Partiti che litigano sul nulla in un regime privo di opposizione

Alla fine della più squallida e insensata campagna elettorale della storia repubblicana si andrà finalmente al voto archiviando una legislatura che ne ha viste letteralmente di tutti i colori. Comunque vada dal prossimo parlamento non mi aspetto nulla di buono: mi basta che non faccia rimpiangere quello che lo ha preceduto. Di sicuro questa nostra “festa della democrazia”, come qualcuno stucchevolmente chiama il ritorno alle urne, è tutto fuorché l’espressione della volontà popolare.

Esattamente il contrario: è la prova provata dello iato incolmabile che si è creato in Italia fra società civile e politica – il che significa che non c’è traccia di democrazia – nonché della perdita di sovranità del nostri Paese. Se, infatti, fino al secolo scorso ci si poteva illudere che l’Italia, per libera scelta e convenienza politica, fosse un alleato fedele degli Stati uniti, fedele ma con ampi margini di manovra, ora è chiaro che è solo un satellite nel quale la “classe dirigente” è filtrata e istruita oltre Atlantico e i governanti sono burattini manovrati dalla Casa Bianca. L’ha capito la Meloni, che non sarà un’aquila ma è una donna scaltra, che si è affrettata a sdraiarsi ai piedi dello zio Sam, per il quale ora lei o Letta pari sono, burattini perfettamente intercambiabili. Intercambiabili e con la consegna di  menarsi fendenti in un finto duello che serve solo a creare un artificioso dualismo per allontanare dal recinto del potere qualsiasi elemento di disturbo. Gli elettori italiani sono così costretti a scegliere fra due opposti che si identificano dopo essere stati inondati da un fiume di baggianate, dalle trovate autolesionistiche del Pd (fantastica quella degna dell’antica Sparta dell’obbligatorietà dell’asilo nido) al saltibeccare della flat tax (alternativamente al quindici o al ventitré per cento,  ora per tutti, ora per mal definiti redditi medi o medio bassi, ora fino a sessantamila euro lordi, anzi, no, fino a centomila,  per singolo  contribuente, poi contrordine, per  famiglia:  invito al divorzio!)  fino alle farneticazioni sul nucleare (una faccenda che può interessare chi non è ancora nato) e all’autonomia energetica, senza dimenticare le pensioni minime (di chi non ha mai lavorato) a mille euro netti, che una bella fetta di chi lavora se li sogna.

Meloni e Letta

Sui problemi seri e dirimenti, sulle scelte che segneranno il futuro prossimo dell’Italia, silenzio. Si è arrivati al punto che il solo sospetto che l’adesione al pensiero unico dettato da Washington sia poco convinta  si trasforma in un anatema da cui mettersi al riparo:  “putiniano io?” sbotta col suo faccione da pesce bollito il leader leghista “ho solo sussurrato che forse le sanzioni fanno più male a noi che ai russi, ma non lo pensavo davvero…e non lo dirò più”. E circola senza smentite la voce che il Copasir vigila per scovare e schedare chi si azzarda a esprimere valutazioni sul conflitto ucraino che sgarrano da quel pensiero unico.

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La libertà di espressione è finita sulla luna insieme al cervello – e al pudore – di politici, giornalisti e opinion maker. In una democrazia autentica ci si sarebbe scontrati, anche duramente, su problemi reali e drammatici come le sanzioni alla Russia, la valutazione delle cause del conflitto, la posizione dell’Ue. E non per il gusto di contrapporsi ma perché nemmeno il più spudorato mentitore può negare che l’opinione pubblica italiana, il popolo il italiano, su queste questioni – come sulla politica sanitaria, su Draghi e il suo governo – è, a dir poco, diviso: basta guardarsi intorno per constatare che fra gli elettori storici del Pd come fra quelli di Forza Italia o della Lega, per non dire dei Cinquestelle, sono in tanti ad essere disorientati perché non si sentono più rappresentati e se non cambiano partito è solo perché non trovano altre sponde che non siano gruppuscoli verosimilmente bloccati dallo sbarramento al 3%.
E se una quota significativa, che sia maggioritaria o no è irrilevante, dell’opinione pubblica, del commune sentire e degli interessi di un Paese non ha una rappresentanza politica non si parli di democrazia. Queste elezioni, questa campagna elettorale, questo ceto politico dimostrano in modo lampante che di democrazia in Italia non c’è traccia.
Mi si potrebbe obbiettare: se è vero che sull’Italia si aggira il fantasma di un “partito che non esiste” (come scriveva un collaboratore di questi Trucioli), un partito sul quale si riverserebbero decine di milioni di italiani scontenti e sfiduciati, che cosa impedisce a quel fantasma di materializzarsi? Purtroppo, o per fortuna, ne è passata di acqua sotto i ponti da quando un buon oratore e buoni argomenti potevano mobilitare le folle; sono cambiati le modalità di aggregazione, le strutture organizzative, i processi di formazione di leadership e i canali di comunicazione. Fiammate come quella triestina o l’assalto alla Cgil a si spengono subito e invece di agevolarlo bloccano il processo di aggregazione. Che oggi non può fare a meno di altri catalizzatori, a cominciare da una rete territoriale sulla quale transitino messaggi semplici diretti e univoci, una rete che richiede uno sforzo organizzativo e un impegno finanziario insostenibili senza il coinvolgimento  dei ceti produttivi; ci vuole tempo, denaro e meno galli in un pollaio in cui oltre a Rizzo (che si è schiantato su una battuta stupida e infelice), razzolano in troppi, da Paragone a Ingroia alla Donato. Intanto la Meloni sta raccogliendo suffragi destinati a quel partito che non c’è grazie all’appoggio subliminale (ma a tratti anche esplicito) dei media e dei cosiddetti poteri forti, alla mancanza di coraggio di Salvini, all’afasia della destra extraparlamentare e nonostante la sua personale pochezza, l’assenza di un serio progetto politico, l’impresentabilità del suo partito.

E mentre la campagna di disinformazione sistematica e di manipolazione dell’opinione pubblica dà il peggio di sé con l’orribile attentato  in cui è rimasta vittima Darya Dugina, sui giornali di destra si vedono gli effetti della trazione FdI: se nelle prime pagine dei giornaloni campeggia la foto dell’assassina, e i lettori, sia pure dietro il velo dei condizionali, sono messi in grado di vedere il vero volto del regime il Kiev – una cricca criminale che ha ereditato il peggio del nazismo e del comunismo: l’ipocrisia, l’efferatezza, il terrorismo -, per trovarne traccia su Libero, sul Tempo, sul Giornale e sulla stessa Verità ci vuole la lente di ingrandimento e si trova solo un trafiletto su quello della famiglia Berlusconi: una notiziola minimizzante e ambigua più di quella riportata dalla Stampa. E intanto rimbalzano le parole di  Faraone, che per prepararsi alla trasmissione della Gentili si era frettolosamente documentato sul filosofo bollato come l’ideologo di Putin appuntandosi citazioni da far seguire alle rituali parole di  condanna dell’attentato.  Citazioni per insinuare che se l’era voluta e meritata, e se per colpire il padre è saltata per aria la figlia, pazienza, tanto più che anche lei si era spesa in difesa della sua Patria e indirettamente di Putin.  Nadia Nicolaievna, ottantatreenne portinaia di San Pietroburgo è avvisata: ce n’è anche per lei.

La leader finlandese Sanna Marin ad una festa

A farmi guardare con maggiore indulgenza alle magagne della nostra politica ci ha però pensato il capo del governo finnico, la signora che ha barattato l’ingresso nella Nato – fortissimamente voluto dall’amico americano – con la vita dei rifugiati curdi. Ripresa in un paio di occasioni in atteggiamenti incompatibili col ruolo che ricopre se l’è cavata affermando: 1) di essersi sottoposta con esito negativo ad un test tossicologico – che significa che quando lo ha effettuato non aveva cocaina nel sangue (excusatio non petita…); 2) di non aver fatto niente che non potesse confessare a suo marito.   Chi scrive non è di certo un moralista ed è convinto che la vita privata è sacra e inviolabile: semmai è infastidito dalla politicizzazione e dall’esibizione delle inclinazioni sessuali. Ma è anche consapevole che un personaggio pubblico o un rappresentante delle istituzioni nel momento in cui con la carica che riveste beneficia del prestigio, e degli emolumenti, ad essa associati si fa anche carico delle limitazioni che essa comporta. Un primo ministro come un semplice prefetto o il preside di una scuola sono tenuti a mantenere anche nella loro sfera privata un contegno che li metta al riparo dal ridicolo e dai pettegolezzi perché per loro il confine fra la vita privata è ruolo pubblico non è così netto come quello di un comune cittadino.

Silvio Berlusconi

Trovo rivoltante che gli stessi che hanno massacrato Berlusconi per le sue “cene eleganti”, quel Berlusconi che per altro non ha mai perso il suo aplomb nemmeno quando raccontava barzellette, gli stessi che pretendevano che Salvini uscisse dalla scena politica perché un suo collaboratore si intratteneva con giovanotti adusi a quelle stesse pratiche che nel programma elettorale della sinistra sono non solo legittimate ma addirittura incoraggiate, si indignino se qualcuno osa storcere la bocca di fronte all’immagine della signora Sanna Marin abbarbicata al suo compagno di ballo. “È una donna giovane e bella, ha tutto il diritto di divertirsi”, si è spinto a scrivere uno di quei severissimi giudici di Berlusconi o di Salvini. Per lui i meno giovani e con aspetto meno gradevole sono soggetti a norme comportamentali più severe, come quelle che in Italia sono imposte ai dipendenti pubblici, per non dire dei militari. Lo ripeto: non sono un moralista;  ma se quella vispa Teresa in camicetta bianca che svolazza fra vassalli valvassori e valvassini dell’Ue dovesse scivolare sulla buccia di banana della sua disinvolta e divertita concezione  del potere tanto meglio: quel che non gli perdono non sono le frequentazioni e gli amplessi ma l’essersi prestata a fare strame degli accordi internazionali che dopo l’implosione dell’Urss garantivano un cuscinetto di Stati neutrali fra la Nato e la nuova Russia libera dal bolscevismo.

Pierfranco Lisorini

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One thought on “Partiti che litigano sul nulla in un regime privo di opposizione”

  1. Egr.Professore Lisorini
    Come al solito i suoi articoli sono scevri da ogni condizionamento esterno.
    Condivido le sue riflessioni , che naturalmente non rispettano la regola fondamentale dei giorni nostri, quella cioe’ che a ogni costo bisogna essere “ politically correct”
    Silvio Rossi

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