Il dito e la luna

Giusto prendersela con chi non vede la luna ma il dito che la indica ma guai guardare lontano rischiando di cadere dentro una buca. Che è quello che capita alla maggior parte degli ambientalisti, ai difensori del pianeta, ai savonarola del buco nell’ozono, dell’effetto serra e ora dei mitici cambiamenti climatici. L’altra sera una giuliva corrispondente, non ricordo se Rai o Mediaset, dalla Romagna allagata cinguettava: “Cosa dicono ora i negazionisti dei cambiamenti climatici davanti a questo spettacolo?”, come se l’esondazione di fiumi e torrenti in un territorio circoscritto e maltrattato fra il ravennate e la provincia di Forlì fosse la prova provata di una metamorfosi planetaria attribuibile all’uomo. E ancora una volta il negazionismo, l’arma infallibile contro il dubbio e il pensiero libero. Troppo comodo, cari signori. Troppo comodo coprire interessi e malefatte reali e concrete spostando lo sguardo dal dito alla luna o, meglio, dalla realtà alle allucinazioni.

Tanti anni fa abitavo alla periferia della mia città, in piena campagna, a monte della vallata di un torrente che per buona parte dell’anno è in secca, ora come allora. Bene, ho visto con i miei occhi frotte di solerti muratori costruire villette non dico sul greto ma addirittura sul suo letto, tesi nello sforzo di piantare la bandierina sul tetto per eludere i controlli – forse volutamente tardivi – delle autorità comunali. Poi invece di abbatterle per evitare tragedie si rese necessario non solo rinforzare gli argini del torrente ma deviarne l’alveo, dilapidando i soldi del contribuente destinati alla prevenzione, e sa dio se ce ne fosse bisogno. Il risultato fu l’alterazione di tutto il sistema idrogeologico della zona e la pressione su un altro torrente che scorreva interrato da prima della guerra e del quale pochi ricordavano l’esistenza, una pressione che un paio di decenni dopo finì per farlo scoppiare spazzando via uomini e cose. Quanto meno allora si ebbe il pudore di non tirare in ballo il clima e i suoi cambiamenti.

Ma anche il martellante allarme sui cambiamenti climatici serve per distogliere l’attenzione dal crimine che si sta consumando con la partecipazione scoperta e spudorata alla guerra voluta e provocata dagli Stati uniti in Ucraina. L’Italia è in guerra senza una dichiarazione di guerra, con una violazione clamorosa della costituzione, senza un voto del parlamento e contro la volontà popolare. Il pretesto che viene accampato è segno di ipocrisia e inqualificabile miseria morale e culturale: c’è un Paese vittima di un’invasione che non può essere lasciato solo.

PUBBLICITA’

Un pretesto che cozza contro queste evidenze: 1) L’Italia è militarmente impegnata – purtroppo – all’interno dell’alleanza atlantica, che ha una funzione esclusivamente difensiva e prevede l’intervento in difesa di uno dei suoi membri attaccato da un nemico esterno ma non risulta che l’Ucraina sia membro della Nato; 2) L’Italia è parte di un’organizzazione sovranazionale, l’Unione europea, nata per garantire cooperazione e integrazione fra gli stati membri senza menzionare interventi militari, nemmeno difensivi, ma solo sostegno economico e diplomatico, tant’è che durante il conflitto fra il Regno unito, allora parte dell’Ue, e l’Argentina, non risulta che ci siano state consultazioni con la Commissione europea, qualche tipo di partecipazione o una semplice dichiarazione di solidarietà col governo di Margaret Thatcher; e se durante la crisi fra Madrid e il governo catalano l’Ue e i singoli governi si limitarono a stare a guardare tantomeno dovrebbero ficcare il naso negli affari dell’Ucraina, che dell’Ue fortunatamente non fa parte. E, d’altro canto, se avessero l’autorità e il diritto di farlo, sarebbero dovuti intervenire per impedire che i governi neonazisti di Kiev reprimessero nel sangue il separatismo nelle oblast russofone. L’unico organismo che avrebbe potuto legittimamente entrare nel merito con azioni diplomatiche e in casi estremi interventi diretti è l’Onu; 3) Se la Russia per difendere le comunità russofone dentro i confini dell’Ucraina e per impedire l’accerchiamento da parte della Nato ha violato la sovranità ucraina che dire dell’invasione della Libia da parte franco inglese con la benedizione degli Usa e il sostegno dell’Italia? quale altra motivazione accampare se non il più sfrontato neocolonialismo? E gli stessi Usa in che conto hanno tenuto la sovranità irakena? E a che titolo abbiamo bombardato Belgrado?
La censura, il controllo totale dei mezzi di informazione, le liste di proscrizione non ottengono, almeno a breve termine, il risultato sperato, l’imposizione del pensiero unico.
Il regime, tale è ormai quello italiano dopo l’esperienza gialloverde, punta allora su distrattori di massa, quali sono quelli che orientando sulla luna nascondono il dito, e col dito le mani rapaci delle quali la politica è insieme strumento e complice. Succede per le vittime del vaccino, succede per gli stipendi che retrocedono in termini relativi e in qualche caso assoluti rendendo incolmabile il divario sociale fra la minoranza dei parassiti e la maggioranza dei produttori, succede con la guerra, che, al di là delle considerazioni geopolitiche e di merito, promette oltre ai guadagni immediati per i fabbricanti di morte la grossa torta della ricostruzione sulla quale si preparano a gettarsi tedeschi francesi e italiani e succede con quella grande mangiatoia che è la green economy.

Pale eoliche, auto elettriche, digitalizzazione sono un affare gigantesco mascherato dalle politiche ambientali che alimentano il catastrofismo e sventolano la bandiera dell’ambiente e della lotta all’inquinamento. L’inquinamento, la distruzione del paesaggio, la cementificazione e la rottura degli equilibri naturali sono in primo luogo causati da un’antropizzazione fuori controllo alla quale andrebbe opposta una politica seria di limitazione delle nascite e contrazione dei consumi. Per ciò che riguarda l’Italia fa specie sentire improbabili cassandre che prospettano come una catastrofe l’andamento demografico negativo del Paese, con proiezioni di qui a un secolo di poco più di quaranta milioni abitanti. Esattamente quanti erano negli anni Trenta dello scorso secolo, quando l’equilibrio fra centri urbani, boschi e terre coltivate era sicuramente migliore di adesso. L’idea di una crescita all’infinito di popolazione, produzione e consumi è semplicemente folle e può tornare utile solo a un capitalismo miope e nella sua miopia devastante qual è quello importato dall’America. Le politiche di contenimento demografico che fino a mezzo secolo fa avevano cominciato a sortire qualche effetto – ricordo per esempio l’unico figlio per coppia imposto nella repubblica popolare cinese – sono state completamente accantonate. Guerre, carestie e mortalità infantile non garantiscono più l’omeostasi del sistema globale per cui diventa indispensabile disincentivare le nascite, vale a dire l’aumento esponenziale di futuri consumatori. I sistemi economici espansivi, e in particolare i due maggiori in conflitto fra di loro, l’americano e il cinese, per non soffocare devono crescere sia sul terreno finanziario sia su quello industriale: un calo della popolazione mondiale ne segnerebbe il tracollo.

E allora non ci prendiamo in giro: la natura ha le sue esigenze, che comprendono anche smottamenti, frane e inondazioni; occorre rispettare il tacito patto che unisce l’uomo e l’ambiente, e non intendo certo riferirmi ad una regressione che risolva la cultura nella natura sul modello delle popolazioni della foresta equatoriale. L’umanità è a un bivio: può riprendere il filo delle antiche civiltà che sono state capaci di innestare nella natura la bellezza e la spiritualità della presenza umana o continuare a infettare e erodere il pianeta con un formicaio bulimico e distruttivo.

Pierfranco Lisorini

FRA SCEPSI E MATHESIS Il libro di Pierfranco Lisorini  acquistalo su…  AMAZON


Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.