FILOSOFI E SOFISTI III

Prima parte                                                       Seconda parte

Come risulta evidente da quanto riportato sopra, la disputa giuridico-filosofica tra chi è convinto che la politica sanitaria di questo governo leda i diritti fondamentali della persona, a cominciare dalla libertà di scelta per quanto riguarda la salute di ciascuno, altrimenti detta libertà di cura, e poi anche il diritto fondamentale al lavoro, come recita l’’Art. 1 della nostra Costituzione, per non parlare del diritto alla studio per tutti, non solo per i vaccinati e chi, invece, ritiene opportuno osservare le indicazioni delle autorità sanitarie che il prolungarsi dell’emergenza pandemica ha reso, se non vogliamo dire necessarie certamente più impositive, in particolare riguardo alla prevenzione per mezzo dei vaccini, fino ad arrivare a una forma di obbligo “surrettizio”, come vanno ripetendo i disobbedienti (chiamiamoli così, dal momento che rifiutano con sdegno l’etichetta corrente di no-vax), i quali continuano a manifestare nelle piazze d’Italia gridando “libertà”, tramite l’introduzione del green pass che attesta l’avvenuta vaccinazione. Questi cittadini disobbedienti, improvvisatisi costituzionalisti, rivendicano il loro diritto a disobbedire ai decreti governativi, considerandoli incostituzionali, quindi illegittimi, mentre gli obbedienti, Costituzione alla mano, respingono l’accusa di essere loro a violare la legge.

Questa disputa giuridico-filosofica si è riacutizzata quando uno degli intellettuali più in vista e più impegnati nel sostenere l’illegittimità del green pass, cioè Massimo Cacciari, è stato sorpreso in fila, a Venezia, in attesa di farsi iniettare la terza dose (come peraltro anche Gianni Vattimo a Torino) scatenando l’ira funesta dei disobbedienti che hanno gridato al tradimento. Tanto che il filosofo dissidente ha voluto – o dovuto –  giustificarsi di fronte alla pubblica opinione con un comunicato a La Stampa (quotidiano che spesso ospita i suoi articoli) del 12 gennaio: “Il filosofo Massimo Cacciari ha annunciato di aver completato  la vaccinazione. E a chi lo ha accusato di incoerenza dopo le sue critiche al Green Pass ha risposto: “I filosofi obbediscono alle leggi anche quando le ritengono totalmente folli. Socrate Insegna”. Il cofondatore, insieme al collega Giorgio Agamben, al docente di Diritto presso l’università   di Torino Ugo Mattei e all’illustre massmediologo savonese Carlo Freccero, della commissione DuPre (Dubbio e Precazione) formata per esercitare un’azione mediatica, politica, giuridica e culturale di controinformazione riguardo alla pandemia e per istruire un referendum per l’abolizione del green pass, ha rilasciato un’intervista anche a La Repubblica, che così la riassume: “Il servizio che il filosofo fa alla città è pungolare chi governa, sempre e dovunque, come fa il tafano con un purosangue, ridestandolo dal suo intorpidimento. E’ citando L’ Apologia di Socrate di Platone che il filosofo Massimo Cacciari spiega la sua posizione nei confronti di uno Stato considerato ipocrita perché, di fatto, impone l’obbligo vaccinale senza assumerne la responsabilità” (Chi volesse leggersi l’intervista completa la può recuperare in rete: “No Vax spiazzati, Massimo Cacciari: vi spiego perché ho fatto la terza dose”).

Dunque nessun passo indietro riguardo al green pass; nondimeno il riferimento a Socrate non è piaciuto per niente, tra gl altri – e pour cause – al sofista disobbediente Ermanno Bencivenga, che confuta su La Verità ( a questo punto possiamo considerarlo l’organo ufficiale dei disobbedienti) la giustificazione “socratica”  di Cacciari, rinverdendo la tradizione sofistica della eristiké tèchne ; ma sentiamo Bencivenga: “E’ imbarazzante criticare un collega in base a una dichiarazione riportata da un (?) giornale; ma di questi tempi simili dichiarazioni, con tanto di prestigiosa (più o meno autentica) paternità, hanno pesante influsso sull’opinione pubblica, quindi è doveroso fare il possibile per rivelarne tutta l’inconsistenza”. Ora come è possibile non vedere, già da questo eloquente  incipit, la prosopopea che caratterizza lo stile di questo presuntuoso sofista che addirittura insinua il dubbio sull’autenticità della dichiarazione di Cacciari, dubbio motivato dalla presunta inaffidabilità dei così detti “giornaloni”, in questo caso  La Stampa  e  La Repubblica (come se l’unico quotidiano serio ed affidabile fosse La Verità).  Ebbene,   non bastasse questo incipit a qualificare il tenore  del discorso sofistico di Bencivenga, quello che segue si commenta da solo: “Ho detto ‘collega’ e mi affretto a precisare: collega in quanto insegnante di filosofia. Ripeto da tempo che trovo ridicola l’etichetta di filosofo appioppata dai media a personaggi di ogni genere, e spesso di precaria integrità intellettuale e morale”. A conferma della sua serietà nonché della sua etica professionale, Bencivenga lancia il sasso e nasconde la mano, un gesto tipico dei sofisti (soprattutto dei minori, che usano la tastiera come un’arma per colpire gli avversari politici chiamati tutti indistintamente “compagni”, tanto per marcare senza equivoci la loro scelta di campo). In questi casi, di fronte ad accuse così gravi, è lecito chiedere i nomi dei “personaggi…spesso di precaria integrità intellettuale e morale”. A chi allude il sofista ? L’etichetta (!) di filosofo, secondo costui, “Dice, allo stesso tempo, troppo e troppo poco.

Ermanno Bencivenga

Troppo poco perché tutti siamo filosofi quando ci interroghiamo sul senso della nostra vita e delle nostre scelte. Troppo perché se vogliamo chiamare filosofi coloro che si sono meglio distinti nella disciplina di interrogazione, occorrerebbe aspettare qualche decennio, se non qualche secolo, per poter separare il grano dal loglio”. Ma il nostro sofista, o giocatore di scacchi che dir si voglia,  è troppo scafato per non rendersi conto che la mossa di rinviare ai posteri la scelta tra filosofi di nome e filosofi di fatto vanificherebbe qualsiasi giudizio sui “colleghi” attuali. E difatti quel rinvio non gli impedisce di definire “un semplice insegnante” Massimo Cacciari, pur senza nominarlo: “Eppure, anche come semplice insegnante, una persona che ha un minimo di autorevolezza sociale, dovrebbe procedere con cautela e con saggezza nell’amministrare questa risorsa. La dichiarazione del collega, nei termini in cui il giornale (quale? Perché il sofista non lo dice? Teme forse la concorrenza?) l’ha citata, suona: ‘I filosofi obbediscono alle leggi, anche quando le ritengono totalmente folli. Socrate insegna’. Il tutto come premessa (e giustificazione), sembra (evidentemente Bencivenga ancora non riesce a  capacitarsi di quel richiamo a Socrate del ‘collega’), ad aver accettato la somministrazione  di una terza dose di vaccino”. Tuttavia, invece di far notare l’incongruenza di quel paragone per il semplice fatto che il vaccino non è la cicuta, e che Cacciari non è stato accusato da nessuno  di empietà nei confronti degli dei della polis, né di introdurre divinità sconosciute e, in aggiunta, di corrompere la gioventù e pertanto nessuno lo ha condannato a morte o, in alternativa, all’esilio, il nostro sofista si attacca alla lettera dell’incauta dichiarazione del “collega”: “In primo luogo, occorre distinguere fra leggi giuste e ingiuste (“folli” ha un carattere emotivo e personale: io trovo folle che ci sia gente che fuma, ma non mi sognerei di considerarlo ingiusto o di proibirglielo)”.

E fin qui possiamo anche trovarci d’accordo con Bencivenga, tanto più che lo stesso Cacciari, nel corso di un’intervista rilasciata successivamente proprio a La Verità, precisa il suo pensiero riguardo alle leggi ingiuste; alla domanda “Si è paragonato a Socrate, che obbedisce alle leggi anche quando non le condivide?” Così risponde: “Se esiste una legge io obbedisco, pur avendo il diritto di criticarla. Certo, se la legge mi rendesse complice di una lesione alla libertà altrui, avrei diritto a disobbedire”, e con questa risposta vanifica le obiezioni, avanzate anche dal nostro sofista nell’articolo che stiamo esaminando, circa le leggi razziali, i criminali nazisti processati a Norimberga, Adolf Eichmaann processato a Gerusalemme e la banalità del male di cui parla Hannah Arendt. Ma anche il pur scafatissimo Bencivenga non pare rendersi conto del passo falso commesso nel citare, invece dell’ Apologia il Critone : “Nel dialogo platonico cui il collega fa ovvio riferimento, il Critone , Socrate non dice mai di essere stato condannato in base a leggi ingiuste; a un certo punto anzi dà la parola proprio alle leggi (di Atene) perché gli ricordino quanta buona cura si sono prese di lui nel corso degli anni.

I suoi avversari al processo hanno manipolato il sistema giuridico per ottenere una condanna, e il suo biasimo nei loro confronti è privo di esitazioni, lui stesso però non intende aggiungere alla loro violazione delle leggi una sua propria, evadendo dal carcere in cui è rinchiuso e preferisce morire innocente”. Ma in che cosa consiste il passo falso in questa citazione? Consiste nel banalizzare il rifiuto che Socrate oppone ai tentativi  dell’amico Critone di convincerlo a evadere dal carcere e quindi di salvarlo dalla morte. Alle ragioni tutte terrestri e umane  di Critone, Socrate fa valere le ragioni  ideali ed etiche  delle leggi patrie, come peraltro gli suggeriscono le stesse Leggi personificate: “Ebbene Socrate , prestaci ascolto, a noi che ti abbiamo allevato: non tenere maggior conto né dei tuoi figlioli, né della vita, né di qualsiasi altra cosa al mondo più che della giustizia, affinché giunto nell’Ade tu possa far valere tutto questo in tua difesa dinanzi a quelli che regnano laggiù”. Qui non è più questione di difendersi davanti ai giudici terreni, come nell’ Apologia ma di essere accolto benevolmente dai giudici dell’altro mondo ben più affidabili di quelli che lo hanno condannato a morte in questo. Nel Critone il filosofo è ormai altrove, in una dimensione in cui le passioni, le delazioni, le false testimonianza e le ingiustizie terrene non contano più nulla. (Continua)


Fulvio Sguerso

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