Scuola e vaccini. Al di là della dittatura sanitaria

Col decreto legge n. 172 del 26 novembre 2021 l’obbligo vaccinale è esteso al personale scolastico del sistema nazionale di istruzione, delle scuole non paritarie, dei servizi educativi per l’infanzia, dei centri provinciali per l’istruzione degli adulti, dei sistemi regionali di istruzione e formazione professionale e dei sistemi regionali che realizzano i percorsi di istruzione e formazione tecnica. Lo stesso decreto impone che “i dirigenti scolastici nei casi in cui non risulti l’effettuazione della vaccinazione anti SARS-CoV-2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell’ambito della campagna vaccinale in atto, invitano, senza indugio, l’interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell’invito, la documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione.

In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, i dirigenti scolastici invitano l’interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre tre giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l’adempimento all’obbligo vaccinale. In caso di mancata presentazione della documentazione accertano l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e ne danno immediata comunicazione scritta all’interessato. L’atto di accertamento dell’inadempimento determina l’immediata sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati. La sospensione è efficace fino alla comunicazione da parte dell’interessato al datore di lavoro dell’avvio o del successivo completamento del ciclo vaccinale primario o della somministrazione della dose di richiamo, e comunque non oltre il termine di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021”.
In questa combinazione di teutonica inflessibilità e di cialtronaggine levantina non bastava la disinvoltura con cui si prescrive di stipulare e di rescindere contratti a tempo determinato  in barba a qualsiasi tutela sindacale e normativa, (presumendo oltretutto  che  soprattutto nei piccoli centri ci sia qualcuno disposto a trasferirsi, prendere una casa in affitto e sostenere tutti i disagi che comporta allontanarsi dalla famiglia con la prospettiva di essere licenziato dopo una settimana),  non bastava il totale disinteresse per i riflessi sulla didattica; con un atto d’imperio i presidi vengono  distratti dalle loro funzioni e caricati di responsabilità e compiti che competono alle Asl  e alle forze dell’ordine. Il preside, che non  è un funzionario del ministero della salute né di quello degli interni, è costretto arbitrariamente a interpretare il ruolo di controllore che sanziona, sospende dal servizio e affama  docenti e personale non insegnante.

Si compromette come se nulla fosse il rapporto di serena collaborazione fra le diverse componenti dell’organizzazione scolastica, si fa del suo dirigente un cane da guardia sottraendolo alla sua funzione di garante del funzionamento   del sistema formativo, già minato da  decenni di interventi scomposti, incoerenti e in qualche caso dissennati.
Ma in punta di diritto è anche più grave la discriminazione operata fra i soggetti che operano all’interno dell’edificio scolastico che non sono soltanto bidelli, personale di segreteria e docenti: ci sono i gli addetti alla mensa, i dipendenti delle cooperative incaricate della pulizia, gli esperti, i mediatori culturali, gli psicologi scolastici. Per loro l’obbligo vaccinale, come espressamente precisato nelle note ministeriali al decreto,  non sussiste, anche se – a differenza del personale di segreteria – sono a contatto diretto con gli alunni. Né al momento esiste obbligo vaccinale per gli alunni, che neppure sono tenuti a possedere carte verdi, semplici o rinforzate.
Ora, ammesso e non concesso che la prima, la seconda o la decima dose (che di questo passo di qui a poco ci sarà) di vaccino renda immuni e impedisca la diffusione del virus, dal momento che all’interno delle scuole la concentrazione di interazioni fisiche e verbali si trova fra gli alunni loro per primi dovrebbero essere messi in condizione di tutelare se stessi,  i loro compagni e gli adulti con cui entrano in contatto. Non solo: qualcuno dovrebbe spiegare com’è che il mediatore culturale non contagia e l’insegnante sì. Si dirà: il docente dipende dal ministero, il mediatore no. Se è questa la ratio c’è da mettersi le mani nei capelli.  C’è da aggiungere che secondo le disposizioni vigenti il tampone negativo è salvifico e garantisce l’immunità per l’alunno reduce dalla malattia e    per quello che ha avuto contatti con lui  la garantiscono quattordici giorni senza sintomi e non c’è bisogno nemmeno del tampone.  Ma quello che vale per l’alunno non vale per il bidello o per la maestra: il loro tampone non conta, figuriamoci l’assenza di sintomi.

Così il mediatore culturale può tranquillamente starsene in classe, i dipendenti dalle cooperative possono scorrazzare per i locali della scuola se in possesso della carta verde ottenuta col tampone e non da avvenuta vaccinazione.  La verità è che la certezza assoluta che all’interno di una comunità non sia presente un potenziale diffusore del virus non c’è col tampone negativo e meno che mai col certificato di vaccinazione. Un tampone negativo o l’avvenuta guarigione danno sicuramente qualche garanzia in più rispetto al vaccino, tutto qui.
Dulcis in fundo: gli estensori del decreto e delle note esplicative si sono dimenticati i guariti, che de iure vaccino o no sono titolari della carta verde rinforzata.
È chiaro che ormai non c’è alcun interesse a identificare i focolai e a spengerli prima che il fuoco si propaghi. Troppo costoso, troppo impegnativo sotto l’aspetto organizzativo e nessun ritorno mediatico. Meglio snocciolare le cifre dei vaccinati, prima dose, seconda dose, terza dose, senza preoccuparsi del fatto che dai dai anche i più fiduciosi cominciano a farsi qualche domanda sull’efficacia del vaccino. Tanto più che il giochetto di imputare ai non vaccinati, tamponati e quindi sicuramente innocui (se così non fosse vorrebbe dire che i tamponi non servono a nulla: ma allora crolla la base sulla quale si fonda la lotta contro il covid) cozza contro  i dati di osservazione dell’uomo della strada: se il numero dei non vaccinati (innocui) rimane costante e quotidianamente si registrano  quindici o ventimila nuovi casi significa che il virus circola tranquillamente fra la maggioranza dei vaccinati che, purtroppo, non sono affatto immunizzati.

Per coprire questa evidenza si va a caccia dei non vaccinati che finiscono in ospedale, omettendo la circostanza che vanno a far compagna ai tanti, troppi, che si ritenevano al sicuro. E il punto è proprio questo: l’ideona di fornire le persone di una carta verde liberatoria ha fatto crollare quei comportamenti di cautela e prudenza – non solo la mascherina, che è opportuno indossare in certe circostanze, ma soprattutto mantenere la distanza interpersonale, evitare di sostare in luoghi chiusi e affollati, astenersi dal parlare a voce alta e in faccia all’interlocutore – che sono l’unico vero strumento per ridurre il rischio di contagio. I nostri figli e il personale della scuola sarebbero stati più tutelati senza circolari minatorie o diktat assurdi e contraddittori ma assicurando il ricambio d’aria nelle aule, garantendo la distanza fra i banchi e, ove non sia possibile effettuare un tampone giornaliero, con la sospensione di qualsiasi momento di aggregazione incontrollata, dalla ricreazione alle attività motorie alla mensa salvo il caso che possa effettuarsi in condizioni di totale sicurezza.  Se i bambini e gli studenti in generale non presentano sintomi e si rispettano queste norme il vaccino per loro diventa una questione secondaria, affidata alla sensibilità dei genitori. I quali dovrebbero sapere che i vaccini contro il Covid attualmente disponibili sono statisticamente uno scudo efficace contro il rischio di contrarre la malattia soprattutto nelle forme più severe ma dovrebbero anche essere informati sia sulla reale incidenza del contagio nelle diverse fasce d’età sia sul decorso della malattia, la cui pericolosità nei più piccoli non è maggiore di quella di una comune influenza.

A questo punto la scelta del vaccino non sarebbe più dettata da un allarme ingiustificato né da un obbligo amministrativo (o ti vaccini o non frequenti) ma da una serena e meditata decisione. Che in ogni caso va seguita da comportamenti responsabili, senza indulgere alla retorica stucchevole della socializzazione a tutti i costi e consapevoli che i bambini, negli asili come nelle scuole materne, si infettano fra di loro. Vale per loro quel che vale per gli adulti: bene la campagna vaccinale ma senza dare la caccia a quanti per motivi diversi non si vogliono iniettare il vaccino: non saranno loro ad impedire di raggiungere il 90% di copertura vaccinale; ma è criminale considerare o far credere che il vaccino sia un salvacondotto. D’altro canto aver lasciato al loro posto un ministro e uno staff di esperti che hanno chiuso in casa ad infettarsi gente che all’aria aperta sarebbe scampata al virus e si sono spinti  fino al punto di ordinare di intercettare con i droni  e sanzionare il podista solitario la dice lunga sul “governo dei migliori”. Semmai, se ce ne fosse bisogno, ci conferma che se se si guarda troppo a lungo la faccia di Draghi finisce che si vede quella di Conte. Succede per la revisione delle aliquote Irpef, per la rivalutazione delle pensioni, per la difesa dal caro bollette (esilarante il progetto di ridurne il costo per i titolari di un Isee fino a 8000 – ottomila – euro, come se con un Isee così si pagassero tasse affitti o bollette), per il contrasto all’immigrazione illegale e succede anche col covid nelle scuole. Dilettantismo e malafede prima, dilettantismo e malafede ora, con l’aggravante di un dichiarato e spudorato servilismo verso l’Europa, quella degli altri.

Patrizio Bianchi

E mentre Forza Italia si sta sciogliendo  nel calderone della sinistra, Salvini appare frastornato e la Meloni accecata dall’ambizione si illude di poter barattare Draghi al Quirinale col nulla osta per Palazzo Chigi, (dimenticando che in questo modo l’Italia bypassando parlamento e referendum diventerebbe una repubblica presidenziale con  un presidente a vita, non eletto ma nominato dalla eurocrazia con la benedizione della finanza globale), la scuola  investita dalla dittatura sanitaria si appresta a sperimentare la dittatura tout court. Sembrava che Patrizio Bianchi, col suo aspetto da vecchio zio, si dovesse accontentare di essere ricordato come il peggior ministro che la scuola italiana avesse mai avuto per l’olimpica indifferenza per i problemi che l’affliggono, ma ora ha rivelato il ruolo attivo che intende giocare per la sua distruzione. Il focus del suo Atto di indirizzo per il 2022 riguarda l’innovazione delle metodologie didattiche: mai successo che il ministero intervenisse sulle metodologie didattiche in violazione dell’art. 33  della carta costituzionale. Riporto il testo licenziato dal ministro: “ È prioritario continuare a promuovere la sperimentazione e la diffusione capillare in tutte le scuole di nuove metodologie didattiche, orientate al superamento del modello di insegnamento tradizionale di stampo trasmissivo, incentrato sulla lezione frontale. È, inoltre, necessario favorire lo sviluppo di una didattica per competenze, di tipo collaborativo ed esperienziale, per consentire una maggiore personalizzazione dei processi di apprendimento degli studenti, in considerazione delle loro specifiche esigenze. A tal fine, occorrerà valorizzare ogni strumento, a partire dai materiali didattici tradizionali e dei libri di testo, rispetto ai quali costituirà impegno specifico del Ministero fornire alle scuole indicazioni e strumenti diretti a favorire le migliori scelte adozionali e l’individuazione delle più efficaci metodologie per la costruzione di materiali didattici”.

Due affermazioni di una gravità inaudita. La prima riprende e fa propria una vecchia idea dell’estrema sinistra: il superamento della lezione frontale, che sancisce il de profundis del rapporto docente discente, la fine del circuito comunicazionale attraverso il quale l’uno e l’altro si identificano nell’atto dell’apprendimento. Senza il maestro non c’è il discepolo e senza discepolo non c’è discere, non c’è la scoperta e la crescita nel sapere. Ma il maestro non è un sorvegliante, un facilitatore, un libro vivente che a domanda risponde. Il maestro è uno che fa lezione e la lezione non è un soliloquio ma una corrente bidirezionale che prende vita dall’attenzione, dalla partecipazione attiva, dalla comprensione dello studente. È qualcosa che ripugna a quanti temono la crescita e la presa di coscienza dei giovani, che vorrebbero succubi di una tecnologia aliena, consumatori di un sapere ad usum delphini, persi nella dimensione di un eterno videogioco. La seconda è un attacco frontale alla libertà di insegnamento e la definitiva riduzione del docente ad esecutore passivo delle direttive ministeriali, che impongono più sfacciatamente di quanto accadesse nel ventennio mussoliniano le “migliori scelte adozionali”, cioè il libro di testo ufficiale, quello scelto dal regime (e non insisto su quell’adozionale, coerente con uno stile al cui confronto un mattinale di questura diventa un saggio di prosa aulica).
Io penso di essere uomo di pace, polemico magari ma alieno dalle manifestazioni di piazza e dalle contestazioni urlate, consapevole che le rivoluzioni e la violenza non hanno mai portato nulla di buono. Ma arrivati al punto in cui siamo, con una cricca di usurpatori della sovranità popolare che col tempo non trovando resistenza sta diventando sempre più arrogante e sfrontata e sguinzaglia i propri scagnozzi nei mezzi di comunicazione e disinformazione, nelle istituzioni, nei ministeri, sono convinto che qualcosa debba essere fatto per sbarazzarsene perché aspettare la fine di questa orrenda legislatura potrebbe essere troppo tardi.

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