SPIGOLATURE: VERITÀ IN RUSSO SI SCRIVE PRAVDA…

MALUMORI. Verità in russo si scrive Pravda… Come titolo di testata, la Pravda fu per molti anni organo ufficiale del partito comunista. Se poi fosse “verità” tutto ciò che pubblicava, è materia opinabile. Non cala, invece, tra la popolazione il bisogno di verità sull’andamento della guerra contro l’Ucraina e sul reclutamento delle giovanissime leve spedite al fronte. I russi hanno notizie soltanto attraverso la narrazione ufficiale. Qualcosa tuttavia riesce a trapelare dalla cortina di omertà. Ormai pare che dopo l’umiliante ritirata da Kherson si stiano moltiplicando le voci di pesanti malumori contro Putin. A Mosca insomma si teme che la disfatta di Kherson renda ineluttabile la resa seppure soffocata e ritardata dai violenti, prevedibili colpi di coda degli invasori. E chissà che finalmente la Pravda riesca a uscire in edizione speciale per raccontare, almeno una volta, la verità.

EMERGENZA. Arrivato in un periodo carico di incertezze e gravi preoccupazioni per il futuro dell’umanità, il G20 di Bali si è concluso in un’atmosfera carica di tensione che il solito rituale di sorrisi, strette di mano e pranzi di gala non è valso ad attenuare. Con lo sconfinamento, volontario o casuale, di un missile sulla Polonia, l’insana invasione voluta da Mosca è entrata, nel breve volgere di poche ore, in una nuova, sfuggente dimensione, tra l’altro già paventata, di cui è difficile prevedere le ricadute. La storia insegna che sono proprio incidenti di tale portata, chiunque ne risulti poi responsabile, a provocare in molti casi l’irreparabile. La Polonia è un paese NATO che sicuramente non resterà a guardare, senza reagire, questo superamento dei limiti entro il proprio territorio, fortuito o cercato che esso sia. Con la Russia convitata di pietra e convinta di passarla liscia, il summit in terra indonesiana ha così preso una piega diversa da quella prevista dall’agenda originale. In sostanza, l’incontro dei leader è diventato un vertice decisamente politico e molto meno economico di quanto doveva essere secondo i piani iniziali. Se ne trova conferma esplicita nel comunicato finale con cui si condanna con forza la guerra in Ucraina e si definisce inammissibile la minaccia di usare le armi nucleari. Qualcuno, è vero, tentenna per non guastare i legami interessati con Putin. Ma il severo monito al Cremlino, pur senza esacerbare i toni, evidenzia i gravi timori per le conseguenze nelle quali il conflitto ha precipitato il mondo intero, sollevando questioni di sicurezza in grado di causare danni irreversibili all’economia globale.

FATICA. Nel paradiso turistico indonesiano i leader mondiali accorsi al capezzale di questo mondo malato non hanno avuto tempo per rilassarsi, considerati inoltre gli ultimi, preoccupanti sviluppi degli scenari bellici. Al cospetto di una cartella clinica impressionante erano tenuti ad agire in fretta per risollevare il paziente. Una fatica boia. I leader dovevano evitare il rischio di trasformare i loro incontri in una sorta di Jalta del terzo millennio. Da quando Churchill, Roosevelt e Stalin si accordarono per spartirsi le relative zone di influenza, la popolazione mondiale è passata da due a otto miliardi di abitanti. E, con la popolazione, si sono quadruplicate le sfide. Che Biden e Xi Jinping dandosi del tu come vecchi amici abbiano dialogato per tre ore in un raro e importantissimo colloquio al riparo da occhi indiscreti, tiene aperto malgrado tutto uno spiraglio per proteggere la pace. Pechino e Washington continueranno la propria vigorosa concorrenza in tutti i campi, cercando però di non farsi male e di non farlo agli altri. Vedremo.

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ASINELLO. Anche in America col rosso non si passa. E così nell’arena delle mid-term, la “manita” rossa dei repubblicani, tra l’altro di un colore incompatibile coi loro programmi in quanto espressione di un ben più nobile ideale, non è riuscita a matar il mite, ma indomito asinello democratico. Ed è confortante vedere che negli USA è ancora vivo un elettorato non disposto a gettarsi supinamente nelle braccia di chi predica l’odio. La riconquista del Senato conforta i democratici e rafforza l’immagine di Biden in patria e all’estero. Quanto ai repubblicani dovranno decidere con chi stare, se cavalcare il populismo che divide, oppure se prendere le distanze dal trumpismo che li sta portando dalla parte sbagliata della storia. Da quando Trump ha annunciato di essere nuovamente in corsa per le presidenziali del 2024, il GOP (il Grand Old Party) è finito sotto pressione. Conoscendo il personaggio non è difficile immaginare che l’ex presidente continuerà ad esasperare i toni di quella che già si annuncia come una logorante campagna elettorale lunga due anni, carica di minacce e di propositi bellicosi nei confronti delle istituzioni e della gloriosa democrazia americana.

MIGRANTI. Da come si comporta pare che il vero titolare del Viminale, ministero che gli è stato precluso dalle alchimie della politica, sia ancora Matteo Salvini. Con una presenza mediatica molto insistita, il vice premier tratta il dossier per la gestione della penosa questione dei migranti quasi fosse esclusiva roba sua. Nella veste a lui più gradita di inflessibile e ferreo fautore del pugno duro contro l’immigrazione e le ONG, che invece meritano riconoscenza e appoggio per la loro azione tesa a salvare vite, il vice-premier proclama a gran voce che non intende in nessun modo moderare il linguaggio. Cosa ne pensi il governo che si vuole monolitico e granitico è tutto da verificare. Certo è che la rumorosa invasione di campo del leader leghista non aiuta a stemperare le tensioni con Parigi e l’Europa.

IGNORANZA. I beceri sono una categoria inguaribile convinti di stare nel giusto. Non molto tempo addietro diedero una dimostrazione eloquente della loro ” sapienza “accanendosi contro Cecile Kyenge, ministra italiana per l’integrazione, originaria del Congo. Su di lei – laureata in medicina all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, con specializzazione in chirurgia oculistica conseguita all’UniMoRe – si rovesciò una valanga di epiteti irrepetibili carichi di livore razzista. Identico “omaggio” è toccato ora in sorte a un altro professionista, Enok Rodriguez Emvolo, pure lui medico. Il dottor Emvolo è stato chiamato in un comune del Varesotto per sostituire il medico di base pensionato. Per il solo fatto di essere africano viene sottoposto ad attacchi e insulti di stampo xenofobo. La giunta comunale lo ha stato invitato a restare, ma è allucinante che oggi ci si trovi ancora a discutere sulla nazionalità di una persona secondo criteri da mettere sul conto di una ignoranza che non è esagerato definire “fascista”.

Renzo Balmelli da L’avvenire dei lavoratori
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