L’assassinio di Matteotti, le stragi tedesche e l’auto da fé di Giorgia Meloni

La celebrazione della sacra ricorrenza del 25 aprile che doveva essere tenuta dal tuttologo che ha  spaziato dal romanzo al saggio di costume per poi approdare all’università come esperto di letterature comparate e di scrittura creativa e cimentarsi infine nella ricostruzione della vicenda umana e politica di Mussolini  ha dato fiato e argomenti ad una sinistra che non ne ha.

Antonio Scurati. https://www.ansa.it/

È successo che vuoi per compiacere la Meloni, che notoriamente non accetta di buon grado le critiche, vuoi per il mancato accordo sul compenso (ci mancherebbe altro che l’officiante dovesse farlo gratis) la recita del tuttologo è stata cancellata dal palinsesto della Rai.  Ho letto il monologo che è stato risparmiato ai telespettatori: non c’è una virgola di nuovo rispetto alla stucchevole vulgata che si ripete da ottant’anni se non il volo pindarico che accosta il 10 giugno del 1924, quando il deputato e presidente del Psu fu prelevato e ucciso, alle mattanze di cui si resero responsabili i tedeschi dalla  primavera all’autunno di venti anni dopo,  dal 24 marzo con le fosse ardeatine  al 12 agosto a S.Anna di Stazzema e al  23 dello stesso mese nel Padule di Fucecchio fino agli eccidi  commessi dalle SS e dalla Wehrmacht a Marzabotto e nei comuni limitrofi fra il 29 settembre e il 5 ottobre, tanto per ricordare solo le più cruente.  Stabilire un fil rouge fra i fatti del  ’24 e le drammatiche vicende che accompagnarono il ritorno in Germania delle truppe tedesche è un’operazione  surreale che serve solo a confondere le idee.

Ma che titoli ha il tuttologo per essere considerato un esperto della dittatura mussoliniana e degli anni che la precedettero?  Ci mancherebbe altro che si dovesse impiccare l’autore di uno scritto a un refuso o a un lapsus calami  come hanno fatto i compagni col “Mondo al contrario” del generale Vannacci.   Ma ci sono errori che minano la credibilità di un autore e ne rivelano l’incompetenza rispetto all’argomento che pretende di affrontare. Un signore che si propone di ricostruire il clima culturale sociale e politico del primo Novecento italiano e confonde Pascoli con Carducci attribuendo a quest’ultimo l’orazione “La grande proletaria si è mossa” non ha evidentemente gli strumenti per farlo e tutto quello che scrive quando è farina del suo sacco e non un centone è solo aria fritta. Se poi è convinto che la Grande Guerra sia costata all’Italia sei milioni di morti (!) mostra di essere  privo di orientamento e del tutto ignaro  delle dimensioni  numeriche, un po’ come  quelli che parlano di milioni di vittime della guerra “fascista” o di centinaia di migliaia di caduti nella guerra di liberazione o di migliaia di antifascisti torturati e assassinati dall’Ovra. La storiografia non è un racconto edificante nel quale per dare maggiore forza al discorso e turbare le coscienze  si gioca al rialzo con le cifre fino al ridicolo, si gonfia un dettaglio marginale e si rimuove ciò che è centrale  ma è una ricostruzione dei fatti poggiante sulle fonti, e per l’età moderna di fonti e testimonianze ce ne sono a iosa.

Ma la prudenza, lo scrupolo, il rigore e la curiosità dello storico non si improvvisano: sono una forma mentis  acquisita in anni di studio, letture, frequentazioni di biblioteche e di archivi che presuppone apertura mentale intelligenza e intuito.  Già nella mia generazione  queste doti scarseggiavano: dal Sessantotto in poi se n’è persa traccia.  Se poi  si aggiunge la circostanza che la politica ha creato una fitta coltre di fumo che nasconde la verità, sostituita da una narrazione di comodo imposta con le buone o con le cattive, si capisce che chi  esce dalle università non  ha più la voglia di scoprire ma solo di  ricercare conferme ai pregiudizi che gli sono stati inculcati.  Ma c’è un limite: si può alterare la punteggiatura, si possono omettere fatti incompatibili con quella narrazione ed evidenziare quelli che la confermano, ma strafalcioni no, anche perché con un interprete del passato interessato e   di parte è possibile confrontarsi e metterlo alle corde   perché ci si muove su un comune terreno di conoscenze; ma come si fa a controbattere alle affermazioni di chi non sa niente di ciò di cui parla? Per lui è materia di fede, qualcosa di terribilmente simile alla religione e si comporta come il  prete che istruisce il suo gregge trasformando in una favola per bambini le elucubrazioni dei teologi. E  col teologo ha senso discutere ma col prete non ne vale la pena.  E non  vale la pena, viste le premesse, leggere e fare le pulci alla nuova rivisitazione che della vicenda di Mussolini e del fascismo fa il tuttologo improvvisatosi storico se si ha il fondato sospetto che la sua sia solo una ricamatura acritica  intorno alla vulgata che, come ogni religione, ha i suoi santi e i suoi martiri, le sue sacre ricorrenze oltre, s’intende, alle incarnazioni  di turno dell’Avversario (il demonio).

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L’omicidio Matteotti fu un colpo duro per il governo Mussolini e per il  Partito nazionale fascista. Fu un colpo di coda della violenza politica che aveva caratterizzato il dopoguerra e un tentativo di impedire la normalizzazione che avrebbe consentito al Duce di trasformare l’assetto politico del Paese mettendolo al riparo dalle velleità eversive e rivoluzionarie presenti anche nella sua parte politica. Responsabili dell’agguato e fiancheggiatori vennero immediatamente identificati e arrestati, ci fu  una drastica epurazione al ministero degli Interni, all’ufficio stampa della presidenza del consiglio e a quello del Pnf, l’associazione di arditi alla quale facevano capo i membri del commando venne sciolta, il questore di Roma e il capo della polizia furono destituiti. Difficile immaginare una risposta più dura e più immediata, una risposta che di fatto non solo disinnescò una probabile reazione dell’opinione pubblica ma vanificò il tentativo delle sinistre di usare l’omicidio come un ariete contro Mussolini. Che ne uscì rafforzato  ed ebbe modo di ribadire il suo ruolo di garante dell’ordine, della normalità e della pacificazione nazionale che finì per sconfinare in uno Stato di polizia. Le divisioni all’interno dei sindacati e dei socialisti fecero il resto. Tutto questo, che è storia, non interessa o è ignoto al tuttologo che spazia dalla politica alla narrativa alla saggistica e si avventura nella storiografia: per lui Mussolini è un avventuriero che dopo essersi impadronito del potere con la forza non esita a liberarsi di un pericoloso oppositore commissionandone l’assassinio per poi custodire nel cassetto della sua scrivania i documenti insanguinati che i sicari gli hanno consegnato. Ma qui, obbietta il creativo tuttologo, interviene  la fantasia del romanziere che ha tutto il diritto di colmare i vuoti e di rendere coerente il racconto. E siccome l’agguato a Matteotti costituisce un esempio di violenza e le rappresaglie tedesche sono anch’esse un esempio di violenza il tuttologo stabilisce un legame fra il primo e le seconde. Io, che non sono né un romanziere né un creativo e faccio anche fatica a capire in che cosa consista la scrittura creativa che il nostro tuttologo insegna nelle università italiane, non riesco a capacitarmi di quale possa essere l’elemento che accomuna le due vicende e semmai mi chiedo com’è che Dumini, il mascalzone che guidò la banda che rapì e pestò Matteotti fino ad ucciderlo, durante il regime fascista passò la vita transitando dalla galera al confino  ma visse tranquillamente nell’Italia democratica e antifascista passando il tempo a pubblicare le sue memorie.

Quando la guerra prese per l’Italia una brutta piega e dopo la perdita delle colonie  l’occupazione senza colpo ferire di Pantelleria mise a rischio di invasione lo stesso territorio nazionale, Mussolini ottenne da un Führer parecchio riluttante il sostegno dell’esercito tedesco. Non solo: nell’aprile del ’43 il Duce ormai consapevole dell’imminente collasso delle forze armate italiane nell’incontro di Klessheim cercò inutilmente di convincere Hitler a lasciar perdere la Russia, firmare un armistizio con Stalin e spostare tutto il potenziale tedesco sul fronte meridionale, cioè in Italia e nei Balcani.   Il Führer promise di pensarci su ma non ne fece di nulla e fece arrivare in Italia contingenti relativamente limitati. Qualche mese dopo, il 19 luglio, col “bagnasciuga” siciliano ormai violato i due si incontrarono di nuovo a Feltre e il Duce prospettando una catastrofica caduta del fronte italiano che avrebbe spalancato le porte d Reich chiese e ottenne un imponente invio di truppe per difendere il nord Italia, dando per perso il mezzogiorno. Insomma i tedeschi in Italia ci vennero in soccorso sollecitati dal nostro governo. Combatterono in Sicilia per cercare di ributtare in mare gli angloamericani e ne rallentarono per 38 giorni la conquista del’isola e furono sorpresi prima il 25 luglio dalla deposizione di Mussolini e dall’ambiguità del nuovo governo e  subito dopo dall’armistizio di Cassibile e infine l’8 settembre dalla resa dell’Italia seguita il mese successivo dalla dichiarazione di guerra alla Germania. Insomma: se c’erano tedeschi in Italia era perché li avevamo chiamati noi e la loro metamorfosi da alleati a occupanti si deve al tradimento del governo italiano e della monarchia, che invece di limitarsi  all’inevitabile resa si schierò a fianco dell’invasore angloamericano. E fu così che gli italiani si trovarono stretti fra i tedeschi diventati nostri avversari  e un esercito di conquistatori  pronti al saccheggio. Questi i fatti, poi ognuno è libero di dar loro la connotazione che preferisce.

Meloni alla manifestazione del 25 prile. https://twitter.com

All’approssimarsi della fatidica data del 25 aprile la Rai saldamente in mano alla maggioranza ha ritenuto necessario somministrare ai telespettatori il rituale pistolotto, come se non bastasse quello dell’officiante ufficiale, il Custode supremo della Carta Costituzionale (le maiuscole si sprecano). Si poteva scegliere uno storico – ammesso che dopo De Felice ce ne siano ancora -, si è optato per uno scrittore di successo, il nostro tuttologo. Il quale però non si è limitato a mettere insieme le consuete banalità ma ha colto l’occasione per  attaccare la Meloni che non ha ancora fatto la professione di fede antifascista. Ed è altamente probabile che la Meloni, quando le hanno preventivamente mostrato il testo, fino alla storiella dei partigiani che hanno liberato l’Italia, a Mussolini assassino di Matteotti e ai fascisti della Rsi colpevoli degli eccidi commessi dai tedeschi non ha fatto una piega; ma quando nella seconda parte del monologo si è vista sul banco degli imputati è andata su tutte le furie e gli zelanti funzionari della televisione di Stato (ma dovrei dire di governo) si sono affrettati a togliere il pistolotto dal palinsesto. Ma non potevano farlo adducendo come motivo le bizze della premier e in alto loco si è pensato di cavarsela tirando in ballo il compenso (che in ogni caso rimane uno sconcio perché oltre a fargli pubblicità gratis il tuttologo viene pure pagato). Brutta faccenda, comunque la si guardi, alla quale la Meloni pubblicando sul suo blog il testo del pistolotto ha messo una toppa che è servita solo ad allargare il buco. Alla Meloni di fascismo e antifascismo non importa nulla, come non importa nulla dello stravolgimento della storia, di chi e perché ha ammazzato Matteotti o se l’Italia è uscita vergognosamente sconfitta e umiliata o vittoriosa e liberata dalla seconda guerra mondiale: alla Meloni – e al suo partito – preme solo rimanere saldamente al potere. E non le si muovano critiche o attacchi diretti: non li sopporta e rischia di perdere l’aplomb istituzionale. L’aveva già fatto con Canfora, ostracizzato dalle emittenti televisive pubbliche e private per aver detto un’ovvietà: se è vero, com’è vero, che l’Ucraina e il suo governo sono infestati dal neonazismo (l’ultima prova è la costituzione di un reparto combattente di Walkirie, degno seguito delle milizie con le croci celtiche)  ed è anche vero che la Meloni – come Urso – è un’incondizionata  e fraterna sostenitrice dell’Ucraina e del suo governo, non si può non concludere che la Meloni simpatizzi per i nazisti ucraini. Semmai il problema è che questa simpatia la accomuna ai compagni di casa nostra, all’Ue della von der Leyen e all’amico americano.

post scriptum

Ma in Italia esiste la censura? Certo, un po’meno  sulla carta stampata  che tanto non la legge nessuno e implacabile sulle emittenti televisive, in primis la Rai. E non è una novità né una prerogativa del governo Meloni: sotto questo riguardo la “Repubblica nata dalla resistenza” è sempre stata in perfetta continuità col regime che l’ha preceduta e in totale sintonia con quelle che vengono chiamate autocrazie.  Alla Rai, dove sono arrivati al ridicolo di sostituire Kiev col nome ucraino Kyiv, c’è un filtro che non fa passare nemmeno una sillaba che stridi con la posizione del governo a fianco di Zelensky, così come durante il governo Draghi tutta la comunità scientifica e tutta quella parte di opinione contraria ai vaccini era silenziata. E in questi giorni nel fiume di retorica sulla lotta partigiana non è passato nemmeno un fugace accenno al Triangolo della Morte.

Noterella finale indirizzata ai compagni

Cari compagni e cari intellettuali: a parte il macabro impegno nel riesumare il cadavere del fascismo per sputarci sopra immemori della circostanza che gli italiani tutti – parole di Churchill –  erano fascisti quando c’era il fascismo e tutti diventarono antifascisti quando il fascismo non c’era più, a parte il vilipendio di cadavere, accusare di fascismo la Meloni e i suoi accoliti non vi porta da nessuna parte: vi piaccia o no la Meloni è la pupilla della vostra Europa e della patria americana della vostra democrazia, è stata adottata dal mondo di cui siete una trascurabile appendice. Fatevene una ragione.

Pierfranco Lisorini

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