Venti di guerra fra conflitti insanabili e sordidi interessi

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All’inizio degli anni Ottanta fra i miei studenti c’era un ragazzo saharawi che al termine di una lezione mi chiese come si sarebbe risolto il conflitto israelo palestinese. “Non c’è soluzione”, gli risposi seccamente lasciandolo deluso e turbato.  A oltre quaranta anni di distanza la mia risposta sarebbe la stessa e i tragici fatti di questi giorni mi danno ragione. Tanta, troppa enfasi nelle dichiarazioni, negli editoriali, nelle cronache cartacee e televisive ma ha ragione Mieli: se muore un ebreo il lutto dura lo spazio di un minuto. Io aggiungerei che più quel lutto è straziante tanto meno è credibile, soprattutto in un momento storico come quello che stiamo attraversando, quando tutti i sentimenti sembrano artefatti e gli unici atteggiamenti autentici sono il cinismo e l’indifferenza. Sta il fatto che è passato in fretta il tempo delle vesti stracciate e del siamo tutti israeliani per far posto alla voglia smodata di mostrare cadaveri fatti a pezzi, di suggerire con sospetto compiacimento l’immagine di bambini decapitati con l’ipocrita postilla di non poterle mostrare, nell’indugiare su loro numero – sono quaranta, no, qualcuno di meno, anzi forse di più secondo altre fonti…- come se avesse qualche rilevanza, quando la ricerca del sensazionale e del raccapricciante avrebbe dovuto cedere il passo alla sobrietà, al raccoglimento, alla compostezza della pietà e, vivaddio, al silenzio.  Ma non c’è traccia di pietà nel fiume di parole, nell’iperbole, nella commozione ostentata. E infatti non  passano  quarantott’ore che le voci prima sommesse dei sì ma però diventano un coro assordante, il focus si sposta dalle culle profanate alla disperazione dei palestinesi – che sono sempre quelli dei festeggiamenti all’indomani dell’11 settembre – ed ecco che tutto l’occidente si mobilita per chiedere a Israele moderazione o quanto meno una risposta proporzionata (che significa? non superare la soglia dei mille morti, o dei cinquemila, o quanti?) mentre le piazze europee si riempiono di nordafricani, immigrati di prima seconda o terza generazione, e in Italia il Pd dà la stura alla canaglia dei centri sociali e dei collettivi studenteschi in uno sventolio di bandiere palestinesi fra  le urla scandite contro Israele – ti pareva – fascista.  D’altronde i compagni sono maestri nel versare una lacrimuccia sul rastrellamento tedesco nel ghetto di Roma e nello stesso tempo sorridere con indulgenza alla caccia all’ebreo.

E proprio mentre scrivo  sento quel buontempone  che dal colle più alto stigmatizza il ricorso all’acqua e al cibo come armi: guai a chi  (s’intende Israele) riduce alla fame e alla sete un popolo inerme (s’intende i palestinesi di Gaza)!  Peccato che da quello stesso pulpito non si levò un fiato quando i gloriosi guerrieri ucraini massacravano a colpi di mitra i prigionieri russi dopo averli fatti sdraiare per terra. Poi  il missile sull’ospedale, prima sicuramente israeliano, e via con le articolesse indignate, poi il panico nelle redazioni: ma è stato davvero Israele? e infine contrordine compagni, sono stati i palestinesi e non resta che  cambiare le firme, giù altre articolesse  fidando nell’amnesia dei lettori. Ma il nostro governo e il nostro sistema di dis-informazione sta cercando disperatamente  di farsi dare le dritte da un padrone che ancora non gliele può dare perché sta giocando una partita più che complessa e contorta senza regole.

Perché se è vero com’è vero che il conflitto israelo palestinese non ha soluzione (come non ha soluzione il conflitto ora latente ora scoperto fra il mondo laico e il confessionalismo islamico) è anche vero  che  in tanti, arabi e occidentali, si sono impegnati a costruire in Palestina una casamatta che in qualunque momento chi ne ha interesse può far saltare in aria. E, quando tutt’intorno il terreno è minato, l’esplosione può dar luogo ad una deflagrazione generale. Quello che sorprende è il paraocchi di analisti e esperti di geopolitica che evitano accuratamente di prendere in considerazione e mettere in fila i fatti più eclatanti degli ultimi mesi. A cominciare dalle capriole dell’Arabia saudita, storico alleato degli Stati uniti, retta da un regime teocratico nel quale però la fede religiosa è subordinata al potere politico e agli interessi economici, che si sta  – si stava – apprestando a normalizzare i suoi rapporti con Israele,  si è avvicinata alla Russia e bussa alla porta del Brics. Ce n’è abbastanza per accendere  la miccia e  attribuire la mano che  tiene il fiammifero alla Suprema Guida  e agli ayatollah legati a doppio nodo ad Hamas.

Gli americani di fronte alla prospettiva che la fine del monopolio del dollaro negli scambi commerciali mondiali faccia scoppiare la bolla dell’economia virtuale stanno perdendo la testa e mettono sul piatto l’opzione di una guerra planetaria.  Dopo aver scatenato la guerra in Ucraina  – una faccenda che avrebbe potuto risolversi in un paio di giorni indicendo referendum nel Donbass sotto l’egida delle Nazioni unite perché non è tollerabile che uno Stato soffochi nel sangue l’autonomismo in una parte del “suo” territorio – sono impegnati nella destabilizzazione del medio oriente e in cerca di un pretesto per invadere Teheran. L’Iran, infatti, oltre che parte del gruppo che comprende oltre la Cina e la Russia tutte le economie emergenti,  viene fatta passare per la centrale del radicalismo islamico e del terrorismo internazionale, un giochetto già riuscito con Gheddafi e con Saddam Hussein (quando l’unica prova provata di un intervento esterno in favore degli islamisti è quello americano con i talebani).  Ma in un conflitto che mette definitivamente fuori gioco l’autorità palestinese (l’Anp di Mahmoud Abbas), provoca stragi di civili, minaccia il fragile equilibrio che ha consentito lo sviluppo urbanistico della striscia di Gaza  (con ottimi affari per le aziende europee) e mette a rischio la stessa autonomia della Cisgiordania, l’Iran non potrebbe stare a guardare, pena il crollo del potere degli ayatollah. Ed ecco tutto il mainstream speranzoso e col fiato sospeso in attesa che alle roboanti parole della Guida Suprema seguano i fatti. E invece nulla; e allora salta per aria un ospedale, televisioni e carta stampata occidentali vomitano immagini drammatiche di madri disperate, corpi martoriati, bambini insanguinati; e ancora nulla, da Ali Khamenei solo parole di condanna, e poi lo smacco: ci sono prove che non sono stati gli israeliani a bombardare l’ospedale.

Con la beffa di una Cina che si offre come mediatore e lo schiaffo di un Putin incredibilmente freddo che con la sua imperturbabilità e il suo equilibrio esaspera lo zio Sam. Come si fa allora ad attaccare l’Iran? Insomma finisce che è Biden  a prendere le parti dei palestinesi  e a invitare Netanyhau alla calma. Se questo è lo stato dell’arte si capisce perché il padrone americano non si decide a dare ordini precisi ai suoi servitori europei, costretti ora a un bla bla ambiguo e confuso (vedi la Meloni, che fra i servitori è quello più zelante). L’unico dato certo è che l’ordine di attaccare ai tagliagole palestinesi non glielo hanno dato gli ebrei e che Netanyhau da questa tragedia ha soltanto da perdere mentre a guadagnarci  sono gli americani  e la jihad. Il fondamentalismo islamico si nutre del sangue dei martiri e rafforza la sua presenza in Europa con l’incosciente solidarietà della sinistra di tutte le sfumature; ma, lo ripeto, chi sicuramente ha più da guadagnare  da un terremoto in medio oriente e non si perita a scherzare col fuoco di una guerra mondiale sono gli americani. L’ottimismo è d’obbligo: saranno russi e cinesi a impedire che l’Iran faccia la mossa falsa che qualcuno si augura.  Biden  vola a Tel Aviv, un discorso sofferto di solidarietà a Israele ma con sottotraccia le rassicurazioni (dollari) per i palestinesi, vale a dire Hamas: come tenere  i piedi in due scarpe.  Ma chissà come Biden, uomo di pace buono a destreggiarsi fra Hamas e Israele  con le due portaerei ferme davanti alle acque di Gaza, zitto zitto  manda a Zelensky missili a lungo raggio (dopo aver per mesi dichiarato inconcepibile ed esiziale questa eventualità)   con cui l’ex comico si affretta  a colpire il territorio russo. Se questa non è una plateale dichiarazione di guerra… Ma Putin ha evidentemente nervi di acciaio.

PUBBLICITA’.  Il primo che riuscirà a capire il nesso della frase in francese con l’immagine avrà diritto ad un bicchierino di Barolo Chinato omaggio con i complimenti dello staff.

A questo punto mi si potrebbe chiedere: ma tu da che parte stai  e come pensi che andrà a finire? Non ho dubbi: è per me inconcepibile altra posizione che non sia di condanna di Hamas e solidarietà per Israele  per il solo fatto che la causa palestinese coincide con il più rozzo islamismo.  Provo orrore per qualunque forma di imposizione o anche solo di manifestazione della fede, figuriamoci per una fede aliena. La religione, a cominciare da quella cristiana, è sempre stata una minaccia per l’umanità, ha  generato odio e intolleranza e accecato le coscienze rendendo gli uomini colpevoli delle peggiori nefandezze. E, come ho accennato sopra, mi resta difficile scindere i palestinesi dal fanatismo religioso. Il mio atteggiamento cambia se, in astratto e in pura via ipotetica, mi riferisco alla condizione di un popolo con tutte le sue  caratteristiche etniche linguistiche e culturali  che si trova in seguito a vicende storiche di cui non è responsabile privo di un territorio in cui stare.  E davanti a lui la fame di terra di Israele che con un territorio di 22 mila Km quadrati accoglie una popolazione che si avvia rapidamente verso i 10 milioni con un trend di crescita determinato dall’alta natalità, soprattutto della minoranza araba e dalla continua immigrazione di ebrei dall’Europa e dagli altri continenti.  Lo Stato d’Israele, coronamento del movimento sionista, nacque nel 1948 per iniziativa britannica sulla scia della partecipazione alla guerra della legione ebraica a fianco degli alleati. Assolutamente minoritario fra gli ebrei  fino all’ondata di antisemitismo che travolse l’Europa nel ventesimo secolo, il sionismo, vale dire l’obbiettivo di uno stato ebraico, divenne un’ancora di salvezza e una garanzia per il futuro di milioni di persone di religione ebraica sopravvissute all’olocausto che si condannarono però ad una eterna conflittualità con i discendenti delle tribù arabe che nei secoli si erano istallate in quella che era stata la Terra Promessa, lo stato giudaico distrutto dai romani nel 70 dopo un millennio di storia. Bene, personalmente non nutro alcuna simpatia per il sionismo e l’idea di voler tornare indietro di venti secoli  la considererei folle se non fosse giustificata dalla follia assai peggiore della ghettizzazione, della persecuzione e infine dello sterminio degli ebrei. Senza questa follia, alimentata dal cristianesimo e dalla xenofobia delle popolazioni slave e germaniche, gli ebrei avrebbero continuato ad essere il fior fiore dei popoli europei, una minoranza capace di apportare un contributo eccezionale alla civiltà europea soprattutto quando i suoi membri si liberavano dall’ipoteca religiosa. È sufficiente ricordare i nomi di Spinoza, di Marx, di Freud, di Einstein.    La stupidità del popolino tedesco, dei contadini austriaci o polacchi, dei montanari cechi o dei pastori ucraini e il cinismo demagogico della cricca nazionalsocialista  ha fatto perdere il meglio della nostra società, ci ha privato delle più acute libere e spregiudicate intelligenze.

La storia spesso prende una brutta piega checché ne dicano le anime belle  convinte delle “magnifiche sorti e progressive”. L’ha presa con l’invasione cristiana dell’impero romano, l’ha presa con la distruzione della civiltà rinascimentale italiana ad opera di francesi  tedeschi e spagnoli, l’ha presa col dilagare del socialismo reale  e con l’avvento dell’impero del dollaro. Ma l’Europa ha continuato a nutrirsi del fiume carsico della civiltà antica, il rinascimento si è imposto sulla barbarie dei conquistatori, il comunismo è crollato come un castello di carte;  perché tutto passa  e passerà anche l’imperialismo americano. L’uomo però nasce da un legno storto, dice il filosofo,  altre sciagure ci attendono  e ogni volta  che si risorge le ferite rimangono e il recupero non è mai completo.  Oggi ci tocca assistere alla ferocia bestiale di Hamas e ad un’untuosa diplomazia che la vorrebbe a un tavolo per trattare; quasi  venti anni sono passati da quando a Madrid  i militanti di al Qaida piazzarono dieci bombe su quattro treni pieni di pendolari provocando quasi duecento morti e più di duemila feriti. Non era il primo ma per la sua gravità avrebbe dovuto essere l’ultimo attentato arabo islamico in Europa. Sono passati meno di venti anni e pochi se lo ricordano; altri ne sono seguiti, dal Bataclan ai mercatini di Natale, una scia di sangue che non accenna a interrompersi. Eppure, secondo ragione, dopo Madrid  nessun musulmano avrebbe più dovuto mettere il becco in Europa:  così sarebbe stato cento o mille anni fa. La dignità di un popolo si misura anche con la sua capacità di reagire, con la sua memoria e con la sua durezza. E  lo Stato ha senso solo se è capace di tutelare la sicurezza dei suoi cittadini e, se mi si consente, di vendicarli. Quindi, per concludere, mi pare ovvio da che parte stare; su come andrà a finire? non finirà.

Pierfranco Lisorini

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