L’ovvietà che paga e l’ovvietà che si paga

La Meloni e Borghi  alle prese col truismo

Nell’anno della beatificazione di Matteotti anche la nipote, sulla scia di tutta la stampa democratica, ha voluto testimoniare la palingenesi dell’erede del Msi, che riconoscendo pubblicamente che il deputato socialista fu massacrato da una squadraccia  di fascisti avrebbe rotto un presunto secolare tabù della sua famiglia politica. Una svolta decisiva: fino ad ora gli italiani che non si riconoscono nei canoni della sinistra erano convinti che Matteotti si fosse preso a bastonate da solo per poi andare a nascondere il suo cadavere in un posto appartato.

Meloni e Borghi

Insomma: la nostra – ahinoi –  premier ha scoperto un’evidenza che nessuno, dai giorni del delitto fino ad oggi, si è mai sognato di mettere in dubbio. Mussolini stesso fece chiudere il circolo fascista al quale appartenevano alcuni membri del commando prontamente identificati e arrestati e il quotidiano fiorentino considerato il covo degli altri teppisti dové chiudere le pubblicazioni per disposizione prefettizia. Per aver riconosciuto un incontrovertibile dato di fatto la creatura di Fini è stata sommersa di lodi, apprezzamenti, attestati di stima da dritta e da manca.  Li avrei capiti, non condivisi, se avesse detto – mentendo –  che Matteotti è stato una vittima del regime o che fu ucciso per ordine del Duce; ma non l’ha fatto: ha solo riconosciuto che chi l’ha ucciso era fascista. Che scoperta! Ma c’è sempre un motivo, come insegna il vecchio Leibniz: non ci si può spingere fino a rischiare di perdere il consenso del proprio elettorato originario, che va addomesticato un po’ alla volta.  Tempo al tempo: vedremo che si allineerà all’establishment politico culturale del Paese che sul caso Matteotti ha sempre spostato  l’attenzione dal colpevole, quel Dumini che aveva agito in perfetta autonomia, al presunto mandante: così si evita di spiegare come mai quel colpevole, reo confesso di aver organizzato l’agguato, non solo non è incappato nei processi sommari celebrati dai tribunali del popolo nel nord liberato ma ha potuto vivere la sua vita molto più tranquillamente nel dopoguerra – è morto  nel 1967 per un infarto – che durante il regime che lo avrebbe assoldato. E mentre col passare degli anni Matteotti, che anche da morto era detestato dai comunisti,  fagocitato dalla retorica resistenziale è finito per diventare un’icona della sinistra  la squadraccia che lo aveva rapito e ammazzato è diventata un’astrazione, un’ipostasi del regime, senza nomi e senza volti. Un caso strano di scotomizzazione dell’omicida e di enfatizzazione della vittima.

Meloni La Russa Mattarella https://www.ilfoglio.it/

Tutto fa brodo per aprire alla Meloni la porta del tempio della democrazia di rito atlantista. Lei e i suoi compari beneficiano di questo nuovo aggiornamento lessicale del politicamente corretto: il suo partito non è più l’erede del vecchio Msi di Almirante e Romualdi,  non è fascismo neofascismo o post-fascismo ma una destra moderna e illuminata che guarda ai dem americani in attesa di prendere ufficialmente il posto della sinistra. Questo per compagni non significa ammainare la bandiera dell’antifascismo, ci mancherebbe;  quella bandiera alla bisogna è sempre utile per coprire le pudenda.  Ma si trova  un’altra destra, quella cattiva, un’ultra destra pericolosa, eversiva, da tenere a bada, quella di Salvini, ed è contro questa destra che si dovrà mobilitare la parte sana del Paese che custodisce  il sacro fuoco della resistenza e dell’antifascismo ora e sempre. D’ora in poi la destra fascista è quella. E se la storia dice altro, se la Lega nasce da una costola del Pci? Il fascismo è una categoria dello spirito, si risponde, non della cronaca.

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Se la  Meloni è tornata pura per aver detto un’ovvietà per un’altra ovvietà Borghi e la Lega sono stati condannati al rogo. Cosa ha detto Borghi? Ha scritto sulla rete che se Mattarella è convinto che l’Italia ha delegato all’Europa la sua sovranità il suo ruolo non ha più senso e si dovrebbe fare da parte. Se non l’ha detto né pensato fa bene a rimanere al suo posto. Ora, a parte il fatto che questo scandalizzarsi se appena appena si sfiora un Capo di Stato che non ha preso nemmeno un voto dagli italiani   quando nell’America che piace tanto ai nostri politici si dà tranquillamente del rimbecillito al presidente che gli americani li rappresenta davvero e il cui posto poggia su una solida base costituzionale  non è solo anacronistico, ridicolo e liberticida ma è la cifra del clima di ipocrisia bacchettona in cui siamo immersi, a parte questo vediamo che cosa veramente Mattarella ha detto e se c’è qualcosa di bislacco nei rilievi di Borghi ripresi da Salvini. “La nostra collettività è inserita oggi nella più ampia comunità dell’Unione Europea cui abbiamo deciso di dar vita con gli altri popoli liberi del continente e di cui consacreremo, tra pochi giorni, con l’elezione del Parlamento Europeo, la sovranità». Sono parole quanto meno ambigue, che si giustificano solo depotenziando il concetto di sovranità. Prese alla lettera sono da respingere al mittente perché nessuno in Europa è cittadino di uno Stato federale come gli Stati uniti d’Europa, che a dio piacendo non esiste, ma ognuno è cittadino del proprio Stato e si è europei solo per ragioni geografiche, dal Regno unito alla federazione russa. L’Unione europea è un trattato che vincola, come tutti i trattati, chi vi ha aderito e finché continua ad aderirvi. Chi sogna qualcosa di più e di diverso padrone di continuare a sognare. Per me più che un sogno  è un incubo. Mattarella però ha detto anche di peggio e nessuno ha rifiatato. “I Padri della Patria   erano consapevoli dei rischi e dei limiti della chiusura negli ambiti nazionali e sognavano una Italia aperta all’Europa, vicina ai popoli che ovunque nel mondo stessero combattendo per le proprie libertà”. A parte le invidiabili capacità di entrare nel pensiero  e nei sogni dei Costituenti  che confermano la familiarità democristiana col paranormale di cui Prodi dette dimostrazione, si  dovrebbe porre il problema i come si concilierebbe quella vicinanza, che significa intervento militare, con quella stessa costituzione che sembrerebbe escludere a priori ogni intervento militare senza entrare nel  merito di aggressore o aggredito, con la sola eccezione della difesa dei sacri confini della Patria.

Voler arruolare illustri defunti che non possono ribattere, che siano De Gasperi, De Nicola,  Einaudi  o, se si preferisce, Nenni, Pacciardi   o Togliatti, fra i sostenitori della Nato, dell’Ucraina di Zelensky  e di quanti vorrebbero far scoppiare la terza guerra mondiale per negare alle popolazioni del Donbass il diritto all’autodeterminazione    mi pare veramente troppo.

Roberto Poletti https://www.libero.it/

Per concludere. Roberto Poletti, giornalista e conduttore televisivo già vicino alla Lega,  rabbrividisce (sic) se qualcuno si azzarda a giudicare le parole di Mattarella, che è amatissimo dagli italiani ; io rabbrividisco perché lui rabbrividisce. Ma a supportare Poletti ci pensa l’altro maître à penser,  Stefano Cappellini, l’editorialista di Repubblica: è una vergogna che grava ancora sui Cinquestelle averne chiesto le dimissioni quando impedì che si formasse un governo gialloverde con dentro Savona. Viva la stampa libera.

Pierfranco Lisorini

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