FINANZA E AMBIENTE (Parte I)
Questo legame, sempre più stretto, era stato mostrato, e dimostrato, da Marco Della Luna nel suo primo libro sul tema, €uroschiavi del 2005, poi approfondito nei suoi libri successivi, sempre di editori minori, perché troppo eversivi, in quanto rivelatori della verità; e “la verità è sempre rivoluzionaria”, come scriveva Antonio Gramsci.
Due anni dopo un altro personaggio, l’avvocatessa Ellen Brown di Los Angeles, rompeva il ghiaccio oltre atlantico, col suo primo libro, The web of debt – The shocking truth about our money system (La rete del debito – La scioccante verità sul nostro sistema monetario), e poi Public Bank Solution e Banking on the people (Banche per la gente), arrivando a fondare una associazione per l’istituzione di banche pubbliche, come risposta degli Stati al prepotere del sistema bancario privato dominante.
L’ultimo suo articolo si focalizza sui rapporti tra finanza e ambiente, in seguito al fiorire di iniziative, culminate nel COP26 di Glasgow, dove la “voce del padrone” ha echeggiato vigorosa, a dispetto dei manifestanti nelle strade, soprattutto giovani, ai quali stiamo lasciando in eredità un mondo saccheggiato dall’avidità dei “signori dei soldi”. Ne riporto gli stralci più meritevoli di riflessione.
Cominciamo col titolo: L’ultimo schema di Wall Street è monetizzare la Natura stessa.
Assecondando in anticipo la politica delle Nazioni Unite verso la formula “30 x 30” (30% della Terra da “conservare” entro il 2030), esposta durante il COP26, Wall Street, giusto un mese prima dell’evento, aveva lanciato al NYSE (New York Stock Exchange) una nuova classe patrimoniale (asset class), destinata “ad inaugurare una nuova mangiatoia per le banche predatrici e le istituzioni finanziarie, la quale permetterà loro di dominare non soltanto l’economia umana, ma l’intero mondo naturale.”
“Denominata Natural Asset Company (NAC), Compagnia dei Beni Naturali, questo veicolo permetterà la nascita di corporation specializzate, detentrici dei diritti ai servizi sugli ecosistemi di un intero territorio, come ad es. la captazione del carbonio o la depurazione delle acque. Queste NAC potranno quindi svolgere manutenzione, gestione e sviluppo del patrimonio naturale che essi mercificheranno (commodify), col risultato di massimizzare gli aspetti di quei beni naturali che le stesse riterranno arrecare più profitti.
Le NAC asseriscono che questo veicolo è modellato per preservare e restaurare le risorse della Natura; ma quando interviene Wall Street, profitto e sfruttamento sono sempre dietro l’angolo. Infatti, persino gli stessi ideatori dei NAC ammettono che l’obiettivo finale è l’estrazione pressoché infinita di profitti dai processi naturali che essi cercheranno di quantificare e poi monetizzare…
Nella cornice di temi altisonanti come “sostenibilità” e “conservazione”, testate rampanti come Fortune non possono fare a meno di notare che i NAC aprono le porte a “una nuova forma di investimento sostenibile, che negli anni passati ha incantato uomini del tipo di Larry Fink, CEO di Black Rock, anche se rimangono senza risposta grossi interrogativi al riguardo”.
Padroni del mondo
Giova ricordare che Black Rock è il maggior fondo d’investimenti al mondo, che gestisce quasi $ 9,5 trilioni: un bilancio più grande di qualsiasi altra nazione, se si escludono le due economie maggiori, USA e Cina. Come non bastasse, Black Rock gestisce un’enorme piattaforma tecnologica che supervisiona oltre $ 21,6 trilioni di asset. Assieme ad altri due fondi megalitici come State Street e Vanguard (maggiore azionista di Black Rock), il terzetto in pratica possiede gran parte del mondo. L’aggiunta delle NAC ai loro portafogli può fare di loro i proprietari dei fondamenti della vita sulla Terra.
Un portafoglio di $ 4 quadrilioni – La Terra stessa
A $ 4 Quadrillion Asset – The Earth itself
In partnership con la squadra di lancio delle NAC ci sono la IEG, Intrinsic Exchange Group, i cui maggiori azionisti sono la Rockefeller Foundation e l’Inter American Development Bank, famigerata per l’imposizione di progetti neo-colonialisti attraverso la trappola del debito. Come la stessa IEG afferma sul suo sito web:
“Noi siamo pionieri di una nuova asset class, basata su risorse naturali e sul meccanismo per convertirle in capitale finanziario. Queste risorse sono essenziali per rendere la vita sulla Terra possibile e godibile. Esse includono i sistemi biologici che forniscono aria pulita, acqua, cibo, medicinali, un clima stabile e la salute dell’uomo e della società. Le potenzialità di questa asset class sono immense. L’economia della Natura è più grande dell’attuale economia industriale […] e si stima sia di $ 4000 trilioni (4 quadrilioni).” Si noti il vezzo in stile bancario di tradurre tutto in cifre monetarie, persino l’intero patrimonio naturale.
Secondo il ricercatore e giornalista Cory Morningstar, le mire dietro la creazione dell’Economia della Natura e il suo impacchettamento tramite le NAC sono di accelerare i già massicci sforzi di accaparramento di terreni (land grab) messi in atto in anni recenti da Wall Street e dalla classe oligarchica, in cui primeggia l’attivismo di Bill Gates durante la pandemia Covid. L’impossessamento di terre cui le NAC si dedicheranno, però, prenderà di mira principalmente le comunità indigene dei Paesi in via di sviluppo. Sotto il pretesto di trasformare il 30% del globo in “aree protette”, si sta compiendo il più grande accaparramento di terre della storia umana. Ideato sulle basi di una supremazia bianca, questo progetto porterà alla dislocazione di centinaia di milioni di persone, incrementando il genocidio già in atto delle popolazioni indigene e di tutte le piccole e medie proprietà rurali che si autosostengono in simbiosi con il territorio.
Per oggi mi fermo qui e riprenderò il commento alla pubblicazione di Ellen Brown il prossimo numero; anche perché mi rendo conto che a molti lettori l’argomento può sembrare lontano dalle più immediate e stringenti preoccupazioni per ciò che succede appena fuori dell’uscio di casa. Purtroppo, abbiamo ormai imparato, con la globalizzazione che avanza, quanto sia stretta la connessione tra eventi remoti e la nostra circoscritta quotidianità: il cerchio della povertà non incombe più soltanto sul cosiddetto Terzo e Quarto Mondo, ma si sta allargando anche nei Paesi sino a ieri considerati “affluenti”, tra i quali primeggia ormai l’Italia per i suoi costanti passi indietro, in una coabitazione esplosiva tra un numero decrescente di ricchi-benestanti e quello lievitante di poveri e poveracci che vivono gli stessi patemi degli indigeni di altri continenti. L’ingordigia dell’uomo bianco non minaccia solo l’uomo di colore.
Marco Giacinto Pellifroni 14 novembre 2021
Un altro grande articolo del professor Pellifroni. Non c’è dubbio che la finanza dopo aver sfruttato le risorse della natura ora ci provi con le iniziative per migliorare l’ambiente al solo scopo speculativo alla faccia di chi ci crede davvero. Tutto ormai è in mano ai grandi gruppi finanziari e purtroppo non c’è da farsi troppo illusioni sulla salvezza del pianeta. Grazie a persone come lei che almeno ci informano