare.

Se poi prevale l’idea che considerato il livello di chi ci sta dentro un seggio in parlamento può essere elargito a chiunque come premio o risarcimento si deve riconoscere che Guglielmo Giannini aveva visto giusto nella sua rappresentazione dell’italiano medio  liberato dal regime fascista. Una rassegnazione che somiglia alla sindrome di Stoccolma, il non rendersi conto di essere schiacciati  n una morsa dai detentori del potere politico, culturale, mediatico; eppure per liberarsi basterebbe riappropriarsi  della sovranità, che non si riduce al rito  della cabina elettorale. Non c’è altro modo per sottrarsi a quella morsa e riconquistare libertà e dignità: rifiutarsi di riconoscere come normale la condizione attuale, aggregarsi, non chiudersi nel proprio privato ma riconoscersi e ritrovarsi – e la rete può essere uno strumento formidabile – e porsi come obbiettivo quello di costringere il parlamento a rispettare la propria natura, che non è quella di  un circolo di privilegiati il cui accesso è regolato dai vertici dei partiti.

Detto questo, pur escludendo che vengano loro attribuiti ruoli politici, è comprensibile che quando si tratta di vicende con forte impatto sociale i superstiti di tragedie collettive o i familiari delle vittime acquistino una sorta di valore simbolico ma nell’associazionismo interno alla società civile che sconfina nella politica senza identificarsi con essa, a patto che ci si guardi dal sospetto proliferare di sigle dietro le quali agiscono personaggi ambigui che lucrano sull’ingenuità e sul dolore del prossimo. Questo vale per le vicende suscettibili di una interpretazione politica, che si tratti di un ponte crollato, di un pestaggio in questura o in carcere, delle morti sul lavoro o sulle strade o della mancanza di sicurezza.  Giusto e opportuno che la società civile, sia pure per compartimenti stagni, faccia sentire la sua voce per indurre gli organi dello Stato ad adempiere alle proprie funzioni. Non è normale che le istituzioni si limitino a contare i morti sulle strade, non è normale che riducano al rango di microcriminalità gli stupri e le rapine, non è normale che non si muova foglia per arginare la presenza criminogena degli stranieri; ma ci sono tragedie che non hanno un significato sociale e non si possono tradurre in progetto politico o in provvedimenti legislativi.

Tragedie che restano chiuse nell’ambito del privato, che si concludono sul piano endopsichico e sono di interesse squisitamente psicopatologico.

Daniela Di Maggio

Sarò più esplicito: se una ragazza – ma potrebbe capitare anche a un maschio – si imbatte in un soggetto psicopatico e stabilisce con lui un rapporto di coppia ogni tentativo di spostare il focus sul piano sociologico è arbitrario e fuorviante. Lo psicopatico può essere in apparenza perfettamente normale, è un simulatore con una maschera che solo dopo che si è stabilito il legame si abbassa repentinamente o gradualmente per rivelarne la vera natura. Non ho nessuna intenzione di giudicare le persone vicine alla ragazza che non hanno percepito il pericolo che correva ma mi ripugna l’idea che in suo nome pretendano di farsi interpreti e promotori di una crociata contro la violenza del maschio, svilita per di più per la contaminazione con le battaglie, si fa per dire, di una parte politica a corto di idee e di programmi.

Gino Cecchettin

Pertanto, tornando all’inizio, nessuna delle due vicende – il massacro del giovane musicista ad opera del branco – e la morte della povera Giulia – deve essere il viatico per l’ingresso in politica della madre del primo o del padre della seconda ma ci tengo a rimarcarne la differenza.  La prima, infatti, ha una fortissima valenza sociale e se diventa l’occasione per un intervento deciso dello Stato  contro le bande di giovani e giovanissimi stranieri di seconda generazione ben venga la testimonianza della madre;  il secondo è una terribile tragedia privata e non può che rimanere tale.

p.s.

Nel buio pesto della politica vedo qualche spiraglio di luce: voci fuori dal coro, anche stonate ma non importa, da Vannacci a Bandecchi,  da Santoro a De Luca (troppo fievole quella di Rizzo), il cigolio dei trattori che mi auguro non si fermino e dalla destra radicale  un  meraviglioso striscione: “Basta con la guerra alla Russia!”.

Pierfranco Lisorini

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