Politica nazionale

RISCHI DEMOCRATICI
IL REGIME PERSONALE DI TIPO MEDIATICO

RISCHI DEMOCRATICI
IL REGIME PERSONALE DI TIPO MEDIATICO
 

Gli avvenimenti di questi ultimi giorni hanno posto in evidenza un forte deterioramento nella qualità della democrazia in questo nostro disgraziato paese.
Il riferimento, è ovvio, va alla possibilità dell’esistenza di telefonate tra il palazzo del Governo e una questura della Repubblica al fine di evitare, ad una persona indiziata di reato, di essere trattenuta a fini di giustizia.

Una situazione che, date le circostanze complessive, dà ragione a quanto scrisse a suo tempo il prof. Giovanni Sartori nel suo libro “Il Sultanato” (con annessi e connessi, senza ulteriori precisazioni e/o commenti).

Il ragionamento, dal nostro punto di vista, deve prendere in considerazione l’itinerario attraverso il quale si è giunti a questo stato di cose: senza capire da dover siamo partiti sarà difficile proporre rimedi, ed infatti la sinistra oscilla tra un balbettio indistinto e l’assunzione, almeno sul piano comunicativo, del modello dell’avversario per cercare di batterlo su di un terreno esclusivamente mediatico

Ilvo Diamanti recensendo il testo di Bernard Manin “Principi del governo rappresentativo” (Il Mulino,2010) asserisce come sia forte, in Italia, la tentazione di parlare di democrazia al passato e prosegue significando come la democrazia abbia contaminato sé stessa, riducendosi ad uno scheletro di procedure (da Colin Crouch ad Alfio Mastropaolo sono molti gli autori che si muovono in questa direzione d’analisi).

Egualmente si afferma come la degenerazione del processo democratico si orienti, ormai, verso il populismo, altro termine ormai di largo uso: dove il popolo (magari quello delle “primarie”) è una entità indistinta, piuttosto che una comunità partecipe dei cittadini.

Questa lettura, in Italia si è affermata dal 1994 in avanti: allorquando, adottando il sistema elettorale maggioritario dopo aver considerato quello proporzionale causa di tutti mali derivanti dal consociativismo, si è cominciato, giornalisticamente, ad usare in maniera del tutto impropria il termine Seconda Repubblica, allontanando l’idea della centralità del parlamento e delle assemblee elettive affermata dalla Costituzione Repubblicana per privilegiare l’idea della personalizzazione della politica che ha avuto, sul territorio, esiti devastanti in particolare con l’elezione diretta dei Presidenti di Regione, sul cui esito complessivo non ci soffermeremo in questa sede ma anche andrebbe analizzato con grande attenzione.

Insomma, il cuore del problema risiede a Palazzo Chigi ma le sua ramificazioni sono articolate sul territorio e meriterebbero una attenzione particolare, prima di tutto da parte degli studiosi.

Sono scomparsi i partiti, o meglio, sempre come sostiene Manin si sono riorganizzati (detenendo un fortissimo potere di spesa, derivante dal finanziamento pubblico e di nomina, derivante dalle leggi elettorali laddove prevedono, Sindaci, Presidenti di Provincia e Regione l’elezione diretta magari con annessi “listini”, o le “liste bloccate” come nel caso del Parlamento nazionale: un tema che fa emergere la necessità di una modifica del sistema elettorale) intorno ai leader: coerentemente con il processo di presidenzializzazione in corso.

In questo quadro (ed invitiamo, ancora una volta, la sinistra a riflettere meglio sui meccanismi che si stanno adottando per cercare la propria riorganizzazione) siamo ad una vera e propria crisi degli attori della rappresentanza: quelli che dovrebbero garantire controllo e dibattito sulle pubbliche decisioni.

In Italia, al centro come in periferia, questo equilibrio di controllo e di dibattito appare violentemente “squilibrato” ( entrerebbe in gioco, a questo punto, il tema dei mezzi di comunicazione di massa, con il progressivo allineamento di quotidiani e riviste al modello imposto dalle TV, ma si tratterebbe di un discorso troppo lungo da fare in questa sede)

E’ questo l’aspetto che distingue il “caso italiano” (accezione usata, in questa occasione, come segnale di “retroguardia” mentre, in passato, la definizione di “caso italiano” poteva ben essere considerato di “avanguardia”), con la concentrazione dei poteri essenziali, governo, partiti, media, in una sola persona (anche qui ci ripetiamo: attenti a sinistra! Questo terreno, come vedremo meglio in seguito, è del tutto congeniale alla destra, e in particolare ad una destra ferocemente populista e antidemocratica come quella italiana).

La “democrazia del pubblico all’italiana” appare davvero configurarsi come “post-democratica”.

Quale può essere l’esito di questo stato di cose?

Il percorso battuto dal partito del premier è costretto dalla forza delle cose a seguire una logica eversiva del sistema costituzionale italiano: una logica che, in forme nuove, ripropone un meccanismo di capovolgimento dell’assetto democratico del Paese.

Sabino Cassese pubblicando “Lo Stato Fascista” presso il Mulino (raccolta delle sue lezioni sull’argomento tenute presso la Scuola Normale di Pisa) , evita ogni definizione astratta (regime totalitario? Autoritario? Corporativo?). E’ un avvertimento da seguire.

Non si tratta di definire o catalogare niente, né il fascismo, né i rischi insiti nell’evolversi dell’attuale regime.

E’ la logica istituzionale che si deve cercare di capire, a partire dalla legge elettorale che nel 1924 ha dato la maggioranza assoluta a chi aveva superato il 25% dei suffragi (in verità i fascisti ne presero, comunque, molti di più..) fino alla trasformazione successiva del regime maggioritario in regime plebiscitario attraverso la metamorfosi della Camera elettiva in una rappresentanza organica e rappresentativa non elettiva (effetto immediato del leaderismo di allora che potrebbe diventare effetto immediato anche del leaderismo di oggi).

Tralasciamo il discorso sulla giustizia che sarebbe il più delicato ed importante e limitiamoci a ricordare la massiccia campagna di disinformazione in atto per impedire che l’opinione pubblica comprenda appieno la posta in gioco: da questo punto di vista, è bene segnalarlo senza incertezze la posto in gioco è quella di arrivare ad uno stravolgimento della giustizia nel nostro Paese allo scopo di conseguire esclusivamente fini personali ( sta in questo punto la differenza concreta tra il fascismo, “regime reazionario di massa” come valutato da Gramsci in una analisi poi ripresa e approfondita da Togliatti nelle sue “Lezioni sul fascismo”, e la situazione di oggi tendente ad instaurare un vero e proprio regime personale di tipo mediatico, di “limitazione della democrazia”).

Queste considerazioni si fanno (ha scritto Adriano Prosperi) perché l’esperienza del passato va tenuta presente.

Manca, in questa battaglia che dobbiamo ancora ingaggiare per difendere davvero la nostra democrazia da gravi rischi, il contributo di scienze come la storiografia, le scienze sociali e quelle giuridico-istituzionali (salvo qualche presa di posizione soggettiva, oppure il malaugurato intervento di qualche “apprendista stregone” in cerca di notorietà inventore di una impossibile “vocazione maggioritaria”).

Sarebbe opportuno che i partiti dell’opposizione, parallelamente al coinvolgimento dei cittadini coscienti e responsabili (un coinvolgimento che deve avvenire al di fuori da qualsiasi tentazione leaderistica e populistica che pure sta attraversando parti del corpo della sinistra) pensassero anche ad una diretta chiamata in causa di chi opera nei campi di ricerca appena indicati, allo scopo di aprire una discussione seria, approfondita, collettiva, con l’obiettivo di proporre un modello di vita politica, istituzionale, sociale alternativo a quello (così pericolosamente) corrente.

Savona, 30 Ottobre 2010                                               Franco Astengo

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.