UN POZZO SENZA FONDO

Oggi propongo la visione di questo video, che rappresenta la situazione in cui vivono milioni, se non miliardi, di persone. Un video che stringe il cuore. Eppure, c’è qualcuno che da questi disastri ambientali trae enormi profitti. Il percorso si ripete senza eccezioni: l’estrema miseria spinge ad emigrare, a qualunque costo. Un costo altissimo, in termini di reclusione e torture giornaliere in centri di detenzione che i nostri al confronto sembrano hotel a 5 stelle. Ma a sostenere la speranza c’è il sogno di un’Italia dipinta nei Paesi di origine come un eden felice, un miraggio che dà la forza di superare qualsiasi ostacolo pur di raggiungerlo.

Dacca, Bangladesh. Qui arriva la prima tappa di profughi che scappano dalla campagna e dalla costa a causa di siccità e inondazioni: un esodo non diverso da tanti altri, in vari continenti. Questa non è che la prima di successive tappe verso la Terra Promessa: l’Europa, con primo approdo in Italia 

PUBBLICITA’

Attraverso un viaggio tortuoso e irto di pericoli, alla fine si approda in Libia. E qui si infrange ogni speranza; a meno di pagare prezzi esorbitanti a criminali che gestiscono il traffico di disperati senza la minima pietà, anzi con l’accanimento di chi non riesce a far fruttare il bottino umano secondo le folli tariffe che solo la perdita della libertà, o peggio della vita, può giustificare.
Ma partiamo dall’inizio del viaggio. Già il numero di abitanti di Dacca, capitale del Bangladesh, 20 milioni e in tumultuosa crescita, fa capire che ogni proposito di aiutare con cristiana pietà la parte più povera di un simile conglomerato urbano, ossia la sua schiacciante maggioranza, dilagante intorno ad un centro ricco di grattacieli e magnifici resti di antichi fasti, è senza dubbio un pio desiderio; che ricorda il proverbiale tentativo di vuotare il mare con un secchio. Se allarghiamo il nostro orizzonte, ci rendiamo conto che il degrado umano e sociale di Dacca è sparso su tutto il globo, dove milioni di persone in condizioni analoghe sono le potenziali schegge della bomba demografica solo in minima parte esplosa. Pensare di accogliere o anche, come oggi anche il governo italiano pomposamente declama, di fornire aiuti economici a nazioni afro-asiatiche in incontenibile crescita, è chiaramente insostenibile: già ci mancano i soldi per attutire i disagi della nostra popolazione, figurarsi buttare altri soldi in quei pozzi senza fondo sparsi per il pianeta, dove chi ne beneficerà sarà solo l’élite al potere.

Tutta la retorica riservata ai migranti non trova riscontro nel comportamento delle aziende, il costo dei cui dipendenti si scontra con i loro profitti, anche per il gravame di tasse e contributi. Qui sopra Zuckerberg, META, così come Elon Musk, Tesla, Bezos, Amazon e Bill Gates, Microsoft, hanno licenziato, nel giro degli ultimi mesi, circa 10.000 dipendenti ciascuno. La sopravvivenza delle aziende è –giustamente- vista come prioritaria, pena il fallimento. Mentre una nazione che cerca di rintuzzare l’assalto di clandestini per non gravarsi di spese insostenibili e finire in default, è considerata inumana. Quanta umanità c’è nel brindisi delle Borse ad ogni licenziamento cospicuo? Le Borse sono come gli individui: egoiste. Lo Stato invece dovrebbe essere come Babbo Natale. Ma lo Stato è la somma di individui e dovrebbe condividerne l’auto-conservazione

Appurata l’impossibilità di frenare una crescita demografica demenziale, come pure quella di aspettarne un declino, chissà, nel 2050 o più oltre, che si afferma avverrà quando le condizioni di vita saranno meno grame, è un insulto all’intelligenza pensare di risolvere il problema con le elemosine tra Stati. Ed è un insulto anche all’ambiente: se quegli indigenti lo diventassero anche solo un po’ meno, a ribellarsi sarebbe proprio l’ambiente, al quale si dovrebbe attingere per raggiungere un sia pur modico aumento dei consumi, e quindi dell’inquinamento conseguente.
Sic stantibus rebus, prendere atto della nostra impotenza, che annulla la (verbosa) buona volontà di tanti generosi nostrani (a spese altrui), è doveroso. Come è doveroso ammettere, senza tanti giri di parole, che, se queste bombe demografiche sono un pericolo per la nostra sopravvivenza, e tanto più quanto più ci sforzassimo di “venir loro incontro”, i loro componenti diventano ipso facto nostri nemici. E come tali non si dovrà guardare a loro come persone da salvare in base a principi di solidarietà, che in emergenza vengono meno. Vita mea. Mors tua.
Ciò detto, mi provoca soltanto fastidio leggere di tutto il vociare e il trambusto, anche in sede giudiziaria, di “legge del mare”, tanto invocata da flotte di navi ong, finanziate da miliardari alla Soros e non solo, che cercano solo di lavarsi la coscienza per i metodi usati per arricchirsi a spese di altri meno accorti o informati di loro. Che senso ha tutto questo incrociare di navi di soccorso, report quotidiani su “Lampedusa al collasso”, senza almeno tentare di fermare il fiume alla sorgente, in particolare in Libia, principale e ultimo parcheggio prima della traversata mediterranea?

15 aprile 1986. Reagan con membri del Congresso, decide l’attacco alla Libia, d’accordo con la Francia di Sarkozy. Bombardamento e invasione di truppe sul suolo libico furono considerate pienamente legittime, così come le successive operazioni analoghe in Afghanistan e Iraq. Fare un’operazione di ben inferiore entità contro i criminali che operano impunemente in Libia, con tutto ciò che ne consegue per l’Italia, non viene neppure ventilato. Negli anni che ci dividono da allora, è cambiato l’assetto sociale, il linguaggio, con nuovi tabù e nuovi anatemi per i trasgressori, che impediscono di dire ciò che si pensa, almeno a livello mediatico e politico   

Non mi si venga a dire che, con tutta la tecnologia invasiva e vari livelli di servizi segreti a disposizione dei governi, non si sappia dove si trovano i centri di detenzione libici. Proprio in quella Libia che non ci si peritò di invadere per meno nobili motivi nel 2011. Certo, la speciale task force dovrebbe essere italiana, vista la neghittosità dell’UE nell’affrontare il colossale problema migratorio, dimenticando che i nostri confini sono anche confini di quelle nazioni che si rifiutano di accettare i migranti sbarcati in Italia. Se è un problema nostro, dobbiamo risolverlo noi. E la Meloni smetta di baloccarsi con l’UE: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Basta constatare come sul Trattato di Dublino, che nega questa evidenza, tutti i Paesi che non hanno confini mediterranei, fanno orecchie di mercante al solo pensiero di modificarlo.
Certo, una simile operazione di polizia internazionale non sarebbe sufficiente a disincentivare le partenze dai luoghi di origine, ma sarebbe un primo segnale che non intendiamo farci carico nell’attuale misura dei problemi di sovrappopolazione che affliggono il mondo. Gli esuberi di questi Paesi diventano nostri potenziali nemici ogni qualvolta partono per raggiungere l’Italia, nuovo “bel suol d’amore”, per una beffarda nemesi storica. E come nemici vanno trattati, dissuadendone i tentativi di violare i nostri confini anche militarmente. Tutto il contrario di cosa stanno facendo i nostri mezzi militari, che stanno anzi incentivando le partenze andando a soccorrere e imbarcare migranti avventuratisi in mare in condizioni perigliose contando proprio sui loro interventi “umanitari”.

Immagini d’epoca (1911) a corredo della guerra italo-turca, essendo Cirenaica e Tripolitania ancora parte dell’impero Ottomano. Un conflitto disastroso e pressoché inutile per l’Italia, precursore di quello del 1986. Oggi sembra che toccare il suolo libico sia un’impresa impossibile, pur avendo scopi ben più nobili di quelli coloniali e neocoloniali appena citati

Sul termine “umanitari” c’è da spendere qualche parola, che suonerà dissonante con il linguaggio da libro Cuore oggi imperante, a destra come a sinistra. Umanitario deve avere un duplice significato: verso gli altri e verso se stessi, nel senso di auto-difesa, auto-conservazione. Con il primo che non deve prevalere sul secondo; altrimenti diventa abnegazione, sacrificio, eroismo. Termini che valgono soltanto verso chi si prova amore: dal coniuge ai figli ai parenti stretti, con un salto diretto verso la propria nazione, con spirito patriottico. Mi chiedo in quanti dei buonisti di professione che oggi si sgolano a favore dell’invasione di clandestini, alberghi questo amore: cosa sacrificherebbero dei loro privilegi per darli a loro? In ogni caso, sarebbero gocce nel mare.
Solo in un caso questa sperticata partigianeria a favore delle straniero in quanto tale avrebbe un senso: se equivalesse ad una dichiarazione di ripulsa della nostra civiltà, considerata corrotta e decadente, premiando quella dei migranti come il traguardo da raggiungere. In sostanza, una povertà per scelta, un pauperismo alla san Francesco. La condanna esplicita dello stile di vita occidentale, del resto, è già ampiamente in atto da parte del mondo islamico più osservante, non ultimo la stessa Turchia di Erdogan. [VEDI] E non a caso, sono le nostre sinistre che giudicano negativamente gli USA e il loro (e per imitazione anche nostro) stile di vita, a fare il tifo per l’invasione dei clandestini.

La Turchia a guida Erdogan è sempre più anti-occidentale, criticandone lo stile di vita consumista e licenzioso. Siamo visti come sudditi di un impero decadente, con tutte le mollezze e i vizi che lo distinguerebbero dal mondo islamico osservante e rispettoso delle regole coraniche

Diciamolo pure: è uno scontro di civiltà, in primis all’interno delle stesse nazioni occidentali, con in testa l’America, profondamente divisa tra la visione di Trump e quella dei dem; col primo che innalzava muri al confine col Messico, e i secondi che lo criticavano. Salvo poi confermare quella scelta una volta tornati al governo. In pratica, una sterzata opposta a quella della nostra destra, che parlava di blocco navale in campagna elettorale. E cos’altro significa il blocco navale se non la difesa militare, armi comprese, contro chi si appresta a varcare senza permesso la nostra frontiera?
Paradossalmente, quella stessa destra che vantava di ricorrere alle armi per frenare il flusso nemico, sta inviando invece quelle armi all’Ucraina, rischiando un’escalation che, anziché agevolare la soluzione del conflitto con la Russia, rischia di trasformarlo in nucleare.  

Marco Giacinto Pellifroni 
25 giugno 2023

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.