FINANZA e AMBIENTE (Parte II)
L’articolo di Ellen Brown che mi ha portato a riportarne stralci e a commentarli, si conclude con questa seconda parte, che completa il discorso sottolineando che a ridosso del COP26 di Glasgow, conclusosi il 12 novembre scorso, non ci fu solo il NAC (vedi Parte I), con la proposta di affidare a grandi imprese di Wall Street la gestione del Progetto 30×30, ma anche una Convention per la Diversità Biologica (COP15), terminata il 15 ottobre in prima sessione, con la previsione di tenere la seconda nel corso del 2022. Anche COP15 sostiene il progetto 30×30, e cioè l’impegno a “proteggere il 30% di terra e mare dalle attività umane”.
Come si vede, c’è un gran daffare da parte delle massime istituzioni internazionali, pubbliche (ONU) e private (Wall Street), per mettere il turbo ad un progetto mondiale in grado di rimpinguare ancor più i forzieri già stracolmi dei ricconi mondiali. Un’operazione che ritiene sia meglio cacciare gli indigeni dalle foreste per poi “gestirle” secondo formule complesse [in stile ROE, Return on Investment], come se i migliori custodi della natura allo stato brado non siano proprio coloro che con essa hanno convissuto per secoli e millenni.
Questo orientamento, che porta all’esproprio di enormi appezzamenti terrestri (land grab) e marini, è esattamente all’opposto della tutela della biodiversità, fortemente compromessa dalle moderne tecniche agricole delle monoculture, che richiedono dosi crescenti di fertilizzanti chimici e fitofarmaci, impoverendo e inquinando il terreno.
La tecnica usata dalla grande finanza per accaparrarsi i territori, liberi dagli attuali occupanti, è la stessa usata per impossessarsi di interi quartieri urbani: fare offerte ai residenti tali da non poter venire rifiutate, alterando successivamente la natura abitativa dei quartieri stessi. Con fondi illimitati a disposizione, fare questa particolare forma di dumping rovesciato è molto facile ed è stata quella che ha trasformato molti centri storici in ghetti per uffici e nuovi residenti facoltosi, snaturandone la spontaneità iniziale. La Brown fa nuovamente sue le parole di Stephen Colly:
“Lo stimolo a trasformare in aree protette il 30% del globo è in realtà un colossale land grab sullo stile e delle dimensioni di quello attuato nell’era del colonialismo europeo e arrecherà pari sofferenze e morti. Non lasciamoci incantare dal ritornello delle ONG e dei loro fondatori, a marchio ONU e governi vari. Tutto questo non ha niente a che vedere con i cambiamenti climatici, la biodiversità e la lotta alle pandemie, anzi è probabile che dia loro fiato. Tutto si riduce ai soldi, ai terreni e al controllo delle risorse, ed è un assalto impietoso alla diversità umana. Lo spossessamento pianificato di centinaia di milioni di persone rischia di tagliare alla radice la diversità umana e l’autosufficienza, ossia le vere chiavi della nostra capacità di rallentare i cambiamenti climatici e di proteggere la biodiversità.”
La Brown osserva inoltre che, se il Presidente non ha l’autorità costituzionale di trasformare in aree protette il 30% del suolo americano, ciò può farlo un’azienda megalitica come Black Rock, con la tecnica già accennata in campo edile, facendo offerte troppo allettanti per venir rifiutate. Secondo un’indagine riportata dal The Guardian del 12 ottobre scorso, il 40% delle famiglie americane fa fatica a sostenere le spese mediche e quelle alimentari, mentre il 30% afferma di aver bruciato tutti i propri risparmi per fronteggiare la pandemia. Ebbene, nel 1° trimestre 2021 il 15% di tutte le transazioni immobiliari hanno certificato la vendita di case a grosse corporation, inclusa Black Rock, con il metodo già illustrato di pagarle cifre superiori alle stesse richieste. Il CEO di Black Rock, Larry Fink, ha avuto la faccia tosta di affermare in un video promozionale: “Voi tutti non possiederete niente e sarete felici.” Certo, il miglior modo per non essere aggredibili da banche e fisco è quello di essere nullatenenti; così come per un bosco, che non è più incendiabile dopo che è già stato ridotto in cenere. Un enunciato in linea con i padroni di sempre, che vogliono imperare su una massa di diseredati, disponibili ad ogni compromesso pur di sopravvivere.
Riprendendo il discorso, dopo questa mia considerazione a latere, è certo che tutti vogliamo un ambiente pulito, così come la preservazione della biodiversità delle specie. Ma ciò deve includere la biodiversità umana, riconoscendo i diritti di proprietà degli abitanti rurali e delle popolazioni indigene, essendo entrambi i custodi naturali delle loro terre. La maggiore minaccia per la terra non è posta da chi la abita, bensì dai facoltosi investitori che piombano lì per comprarne i diritti, finanziarizzando la terra per il loro esclusivo profitto.
Sotto attacco non è soltanto la proprietà privata ma i territori pubblici che [negli USA] si chiamavano un tempo “the commons” [in Italia terreni demaniali]. Ci troviamo di fronte ad un momento cruciale della nostra storia economica, in cui la ricchezza privata accumulata nel tempo sta acquisendo carte blanche [così nell’originale] il controllo dei fondamentali della vita. Che questa macchina da guerra possa essere fermata resta da vedere; ma il primo passo da compiere in ogni azione difensiva è la consapevolezza della minaccia già sull’uscio di casa.
L’articolo di Ellen Brown si conclude così. Proseguo con miei commenti.
Di certo il fenomeno della privatizzazione, in ogni campo, non è sconosciuto agli italiani, che da circa 30 anni devono assistervi impotenti, subendo quotidiani lavaggi del cervello sulla superiorità di privato vs Stato, avvalorato dall’esser lo Stato nelle mani di complici della sua controparte, in un mix di burocrazia, incompetenza, corruzione. A farne le spese siamo stati tutti noi cittadini senza i privilegi di politici e alti burocrati, eletti (sempre meno spesso) i primi e paracadutati dall’alto ai posti chiave i secondi. Sopra le loro teste i fili manovrati da un potere invisibile che qualcuno ancora osa negare, in un negazionismo al contrario. Assomigliamo sempre più a quei poveri animali degli allevamenti intensivi, che pagano il nostro effimero benessere con sofferenze inaudite: una violenza protratta dalla nascita al macello, contribuendo senza colpe allo sconquasso del pianeta.
Siamo tempestati di messaggi contro ogni tipo di violenza, l’altro giorno per la celebrazione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne; e quasi ogni giorno a ritmo incalzante contro ogni forma di violenza contro il potere costituito, mettendo quasi sullo stesso piano un’odiosa violenza privata e una forma di ribellione contro un modo di gestire la nostra vita e quella della Terra che proprio sulla violenza si basa: una violenza “beneducata”, che ti toglie i cespiti di sussistenza per non toccare le rendite di posizione, gli stipendi ipertrofici di chi fa politica e di chi fa valere le loro leggi, peraltro con largo margine interpretativo. Come uscire da questo labirinto che inghiottisce sempre nuovi poveri? La storia insegna che non se ne esce bussando alla porta e chiedendo permesso. A questo riguardo, lorsignori si sono ben tutelati con la legge n° 85 del 24/02/2006, che ribadisce il divieto di rivoluzione cruenta, ma legittima il colpo di Stato, ossia la violazione della costituzione da parte del potere costituito. Con ciò, il legislatore ha voluto scindere la violenza “felpata” della violazione della costituzione da parte di chi governa dalla violenza fisica di chi, vittima di quella violenza, reagisce con una violenza fisica, seppur minima, come incendiare un cassonetto o spaccare una vetrina: legittima la prima, condannabile la seconda. [VEDI]
Quanto alle donne, sono quasi sempre vittime di uomini a loro legati da vincoli famigliari o affettivi; e sono perlopiù loro che scindono il rapporto, incorrendo talvolta nel grave pericolo di diventare bersaglio della non accettazione dell’abbandono da parte dell’uomo. Lo stesso pericolo che corre chi non china la testa alle imposizioni mafiose. In entrambi i casi lo Stato è chiamato a proteggere chi è così esposto a tali minacce. Un compito non semplice, data la diffusione di entrambi i fenomeni e, comunque, la difficoltà della donna di rifarsi una vita senza l’apporto economico dell’ex compagno, magari lontano dal luogo di residenza. Senza contare l’ulteriore problema dei figli, quando ci sono, specie se in tenera età.
Si esorta a sporgere denuncia; ma, per la maggior parte, i soprusi si ripetono, per gli oggettivi ostacoli che ho appena esposti. E non so quanto concorrano all’emersione e alla soluzione di tanti drammi sommersi il tam tam quotidiano dei media e i ripetuti cortei con le scarpe rosse. D’altronde, mentre non vogliamo uno Stato etico, come lo è stata la Chiesa per secoli, così non possiamo pretendere che diventi il nostro guardiano dalle minacce interne alla famiglia o a un rapporto amoroso in via di deterioramento. Mentre il divieto di avvicinare la donna oltre tot metri non ha nessuna efficacia, come abbiamo visto troppe volte. E il fossato tra i generi si allarga ogni giorno di più.
Marco Giacinto Pellifroni 28 novembre 2021