Il destino degli italiani

Sfuggiti- in parte – al condizionamento di massa ma politicamente del tutto impotenti

“La Nato cresce per paura di Putin”. Fra le tante falsità fatte passare per evidenze dal sistema mediatico queste è una delle più sfruttate e sfrontate. Premesso che l’alleanza atlantica nacque ed ebbe un senso come contraltare del patto di Varsavia, mondo “libero” (si fa per dire) vs comunismo, e che dopo l’implosione del comunismo (Cina e Corea del Nord per non dire Cuba hanno poco a che vedere con la rivoluzione di Ottobre) avrebbe dovuto sciogliersi, la sua sopravvivenza ha mostrato retrospettivamente quella che è sempre stata la sua vera natura: lo strumento militare per garantire agli Stati Uniti il controllo politico sull’Europa indispensabile per il conseguimento degli obbiettivi strategici dell’economia e della finanza americane, id est della globalizzazione. La Nato insomma altro non è che il braccio armato dell’imperialismo americano, che, a differenza dell’espansionismo economico cinese, si impone non con le leggi del mercato e della concorrenza ma con la forza militare e attraverso il controllo (o la destabilizzazione) delle realtà politiche emergenti; è il colonialismo del ventunesimo secolo, tutto il resto, libertà, democrazia, diritti, è fuffa. Ma niente dura per sempre e il nuovo colonialismo ha ormai le ore contate. La Nato cresce perché l’imperialismo americano volge al tramonto e il suo braccio armato diventa più aggressivo e violento.

Galli della Loggia

“Gli interessi dell’Europa e quelli degli Stati Uniti divergono” e, bontà loro, lo riconoscono anche i nostri uomini di penna e di pensiero, sia pure con le dovute riserve; attenzione, scrive l’illustre Galli della Loggia in un editoriale di lunedì scorso, a non cadere nell’antiamericanismo: divergono solo in apparenza perché in buona sostanza noi europei ci identifichiamo con la grande democrazia americana, patria dei diritti, antesignana della democrazia, propulsore della ricerca scientifica, con tante belle università e favolose biblioteche. Insomma se vogliamo essere persone colte, responsabili e corrette dobbiamo sentirci americani. Modestamente mi viene da osservare:
1) che un’Europa con interessi comuni è ben lungi dall’esistere, come dimostra la forzatura con la quale le prescrizioni dell’Ue si adattano alle direttrici delle economie nazionali, divergenti se non addirittura incompatibili;
2) Gli Stati Uniti non coincidono con la presidenza Biden più di quanto l’Italia non coincida col funzionario di Bruxelles che decide in suo nome. il sistema politico ed economico americano è agli antipodi rispetto ai valori della partecipazione, della cittadinanza attiva, della libertà individuale e agli interessi reali della società americana (ammesso e non concesso che si possa parlare di una società americana); quel sistema riflette unicamente l’interesse di grandi gruppi industriali e finanziari che hanno il loro baricentro in America ma sono per loro natura apolidi; l’America è a ben vedere la prima vittima di quel potere industriale e finanziario.

Quanto alla cultura, nessuno nega che in qualunque campo, dalle humanae litterae alla ricerca sociale, dalla biologia alla fisica delle particelle le università e i centri di studio americani siano all’avanguardia: lo stretto legame fra business e accademia determinato dalla politica fiscale e dal ritorno economico ha creato un terreno fertile nel quale hanno messo radici e sono rinvigoriti frutti importati dall’Europa. Ma il rapporto suggerito da Galli va rovesciato: comunque si guardi, all’origine di ciò che ammiriamo dell’America c’è l’Europa. E, se avessi voglia di polemizzare, potrei azzardare che di quel tanto o poco di specificamente americano sbarcato nel vecchio continente, dalla musica, alla pubblicità, dai gusti alimentari allo stile di vita potremmo volentieri fare a meno; e, se volessi infierire, a proposito della tanto decantata democrazia americana potrei suggerire che “linciaggio” è non a caso parola americana, che la frequentazione delle funzioni religiose è stata la condizione della partecipazione sociale, pena l’emarginazione, che la morale protestante ha ispirato una legislazione che pretendeva di controllare il comportamento sotto le lenzuola e che la trasgressione di cui ora gli States sono banditori non è figlia di uno spirito liberale ma è la tardiva reazione a un bigottismo oppressivo sconosciuto in Europa; e non dico nulla del razzismo, dei negozi, dei ristoranti, dei bar o degli autobus interdetti ai colored fino alla metà del secolo scorso o dell’abominio della pena di morte. Insomma se Galli voleva fare un’analisi seria del ricorrente “gli interessi americani e quelli europei divergono” invece di opporre a un luogo comune luoghi comuni anche peggiori avrebbe dovuto riconoscere la complessità delle relazioni transatlantiche e interne all’Europa ed evitare di mescolare concetti astratti e spesso arbitrari come valori cultura o civiltà con gli oleodotti, i degassificatori e la maggiore convenienza a comprare quel che serve dove costa meno piuttosto che dove è più caro.

Ma non ho ricordato l’editoriale di Galli della Loggia per le banalità i luoghi comuni e le sciocchezze che pretendono di avallare l’idea di uno scontro di civiltà (che c’è per davvero, ma del mondo laico contro l’islam e il confessionalismo religioso non certo contro la Russia, assai più “occidentale” di certa America); l’ho ricordato perché senza volerlo smentisce la vulgata di un’opinione pubblica tutta schierata per l’agnellino ucraino e il buon pastore americano contro il lupo mannaro russo. Galli, infatti, prende atto, per condannarlo, dell’antiamericanismo resuscitato dall’ormai conclamato protagonismo Usa in tutta la vicenda ucraina, confessando così implicitamente che la propaganda e la disinformazione delle Tv di Stato e berlusconiane non hanno sortito l’effetto desiderato. Nelle reti Mediaset si sono fatti passare per servizi dal fronte filmati scopertamente confezionati a Kiev, si è sistematicamente sostituita l’informazione con la propaganda dei media ucraini fino al punto di attribuire ai russi i bombardamenti sul Donbass russofono (vale a dire russo, come russa, inequivocabilmente russa è la Crimea, anche se Di Maio non lo sa); la Rai, dal canto suo, con una notevole mancanza di pudore ci somministra quotidianamente pillole contro la disinformazione, come per anticipare e giustificare opportuni provvedimenti che facciano tacere una volta per tutte i social e quel poco che resta di libertà di stampa e di opinione. Ma il troppo, come si dice, stroppia, e la gente a forza di bere veleno informatico si è mitridatizzata e comincia non poterne più delle menzogne di Stato. Il problema è che questa presa di coscienza non ha fatto altro che allargare il divario fra la società civile e la politica.

Una società civile che non ha voce, non è rappresentata in alcun modo e aspetta invano chi ne interpreti le istanze, i bisogni, le preoccupazioni e li trasformi in un progetto politico. Il goffo riavvicinamento fra una parte della Lega e una parte dei Cinquestelle non basta come non bastano cani sciolti come Paragone. Il colpo di grazia alla credibilità della politica l’hanno dato prima lo stesso Salvini (grande elettore di Mattarella e complice dell’invio di armi a Kiev, povera esportatrice di badanti quanto si vuole ma armata fino ai denti) poi, quello definitivo, l’ha inferto l’osceno atlantismo di Giorgia Meloni, con l’adesione compatta di un partito che riassume in sé il peggio della politica italiana. Ero fra quanti aspettavano con ansia il ricorso alle urne per mandare a casa un parlamento palesemente non più rappresentativo; ora quella stessa ansia si è risolta nel suo contrario: il timore di trovarmi nella condizione di non poter scegliere, di trovarmi di fronte ad una scelta impossibile, aggravato dalla consapevolezza che l’astensione fa comodo solo a chi vuol mantenere lo statu quo.
Sull’Italia pesa una maledizione: sempre in attesa di un salvatore, sempre, come dice il Poeta, con l’illusione di un veltro che farà “morir con doglia” la lupa della corruzione e della cupidigia e quando si pensa che il veltro sia arrivato ci si trova davanti un brocco.

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One thought on “Il destino degli italiani”

  1. Condivido il tuo smarrimento di fronte al plebiscito della politica pro-Ucraina. Così come sono con te quando sei diviso tra l’anelito di veder cadere questo governo e il “che fare?” quando finalmente cadrà, non prima di fine “mandato”. Ancora un lungo anno di propaganda filo-USA, di aiuti di facciata a chi davvero non ce la fa più, con introiti immutati e inflazione galoppante, di sbarchi di altri disperati che entrano in casa nostra non solo senza bussare e chiedere permesso, ma come un diritto acquisito con la favola dei naufraghi da salvare.

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