Sovranismo
SOVRANISMO
L’intenzione di non diluire la propria nazione
in una realtà sovranazionale
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SOVRANISMO
L’intenzione di non diluire la propria nazione
in una realtà sovranazionale
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Non amo la polemica: mi piace ragionare sui fatti senza cadere in quel trucco della comunicazione che si chiama presupposto non formulato: in altre parole mi piace ragionare e confrontarmi a carte scoperte. E vengo al punto. Il sovranismo esprime l’intenzione di non diluire la propria nazione in una realtà sovranazionale. Mi si dica allora, e mi riferisco a due dei sottoscrittori del trattato di Roma, chi c’è in Europa più sovranista della Francia, e non dico quella di Macron ma quella di Hollande e prima di lui di Sarkozy e giù giù fino a Mendès France per non dire di De Gaulle. Con l’aggravante che il sovranismo, così come l’ho definito, non è di per sé aggressivo mentre quello francese lo è eccome e non da oggi. Quando l’affermazione degli Stati Uniti come potenza globale segnò il de profundis per il colonialismo europeo, i francesi con demenziale ostinazione non volevano mollare l’Algeria e si resero responsabili di atrocità che non si dimenticano; qualche decennio dopo, come se si fosse all’alba del diciannovesimo secolo, hanno cercato di farsi un boccone della Libia per impadronirsi del suo petrolio ai danni dell’Italia e oggi si scopre che non si decidono a sloggiare dal Niger e dall’Africa subsahariana alla quale impongono praticamente la loro vecchia moneta, alla faccia dell’euro e della BCE. Approfittando dei governi fantoccio che si sono succeduti in Italia dopo il 2011, hanno sistematicamente depredato la penisola e hanno contribuito fattivamente a farne il campo profughi dell’Europa; con un’ipocrisia senza limiti hanno sentenziato che tutti quelli che sbarcano in Italia sono profughi e devono essere accolti come tali ma quando si azzardano a muoversi diventano al 93% clandestini che non dovevano essere fatti entrare e solo il 7% sono veri profughi, che per altro è bene che restino da noi. Posto di fronte alla nuova situazione politica italiana Macron si è mosso come se avesse a che fare col Burundi: ha cercato di sedurre Conte – meno male non gli ha offerto soldi – per dividerlo dai suoi ministri attaccando volgarmente e in barba alle più elementare buona creanza diplomatica Salvini e Di Maio. Cose da matti.
Poi la Germania. Proseguendo la politica di un suo celebre predecessore, la cancelliera ha cercato di estendere il suo dominio a est per fare dei Paesi che erano stati satelliti dell’Urss un suo prolungamento. Ha abbindolato la Francia col miraggio di un asse franco-tedesco, avendo in realtà in mente di farne il proprio reggicoda per conseguire l’obiettivo vero di servirsi dell’Europa per imporsi sulla scena mondiale. Con la moneta unica è di fatto riuscita a rivalutare il marco e contemporaneamente ha fatto pagare agli altri il costo della riunificazione. Sarò più esplicito: il peso della Rdt, la repubblica democratica tedesca esaltata come un modello da seguire alle feste dell’Unità, poteva affondare Bonn, risorta dalle ceneri della guerra grazie agli americani, se non si fosse distribuito in tutta l’Unione. E veniamo ai migranti. L’apertura della cancelliera ai profughi siriani è stato un modo per impadronirsi delle competenze della borghesia siriana – rendendo così più problematica la ricostruzione del Paese quando, non certo grazie a lei, sarà finalmente pacificato, per poi cercare di scaricare i rifiuti sul resto dell’Europa. Non è sovranismo questo? I greci. Dopo anni di minacce e trattative estenuanti si sono decisi a chiudere la questione della Macedonia ex iugoslava, che, per non confondersi con la storica regione ellenica, si chiamerà Nuova Macedonia. Nomi a parte, sono due Paesi con gravissimi problemi interni, uno rimasto al livello del terzo mondo, l’altro rovinato dalle banche francesi e tedesche (con la complicità dei rispettivi Stati). Nonostante i loro guai interni si scaldano per un nome. Non è sovranismo, questo? Nessun Paese europeo, nemmeno il più miserabile, intende non dico rinunciare alla propria identità ma nemmeno ad una buona dose di aggressività verso i vicini. E veniamo all’Italia, il Paese nel quale la sovranità è tabù. Lascio perdere la storia remota, la tradizione culturale, artistica, il peso che hanno avuto l’impero veneziano o la finanza fiorentina e mi limito alla contemporaneità. L’Italia dopo l’unificazione politica ha subito occupato un posto di grande potenza in Europa, e quindi nel mondo, accanto alla Francia, al Regno Unito, alla Germania e alla Russia, ai quali si sono aggiunti gli Stati Uniti (non ci metto l’impero asburgico, che era un residuo del passato destinato a scomparire). Dopo la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti si sono affermati come l’unica vera grande potenza e l’Italia, fra i Paesi che li hanno affiancati nell’esercizio della loro egemonia e nel contrasto al blocco sovietico, ha svolto un ruolo di primo piano. Immaginare una guerra fra Paesi europei nell’attuale scenario geopolitico è ridicolo. Ma è anche stupido e ridicolo credere che nella dannata ipotesi che si allentasse il freno inibitorio dell’Unione il galletto francese possa far risuonare un canto di guerra: forse molti dei nostri connazionali non lo sanno ma nessuno dei maggiori Paesi europei è in grado di minacciare o far paura agli altri. Dopo gli Stati Uniti e la Russia, le grandi potenze economiche, industriali e militari sono una decina e sostanzialmente si equivalgono: una di queste è l’Italia, sicuramente più agguerrita oggi di quanto non fosse nel 1940 (non in termini assoluti, che sarebbe ovvio, ma proprio in rapporto con i propri vicini, a cominciare dalla Germania). Se sovranismo è anche essere consapevoli di questo, ben venga. Perché è anche questa consapevolezza che fa capire che non è tanto l’Italia che può fare a meno dell’Europa ma è l’Europa che non può fare a meno dell’Italia, l’Italia che de facto, nonostante i Monti, i Letta, i Renzi e i Gentiloni, non è il socio di minoranza di francesi e tedeschi, che hanno saputo imporre politicamente e mediaticamente uno strapotere che non hanno. Sono convinto che solo partendo da questa consapevolezza, da questo dato oggettivo, si possano rivedere l’Europa e i suoi trattati, correggerla e rifondarla, reinventare una comunità di Stati nella quale il nostro Paese faccia valere il suo peso economico, culturale, antropologico e, perché no, militare. A questo proposito mi voglio levare un sassolino dalla scarpa. Uno dei più insulsi luoghi comuni è che la corsa agli armamenti provochi le guerre. Gli si può opporre il più fondato motto: si vis pacem para bellum, e insieme la constatazione che i primi a non volere guerre sono i militari, quelli che rischiano di più e che stanno molto meglio in tempo di pace. Le guerre le scatenano i politici manovrati dalle lobby economiche, ieri come oggi. E anche dietro le invasioni ci sono motivi economici, soggettivi e oggettivi. Et de hoc satis est. Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione |