Politica e toponomastica

Politica e toponomastica
Perché non vedo la necessità di intitolare strade
a Giorgio Almirante

Politica e toponomastica

Perché non vedo la necessità di intitolare strade a Giorgio Almirante

 In margine al polverone che si è alzato a Roma per il nuovo stadio, la sindaca Raggi, quella che non vede, non parla e non sente, ha cercato di sollevarne un altro che coprisse il primo. Ha prima condiviso la proposta di Fratelli d’Italia di intitolare una strada a Giorgio Almirante, poi si è tirata indietro e infine ha proposto di estendere la damnatio memoriaea quanti si fossero compromessi col fascismo. Della Raggi non si può nemmeno dire che sfiori il ridicolo: se non saranno gli scandali, l’incompetenza o la magistratura a costringerla a farsi da parte sarà una risata a seppellirla. 


Detto questo, l’idea di resuscitare Almirante poteva venire solo alla Meloni e al suo clan. La signora del 3 e mezzo per cento non ha capito che il vecchio Msi  – e scendendo giù per li rami il suo partitino – non è mai stato la voce del popolo italiano, tantomeno del popolo di destra. Non c’è bisogno di tante elucubrazioni per arrivare a questa conclusione. Che in un batter d’occhio, a guerra finita, si dissolvesse il consenso plebiscitario di cui godevano il Duce e il regime monarco-fascista lo potevano pensare solo all’interno del cerchio magico del CLN. Il referendum del 2 giugno 1946, che segna la nascita della repubblica, rappresentò per loro un brusco risveglio. Quello che si continua a festeggiare è un evento tutt’altro che limpido. Appena il 54% dei votanti si espresse per la repubblica e al sud, nonostante i brogli e quasi due milioni di schede bianche misteriosamente sparite, ci fu una netta affermazione della monarchia, compensata al nord da un voto repubblicano indubbiamente facilitato dall’esperienza della Rsi e dal ricordo ancora fresco del tradimento. Significative le parole messe in bocca da fonte certa a Togliatti di fronte all’altalenarsi dei risultati: “questo è un parto difficile e come in tutti i parti difficili è necessario un aiuto esterno”. 


Insomma: chi votò per la monarchia al sud come molti di quelli che a nord votarono per la repubblica non simpatizzava certo per la sinistra o per il CLN. Anche al netto dei brogli, la grande maggioranza del popolo italiano era evidentemente orientata a destra o dichiaratamente nostalgica. Il successo elettorale di una Dc antibolscevica nelle elezioni del 1948 ne fu un’ulteriore conferma. Dove si è riversato questo enorme bacino elettorale di destra?  Ha prima alimentato il fuoco di paglia dell’Uomo Qualunque, poi ha dato un po’ di ossigeno al partitino liberale, ha incoraggiato la scissione nel Psi e ha fatto gonfiare a dismisura la Balena bianca, votata turandosi il naso. E il partito dichiaratamente di destra, il Msi, ne ha raccolto solo qualche rivolo secondario. Ma non è solo questione di successo elettorale: politicamente e culturalmente il Msi, come Alleanza nazionale, tale solo nel nome, e come Fratelli d’Italia, non ha prodotto nulla, assolutamente nulla. E non ha mai destato preoccupazione nel regime cattocomunista, il cui nocciolo erano e sono la speculazione finanziaria e un capitalismo predatorio dietro il paravento di uno statalismo cialtrone e inefficiente, alla cui ombra sono cresciuti i parassiti che hanno succhiato le risorse del Paese, partiti e sindacati compresi.


Dov’era il partito della destra, dov’erano i rappresentanti politici della destra quando in Italia iniziava la deriva che l’ha relegata ai margini dell’Europa, ne ha compromesso non solo la sovranità ma la stessa dignità nazionale e ha finito per portarci all’ultima spiaggia con Renzi e Gentiloni? Sono cadute tante maschere dopo il 4 marzo: quella del sindacato, quella del Pd e della sinistra tutta ma anche quella di una destra taroccata alla quale la Meloni attaccandosi alla Lega come una zecca cerca di dare credito.  

Di quella destra non c’è niente da rimpiangere. Fa bene Macron ad essere preoccupato: dopo oltre settanta anni il popolo italiano ha finalmente trovato chi lo rappresenta, si chiami populismo, si chiami destra, ultradestra, sovranismo o comunque lo si voglia chiamare. Il reducismo, la nostalgia, il fantasma del fascismo, ai quali si è aggiunta la truffa – o, come ho già scritto, il fraintendimento – berlusconiana, non solo non sono stati capaci di rappresentare quel popolo e dargli voce ma lo hanno per decenni paralizzato e deluso. Ci sono volute due forze antisistema, la Lega rinnovata da Salvini e il movimento Cinquestelle per dare di nuovo un senso alla politica, che è prima di tutto rappresentanza. 


Anche per questo mi sembra ora inopportuno rinverdire la memoria di Almirante, al quale umanamente, intellettualmente, culturalmente si possono riconoscere tutti i meriti che vogliamo ma che era più a suo agio nei palazzi del potere che nelle piazze, nelle scuole, negli uffici, nelle fabbriche o nelle campagne, e che restano comunque meriti e qualità personali. 

E se mi si ricorda quante strade sono intitolate a Togliatti, quello che guardava con soddisfazione alla tragedia dei nostri caduti e dei prigionieri in Russia “perché le mamme italiane ne avrebbero attribuito la responsabilità alla guerra fascista”, e a tanti suoi compari, rispondo che non si rimedia ad un errore con un altro errore. Semplicemente bisogna piantarla di intitolare strade, piazze, giardini pubblici ad uomini politici, per di più di mezza tacca: si ricorra piuttosto alla botanica o, come fanno gli americani, ai numeri. Ci andrei piano anche con gli scrittori: limitiamoci ai grandi, anzi ai grandissimi. Mi sgomenta l’idea che qualche mio nipote o bisnipote possa trovar casa in via Saviano.

Pier Franco Lisorini

   Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.