TEMPI E I LUOGHI DI STEFANO DELLA BELLA
Firenze, Roma e Parigi, con l’aggiunta di un breve ma suggestivo viaggio in Olanda sono i tre poli geografici entro i quali si muove l’itinerario umano e la carriera artistica di Stefano Della Bella: se si intersecano questi luoghi con le coordinate cronologiche dell’artista durante il secondo terzo del seicento la deriva un tracciato di singolare densità. Padrone delle proprie scelte espressive capace di raggiungere il successo muovendosi anche controcorrente, Della Bella trova ripetutamente un ruolo di primo piano nel vivo di situazioni di grande densità a contatto con i maggiori protagonisti del dibattito culturale e artistico del tempo.
Nella biografia di Stefano Della Bella, mancano momenti romanzeschi, fatti clamorosi, vicende particolarmente memorabili; ma, forse proprio per questa mancanza di pathos narrativo – peraltro ampiamente riscattata dall’importanza degli incontri con personalità eminenti nell’arte e nella politica – gli scenari umani, artistici e ambientali sono lo sfondo reale, sempre mutevole e ricco su cui Della Bella proietta episodi e personaggi di una commedia umana narrata per immagini, con la piena e costante consapevolezza di essere calato nel proprio tempo e di volerne essere insieme testimone attore.
Il primo atto dell’avventura di Stefano Della Bella si svolge a Firenze e quando “Stefanino” viene alla luce nel 1610, era morto da due anni Giambologna, l’ultimo grande interprete dell’esausto Rinascimento, avvolto nella spirale narcisistica e sofisticata nel manierismo.
Dunque Stefano Della Bella non soffre di alcuna nostalgia di una “età dell’oro” trascorsa. Tutta la sua vicenda umana e artistica si svolge sotto l’insegna tanto vilipesa quanto affascinante del barocco, di cui può abbondantemente assaporare i toni forti, gli affetti estremi, di gusto per l’agudeza e la meraviglia impastato con la polvere di tutti i giorni.
Rimane orfano troppo presto per essere definito figlio d’arte, ma grazie all’attività dei fratelli ha la possibilità di familiarizzare fin da bambino con temi, tecniche, strumenti e materiali molto diversi. Nella congiuntura domestica e nell’iter dell’apprendistato si fondono pittura, scultura e oreficeria: com’era nella logica dell’eccellenza poliforme del XVII secolo in particolare di quello fiorentino, ma anche come voleva l’antica tradizione delle botteghe. Non stupisce dunque che un ragazzo talentoso quale Stefano Della Bella abbia trovato nello storico “primato del disegno” la propria dimensione artistica.
La diffusione, a partire dal secondo decennio del Seicento, delle incisioni di Jacques Callot gli apre gli occhi verso orizzonti nuovi. Le figurette nervose e veloci, il palpitante senso della vita, il variare di inquadratura dai piani vicini ai panorami più distesi, la paradossale capacità di raccontare la storia europea attraverso gli episodi minimi, le retroguardie, la periferia. Partendo dalle incisioni di Callot (conosciute tramite le affettuose sollecitazioni di Remigio Cantagallina) Della Bella si avvia verso le scelte tecniche ed espressive fondamentali della sua carriera. Si è spesso insistito, nella storiografia critica del passato, sullo stretto rapporto, quasi sul debito di Della Bella nei confronti di Callot. È senza dubbio vero che le incisioni e i disegni del lorenese hanno giocato un ruolo decisivo nell’adolescenza del talentuoso fiorentino: ma già dai fogli più antichi, realizzati ben prima dei vent’anni d’età, Della Bella mostra i segni precisi di una convincente autonomia. Fra gli aspetti più caratteristici c’è il gusto per la caricatura, per il dettaglio insolito, per il divagare fra cronaca e pettegolezzo. Se poi vogliamo aggiungere un dettaglio iconografico, mentre Callot si diverte con le maschere della Commedia dell’Arte, Della Bella partecipa con passione alla nascita di un nuovo teatro musicale, più colto ma non meno fantasioso nelle scene, nei costumi.