Nessun Cessate il Fuoco neanche dopo la Strage del pane

Il Governo israeliano alla domanda dei giornalisti se con più di 30.000 morti palestinesi, di cui circa un 70% bambini e donne, e con tanti orfani e disabili a conseguenza del conflitto, non sia il caso di fermarsi e di acconsentire ad un Cessate il Fuoco, risponde che le ostilità si fermeranno solo quando tutti gli appartenenti ad Hamas saranno catturati o uccisi, perché agire diversamente significherebbe non mettere in sicurezza i cittadini israeliani.

Il fatto è però che molti tra gli appartenenti ad Hamas sono all’estero ed è da là che fanno pervenire ordini e direttive, e quindi se anche Israele procedesse alla distruzione di quell’ultimo lembo della Striscia  che finora è stato in qualche misura risparmiato, non potrebbero essere eliminati.

Alla luce di ciò, se la frase di Ehud Olmert, ex Primo Ministro israeliano secondo cui “le vite e il benessere degli abitanti di Sderot [sobborgo ebraico oltre il Muro] sono più importanti della morte di decine di palestinesi innocenti” è agghiacciante, l’espressione che rappresenta la risposta di Netanyahu al quesito sul Cessate il Fuoco, ovvero “prima dobbiamo finire il lavoro”, oltre a non esserlo di meno è anche una contraddizione nei termini, nel senso che perseguire un fine irraggiungibile comporta che non vengano posti limiti temporali né alla guerra, né alla ulteriore espansione di insediamenti nei territori occupati. Sempre in nome della sicurezza, come ha già precisato il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich; che insieme al ministro dell’Integrazione Ofir Sofer ha altresì predisposto un piano per sovvenzionare nuovi arrivi dall’estero di persone che volessero fermarsi e iniziare una vita da coloni nei territori occupati.

A questo punto, cioè dopo aver preso atto di idee come quelle di Olmert, ci si dovrebbe chiedere perché i gazawi nel gennaio del 2006 abbiano in maggioranza votato per Hamas.
Per crearsi un problema che non avevano, offrendo così un insperato pretesto?
O piuttosto perché avevano constatato che le loro richieste ( suffragate da numerosissime Risoluzioni ONU ) non venivano nemmeno considerate e avevano compreso che non lo sarebbero state mai, per cui lasciare le cose così com’erano avrebbe corrisposto ad accettare che l’illegalità israeliana potesse impunemente perpetrarsi?

In altre parole ( e tenuto conto che molti sono coloro i quali imputano a Netanyahu di aver per calcolo politico volutamente favorito un’organizzazione integralista come Hamas al fine di indebolire la meno radicale Fatah, salvo poi farsi sfuggire la situazione di mano ) ci si deve chiedere: “Senza Hamas ora avremmo uno Stato palestinese comprensivo dei territori occupati dagli insediamenti?”
E anche: “Quelle illegalità che Israele non ha eliminato prima della nascita di Hamas nel 1987, e nemmeno senza Hamas al Governo a Gaza prima del 2006, perché dovrebbe eliminarle ora e solo a condizione che Hamas non ci sia più?”
Domande che sorgono perché certe affermazioni del Governo israeliano paiono non poggiare da nessuna parte se non nel bisogno di giustificazioni rispetto a quello che a mano a mano, a causa della decisione di bombardare la Striscia di Gaza e insieme di privarla di cibo, acqua, elettricità, strade, scuole, ospedali, connessioni internet e telefoniche (cosa, quest’ultima, solo in apparenza secondaria, perché, un esempio per tutti, la prima cosa che un sopravvissuto vorrebbe fare di fronte alla sua casa crollata, è di provare a sapere se i suoi cari sono vivi o morti, o se sono schiacciati sotto qualche pilastro e hanno bisogno di essere estratti dalle macerie) assume agli occhi del mondo sempre più le fattezze di quel genocidio per il quale deve pronunciarsi la Corte Internazionale di Giustizia.
E’ probabilmente sempre per trovare giustificazioni che il 6 marzo, Susanna Nirenstein sulle colonne di “Repubblica” ha insistito nel dire che il pogrom di Hamas del 7 ottobre ha “decapitato neonati”, anche se ormai nessuno, a cominciare da chi aveva divulgato la notizia e dallo Stato maggiore dell’IDF, lo sostiene più.
Eppure c’è da credere che proprio lo Stato Maggiore approfitterebbe volentieri per ribadire l’orrore di quel fatto. Ma la mancanza di prove glielo impedisce.
Altrimenti avrebbe cercato di fare come per la vicenda più recente e ancora poco chiara nella sua dinamica della cosiddetta “Strage del pane” del 29 febbraio scorso, con il terribile bilancio di oltre 115 morti e più di 700 feriti, in cui ha tentato di sostenere che se i soldati della IDF per difendersi da una folla disperata e disarmata che si stava avvicinando troppo sono stati costretti a sparare, lo hanno fatto mirando solo alle gambe.
I corpi con fori di proiettili alla testa e alla gola lo hanno smentito.

Fulvio Baldoino

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