Un articolo dedicato alla marchesa Artemisia De Mari, proprietaria della chiesa della Madonna degli Angeli nella seconda metà dell’Ottocento
Artemisia, la marchesa che scalò il Corno Bianco
DE MARI nobile famiglia di origini genovesi nel 1528 aggregata all’albergo Usodimare
a cura dell’Associazione GPN2010 foto di Walter Donegà
“Erano le ore 1 e 3/4 del mattino del giorno 8 settembre 1871 quando la comitiva era già allerta per proseguire, al chiaror della luna, la salita al Corno Bianco. Alla comitiva della marchesa si aggiunsero alcune persone del paese, venute esse pure a Pissole coll’intenzione di fare l’istessa ascensione. Cosicché, quando alle 6 e 40 del mattino raggiunsero la vetta, gli ascensori erano al bel numero di 14. Le condizioni atmosferiche sgraziatamente erano quelle dominanti già da molte settimane, le nebbie non tardarono ad occupare la miglior parte del panorama. Onde fu che, sebbene a malincuore, alle 8 e 20 minuti si decretò la partenza. Si discese al Lago Nero, varcando il transito che s’apre fra le rupi, ed è esso che io proporrei di battezzare con il nome di Passo Artemisia, a memoria della coraggiosa signora marchesa De Mari, che prima fra le donne italiane seppe varcarlo intrepida”
Con queste parole l’abate Antonio Carestia descrisse quella ascensione. Attento conoscitore della montagna, egli visse gran parte della sua vita e morì in Valsesia, ove realizzò la maggior parte delle sue indagini botaniche.
Questa passione la ereditò dal padre chirurgo che studiò botanica all’Università di Grenoble. Antonio Carestia entrò in seminario a Novara, dove seguì gli studi ecclesiastici, prima di ritornare a Riva Valdobbia come cappellano. Si occupò di piante studiando e raccogliendo specie sia vecchie sia scoprendone di nuove, arrivando a compilare un erbario composto di circa 25.000 specie. Artemisia De Mari aveva da poco compiuto 31 anni, non era “di quelle signore o vanitose o meschinelle che per servire alla moda del giorno si adattano, se necessario, anche a fare una salita ai ghiacciai del Rosa e del Cervino, no; essa ha invece cercato in quei monti la quiete dello spirito e la calma alle angosce che le straziavano il cuore per la morte immatura di una sua fanciulla. Affranta dal dolore e dalla tristezza cercava nella limpida serenità del cielo, nelle maestose foreste di larici e di abeti, quel sorriso dolce che la natura sa dispensare a chi ne esplora le infinite bellezze” Provate a immaginare quando il buio piano piano cede alla luce dell’alba e le ombre si ritirano dalle vette per poi scivolare via lungo le pareti rocciose e il camminare in montagna ci conduce, passo dopo passo, alla conoscenza di noi. Gli alberi contengono l’antica sapienza del mondo, hanno fatto compagnia all’uomo fin dall’alba dei tempi attraverso un rapporto mistico e simbolico. Quando il silenzio è interrotto solo dal soffiare del vento che arriva da lontano e gli alberi vibrano al suo passaggio, riusciamo a fare ordine tra i pensieri in modo che questi fluiscano fino a raggiungere la parte più recondita del nostro essere. E poi, raggiungendo la vetta non restiamo che noi, con lo sguardo che si perde nell’infinito e il cielo ad un solo passo. Ogni escursione lascia una traccia indelebile nella nostra anima, ci insegna a dare il giusto valore al tempo, a ridimensionare i problemi, a fare nostri gli insegnamenti di chi ha vissuto prima di noi, perché le montagne sono luoghi immutati nel tempo, ove ci si sente parte di un tempo già vissuto e che tanti altri vivranno.
LA VITA: la marchesa Artemisia apparteneva alla nobile famiglia De Mari, per la precisione al ramo presente a Savona dalla seconda metà del Seicento. Nacque il 23 luglio 1840, figlia unica di Bianca Sauli prima moglie di Domenico De Mari, che sposò nel 1839; la quale morì a soli 36 anni, il 21 aprile 1856, lasciando tutte le sue proprietà alla figlia Artemisia. La marchesina appena dodicenne si trasferì a Firenze, ove compì i suoi studi presso il monastero della Santissima Concezione, in via della Scala, dal 1852 al 1857. La sua vita fu segnata da lutti e dispiaceri famigliari. Nel 1862 sposò il Marchese Marcello De Mari, Senatore del Regno nella XVII legislatura. La giovane marchesa Artemisia non solo fu abile escursionista, ma amava anche la botanica e l’entomologia. Partecipava spesso alle comitive venatorie costituite da Giacomo Doria, botanico e politico italiano, Abdul Kerim e Agostino Gnecco, il quale aveva il compito di raccogliere le prede. Il nome della marchesa De Mari è rimasto eternato nel Museo Civico di storia naturale Giacomo Doria di Genova, ove è conservato un coleottero da lei scoperto e per questo denominato “Trechus Artemisiae”. Fu madre di sei figli e fu costretta a soffrire l’immenso dolore del vederne morire quattro. Nicoletta e Bianca morirono in tenera età, l’una prima di aver compiuto cinque anni e l’altra quando iniziava a fare i primi passi. A soli 16 anni morì Domenico, mentre frequentava il Collegio di Moncalieri e dieci anni dopo la sorella gemella Maria morì di parto a soli 26 anni. Il primogenito Ademaro verrà da lei diseredato e questo le recò un forte grave dispiacere; disapprovava il matrimonio del figlio con Virginia Cazzaniga perché lo considerava contrario alla sua dignità e al decoro della famiglia. Il figlio Gerolamo destinato ad essere unico erede, dilapidò l’intero patrimonio negli anni della belle époque e quanto il padre morì tutte le proprietà vennero cedute ai suoi creditori. Nell’agosto del 1899, ormai prossima alla fine, Artemisia De Mari rifiuterà anche l’ultimo saluto del figlio Ademaro. Ella morirà il 10 agosto, nelle stanze del bellissimo palazzo De Mari, eretto agli inizi del ‘700 nel borgo superiore, in via del Mercato Vecchio n°5 a Savona.
Nell’autunno del 1914 si concluderà il legame della nobile e ricca famiglia De Mari con la città di Savona. Dal matrimonio di Gerolamo, il figlio più piccolo della marchesa Artemisia, con Giuseppina Fumagalli, nel 1915 nascerà Giuliana, ultima marchesa del ramo savonese dei De Mari.
Articolo tratto della rivista GM Gente in Movimento