A LA GUERRE COMME A LA GUERRE

A che punto siamo con la guerra russo-ucraina? La famosa “operazione militare speciale” lanciata – ora possiamo dirlo a ragion veduta – alquanto improvvidamente da Vladimir Putin più di un anno fa ha raggiunto i suoi obiettivi strategici o si è impantanata sul territorio nemico strenuamente difeso dall’esercito popolare ucraino? E che cosa possiamo dire sul morale delle truppe russe  e su quello delle truppe ucraine, fatta la tara alle contrapposte propagande di guerra?

Quando tutto è stato esaminato, calcolato, soppesato, valutato circa le motivazioni delle due parti belligeranti, come si può negare che una combatte per difendere la propria terra e la propria libertà mentre l’altra combatte per sottometterla e per imporre il  disegno egemonico neoimperialistico dell’autocrate Putin? Se no, per quale altro motivo Putin avrebbe dato il via all’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio del 2022? Per difendere i sacri confini della Santa Madre Russia minacciati ipoteticamente dalla Nato o non piuttosto per sventare il paventato pericolo che l’instabile democrazia Ucraina entrasse a far parte dell’Ue e chiedesse di entrare a pieno titolo nella Nato, in tal modo tutelandosi da eventuali tentativi annessionistici russi, visto quello che era accaduto alla Cecenia, alla Crimea e che ora stava per accadere al Donbass? Eppure circola in alcuni strati anche acculturati dell’opinione pubblica italiana la convinzione che siano stati gli americani a provocare la Russia e a “costringerla” ad invadere l’Ucraina per evitare di essere invasa. Da chi non è dato sapere, certo non dagli ucraini, in tutt’altre faccende affaccendati.

Ad ogni modo è evidente che Putin, o chi per lui, ha sbagliato tragicamente i suoi calcoli, con il risultato di aver  gettato la Russia in una guerra della quale non si intravede a tutt’oggi nonché una fine nemmeno una tregua e che probabilmente, per non andare in completa rovina, rovinerà prima l’incauto presidente Putin e il suo cerchio magico, Kirill e Dugin in testa. I soliti bene informati lasciano trapelare che, malgrado i dinieghi ufficiali, trattative segrete siano in corso per addivenire a un compromesso tra le due parti, ma al momento quello che possiamo constatare è una recrudescenza dei bombardamenti aerei russi sulla “martoriata Ucraina” (Papa Francesco dixit).

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La quale, se vogliamo dire le cose come stanno, non potrebbe né resistere né immaginare una controffensiva senza i massicci aiuti economici, logistici e militari da parte dell’Occidente e, in particolare, degli Usa e del Regno Unito; e qui si apre la faglia ideologico-politica che  divide gli italiani tra atlantisti, convinti sostenitori degli aiuti anche militari all’Ucraina, e pacifisti, contrari ad ulteriori invii di armi (tra l’altro sempre meno difensive e sempre più offensive), persuasi, non si capisce bene su che basi,  che, sospendendo l’invio di nuove armi, si propizi il cessate il fuoco e l’inizio di una trattativa per la pace. I pacifisti però sono di due specie diverse: pacifisti in buona e in malafede; quelli in buona fede appartengono per lo più al clero e al laicato cattolico, o sono intellettuali prestigiosi al di sopra di ogni sospetto di intesa con il nemico come il fisico Carlo Rovelli, il filosofo Massimo Cacciari,  l’attore Moni Ovadia, il giornalista Michele Santoro, la filosofa Donatella di Cesare a altri; in malafede sono tutti coloro che nascondono dietro un finto pacifismo i loro sentimenti  – non si comprende fino a che punto gratuiti e disinteressati – filorussi.

Peccato che il presidente Zelensky non intenda trattare con Putin, a meno che non si ritiri dai territori ucraini occupati; peccato anche  che Putin, a sua volta, non intenda per niente ritirarsi e rientrare nei  confini della sua Russia. Questo significa che parlare di tregua o addirittura di pace nella situazione attuale è, a dir poco, prematuro; tanto più che finora chi si è proposto come mediatore, Papa Francesco compreso, ha ricevuto un garbato rifiuto da entrambi i contendenti.  A questo punto, solo un deciso intervento diplomatico o di interposizione manu militari congiunto di Biden e di Xi.jinping potrebbe costringere i duellanti al cessate il fuoco in vista di una trattativa per la pace. Se non che: “Ancora una volta, la sensazione è che i due Giganti  non abbiano troppa fretta di far finire la guerra. Non ha fretta l’America, che mentre la Russia si dissangua e l’Europa è sotto pressione, si può dedicare al suo rilancio industriale e tecnologico.

Non ha fretta la Cina, che mentre la Russia combatte Zelensky e l’America lotta contro l’inflazione, si può concentrare su l’Indo-Pacifico. Resterebbe l’Europa, che in questo scenario bellicista  è spettatore impotente, quando non addirittura silente” (Così Massimo Giannini su La Stampa del 14 maggio 2023). Di fronte a un quadro così desolato e desolante la speranza di una pace giusta si fa sempre più lontana e irrealistica, nel mentre che Zelensky, a fronte delle prime crepe emerse nella catena di comando delle truppe russe – parla sempre più insistentemente di vittoria. E’ naturale che questa sicumera del presidente ucraino faccia imbufalire i filorussi che lo considerano un uomo di paglia, un fantoccio nelle mani dello zio Sam e che senza l’aiuto, appunto, di Biden, della Nato, del Regno Unito e della Ue avrebbe perso da tempo la guerra, a maggior gloria del nuovo Zar Vladimir I e a scorno degli imperialisti americani che, se non fosse per il Celeste Impero,  si sentirebbero i padroni del mondo, costretti dalla sconfitta sul campo del loro Quisling ucraino ad abbassare le ali e le loro pretese egemoniche. Già, peccato che il fantoccio ucraino, – definito recentemente in televisione  da una purtroppo intellettualmente male invecchiata scrittrice ed editrice Ginevra Bompiani “un grande manipolatore” – si sia rivelato miglior stratega dei generali di Putin e dei suoi mercenari assassini ora alle corde. Perché, in una situazione del genere,  non dovrebbe parlare di vittoria? Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Dunque: à la guerre comme à la guerre!

Fulvio Sguerso

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