Compagni, qualcosa non torna. Il fuoco fatuo delle Vestali dell’antifascismo
Sia chiaro: non so gli altri cittadini elettori ma di sicuro quelli che hanno votato per la Meloni e i fratellini d’Italia, discendenti diretti di quel Msi che nel nome portava il testimone della Repubblica sociale, sono ben lontani dal considerare l’antifascismo come lo stigma della nostra democrazia.
Ho anche buoni motivi per credere nell’esistenza di un potenziale bacino elettorale infastidito dall’antifascismo o dichiaratamente nostalgico del Ventennio ma diffidente nei confronti di quelli che se ne millantano (sotto sotto, per carità) eredi. La società italiana è percorsa dal fiume carsico della propria storia, non veicolata dalle scuole, negata nelle università e nelle librerie, che non è necessariamente nostalgia ma coscienza identitaria. Che è anche coscienza della discontinuità che il passato comporta: Il passato per quanto possa essere affettivamente investito resta comunque tale e tanto più forte è quell’investimento tanto più dolorosamente viene avvertita la sua irreparabilità.
Ed è di conseguenza percepita come un imbroglio la pretesa di riportarlo in vita o di testimoniarne la presenza, che sia ammiccata o implicita com’è ora nel partito della Meloni o dichiarata com’era prima nel Msi; un imbroglio, un’esca, un accalappiagonzi da parte di una banda di furbacchioni che sanno bene qual è il vero sentiment dell’italiano medio. Il fascismo come regime ha cessato di esistere il 25 luglio del 1943, quel che sotto il tallone tedesco sopravviveva della sua anima rivoluzionaria finì per dissolversi nel ridotto della Valtellina e l’uomo che la incarnava è stato assassinato a Giulino di Mezzegra il 28 aprile di due anni dopo. Stop. Come a Roma sotto il pugnale dei repubblicani cade con Cesare il cesarismo, così con Mussolini finisce il fascismo, ne rimane il mito e il ricordo ma niente che lo possa resuscitare; con la fine del Duce il fascismo è consegnato alla storia, direi nel loculo della storia, che si può visitare come si visita un cimitero. Tanto per chiarire che in re il neofascismo fa il paio con l’antifascismo: sono solo parole, falsi concetti per fuorviare, spostare il confronto politico sul terreno della faziosità, della partigianeria, delle appartenenze immotivate come quelle delle tifoserie sportive. Ma anche sul terreno degli artifici linguistici e della fantasia qualche regola va rispettata altrimenti si scade nel ridicolo.
La Meloni, che è di fatto espressione della destra neofascista – sia pure in modo truffaldino perché, lo ripeto, il neo fascismo è un non-sense -, con la benedizione di Biden e il nulla osta europeo è blandita, coccolata, avversata per finta in un minuetto di schermaglie amichevoli, mentre gli antifascisti in servizio permanente effettivo se ne stanno ritirati nelle loro caserme a giocare a briscola e scopa e i cani rabbiosi dei centri sociali sono accucciati dentro i covi a farsi le canne. Non disturbate il manovratore, è la velina che da Washington arriva nelle redazioni dei giornali e negli studi televisivi e i partiti di opposizione, i sindacati, i collettivi studenteschi danno prova di esemplare senso di responsabilità. Gli unici a scendere in piazza sono stati i grillini con l’avvocato del popolo che non ha ancora deciso quale causa gli conviene perorare e l’Elevato che dopo aver tirato un sasso ha subito nascosto la mano. Stai a vedere che in Italia si sta affacciando la democrazia. Ma è bastato che Berlusconi desse da morto un segno di vita politico o che un colpo di tosse segnalasse l’esistenza in vita di Salvini, che dal comitato di salute pubblica uscisse un sordo e minaccioso brontolio. Sono, loro, i nuovi partigiani, sempre pronti a nuovi autos da fé se la democrazia è in pericolo e il fascismo è alle porte.
Come quando Berlusconi, l’amico del socialista Craxi, del tutto estraneo alla cultura del ventennio, del tutto alieno, lui e la sua famiglia, da sospette nostalgie, vicino semmai alla tradizione della resistenza “bianca” scende in politica non per riproporre il cadavere del fascismo ma per impedire che i comunisti dopo il colpaccio di mani pulite si impadronissero del potere. Scuole okkupate, scioperi un giorno sì e l’altro pure, stampa scatenata e il braccio giudiziario del Partito che sfiora il colpo di stato. E che dire della Lega? andava bene quando Bossi faceva traballare il governo del Cavaliere ma da quando Salvini smette di strizzare l’occhio ai compagni diventa lei il rigurgito (i compagni soffrono di gastrite) reazionario e fascista e via con le lenzuolate sui 49 milioni, via con i presidi democratici: che i leghisti non si facciano vedere e non si azzardino a parlare, e ancora una volta l’attacco pianificato delle procure questa volta per il ritardato sbarco dei “disperati che fuggono da guerre, torture, cambiamenti climatici e voglia di lavorare”. Eppure non c’è un leghista di lungo corso che non si sia formato nelle parrocchie rosse, che non sia cresciuto all’ombra della resistenza e non sia stato allevato a latte e antifascismo. Qualcosa non torna.
Qualcosa non torna e giustifica il sospetto che ai compagni di fascismo e antifascismo gliene importa meno che nulla. La lunga marcia dei compagni verso il potere subì una brusca frenata per colpa di Berlusconi, riprese con Monti e proseguì sotto l’egida di Mattarella fino al colpaccio di un Salvini che si va ad alleare coi Cinquestelle e li mette di nuovo fuori gioco. E tanto basta per giustificare l’odio e i furibondi attacchi contro il Cavaliere prima e il Capitano dopo. Ma c’è evidentemente dell’altro, che dimostra come i compagni siano a loro volta dei semplici esecutori. Se, infatti, per il custode della costituzione antifascista, per i nuovi partigiani, per i sinceri democratici il neofascismo della Meloni è un vezzo di cui sorridere ma il liberalismo di Berlusconi era imperdonabile ed era imperdonabile la metamorfosi nazionale della Lega, la ragione non è solo l’okkupazione del potere anche perché la turba famelica degli ex missini, per questo aspetto assai peggio di berluscones e giallo-verdi, lascia agli altri solo le briciole e senza il collante del denaro la sinistra si sgretola. Risulta allora evidente che sono altre le colpe di Berlusconi o di Salvini e detto in altri termini, sono altri i piedi che si sono sentiti pestati e sono piedi capaci di sferrare calci formidabili. Piedi che la Meloni, col suo neofascismo farlocco e la sua bulimia si è guardata bene dallo sfiorare. Sono quelli dell’Europa e di chi regge i fili dell’Europa. Si ricordi che l’asse franco tedesco fu spezzato da Berlusconi, che riuscì a rinsaldare l’alleanza con gli Usa ribadendo il ruolo dell’Italia di superportaerei Nato nel mediterraneo e nello stesso tempo a stringere un rapporto di ferro con la Russia; il peso politico della Francia si ridusse a zero e i cugini d’oltralpe non la presero bene tant’è che a distanza di tanti anni l’odio nei confronti di Berlusconi rimane inalterato e non si attenua nemmeno con la sua morte. Ma anche Salvini è stato a lungo considerato una minaccia per l’establishment europeo. Una minaccia, ora lo possiamo dire, sopravvalutata, considerata la caratura del personaggio felicemente accomodato sullo strapuntino che la Meloni gli ha riservato ma pur sempre una minaccia. Fatto sta che di Salvini ce ne sono due: l’attore chiamato a interpretare un ruolo decisivo sulla scena politica a cui guardavano la Le Pen, Orbán e lo stesso Putin, leader di un’Europa dei popoli libera dal guinzaglio americano e il Salvini in carne e ossa, un politicante mediocre, inaffidabile e incredibilmente fragile, tanto da farsi mettere nel sacco dal furbo avvocaticchio del popolo sedotto dai salotti europei.
Giù la maschera e giù i pudore: se in Italia la diatriba sul fascismo si è scontrata con l’ingresso dei fratelli d’Italia (o d’America?) nei palazzi del potere, in tutto il cosiddetto Occidente democrazia, diritti dei popoli, convivenza pacifica si sono dimostrate parole vuote quanto e più dell’antifascismo nostrano. Concetti solidi rimangono l’espansionismo economico, gli interessi industriali, il capitale finanziario, le lobby massoniche annidate nelle fessure delle istituzioni che hanno il loro centro nevralgico fra Washington New York e la Silicon Valley, una realtà vera e non fantasia e speculazione rimangono l’imperialismo americano, il disprezzo americano per i diritti e la libertà dei popoli, e non dico della vita delle persone, un consumismo senza limiti e i rifiuto di accettare il confronto sul terreno della libera concorrenza. Una volta la sinistra almeno su questo aveva le idee chiare e dimostrava di conoscere bene la correlazione fra il livello etereo nel quale il denaro acquista corposità e valore e quelli del controllo politico, della ricerca tecnologica, del potenziale militare, delle guerre per procura e della guerra totale. E poteva capire che quella di Biden dopo la missione del segretario di stato americano a Pechino non è né una gaffe né una battuta ma una precisa posizione politica e le uscite demenziali di Zelensky non sono imputabili al comico ucraino: l’America in un mondo pacificato soffoca.
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In conclusione: lunga vita (politikca) a Putin, a Xi jinping, a Erdogan, e agli aiatollah iraniani! Si aspettano smentite.