Quot capita tot sententiae

tutte legittime, se non travisano o ignorano i fatti

Ci mancherebbe altro che tutti dovessimo avere le stesse opinioni su ciò che accade, i fatti, che sono di per sé opinabili perché hanno tante sfaccettature.  L’osservatore ne privilegia una piuttosto che un’altra  e soprattutto   non registra passivamente ma elabora quello che vede secondo i suoi schemi di valutazione. Detto questo è anche vero che le opinioni o tendono verso la verità – la comprensione  oggettiva del fatto – e come tali sono costrutti dinamici suscettibili di trasformazioni  o si irrigidiscono e diventano pregiudizi che impediscono di raggiungerla. In ogni caso, l’oggetto su cui si esercita la capacità di vedere e di giudicare deve corrispondere alla solidità del fatto. Le fazioni di teologi che si accanivano intorno alla verginità di Maria o alla doppia natura di Cristo o al destino dopo la morte dei non  battezzati esaurivano le loro energie argomentative nella vanità delle parole e di concetti privi di significato, privi di corrispondenza con la realtà fattuale. Pura chiacchiera, insomma, come quella che si consuma intorno alle partite di calcio.  Se i fatti non esistono o sono falsi opinioni e giudizi che li riguardano sono solo flatus vocis, suoni senza senso.

Wikipedia

È precisamente ciò che sta accadendo in modo clamoroso con l’Ucraina e più sottilmente infido con la Palestina. È un fatto che nel febbraio 2014 il  legittimo governo ucraino e il presidente regolarmente eletto furono rovesciati con un golpe preceduto da violente manifestazioni di piazza. Ed è un fatto che i mesi successivi furono contrassegnati dalla dura repressione delle manifestazioni contro i golpisti, dallo scioglimento dei partiti che costituivano la vecchia maggioranza, dall’arresto dei leader politici che non erano riusciti a riparare i Russia, dal rifiuto da parte del nuovo governo di concedere un referendum alle regioni che rivendicavano il distacco dall’Ucraina in seguito alla modifica della costituzione che sopprimeva il bilinguismo e  bandiva il russo dalla toponomastica, dagli atti pubblici e dalle scuole.  Ed è infine un fatto che al referendum comunque svoltosi  nelle oblast russofone  Kiev rispose con l’occupazione militare  che innescò un conflitto armato che si è protratto fino all’intervento diretto di forze russe con l’operazione militare speciale iniziata il 24 febbraio di due anni fa.

Ucraina e la rivolta del 2014. https://www.repubblica.it

Sono fatti che ognuno può valutare e giudicare a modo suo: i fatti non generano opinioni univoche. Un ammiratore di Hitler, per esempio, non può che avere gioito nel vedere premiati gli epigoni dell’Ucraina che durante la guerra si schierarono a fianco delle truppe tedesche contro i russi e, come in Estonia, in Lituania e Lettonia, collaborarono con loro nella caccia agli ebrei. Un nazionalista può guardare con simpatia all’unificazione culturale  anche forzata  dello Stato e rimanere indifferente nei confronti dei diritti delle minoranze: lo stesso re d’Italia, prima dell’avvento del fascismo, si rallegrava dell’operato di bande armate che nel Sud Tirolo ribattezzato Alto Adige distruggevano insegne e cartelli stradali in lingua tedesca. E sono in molti a considerare più democratica la piazza – mi riferisco a quella  che ha rovesciato Janukovic e segnato la svolta filoamericana dell’Ucraina – delle urne. Insomma c’é spazio per tutte le opinioni, anche le più aberranti, purché costruite intorno ai fatti; ognuno se ne assume la responsabilità e le difende come può.

Ma non è tollerabile  che per non esporsi con opinioni indifendibili si travisino  i fatti fino a rimuoverli del tutto  sostituendo  la realtà con una narrazione di comodo.

Janukovic Wikipedia

Sicuramente il giudizio non poggia sul semplice resoconto dei fatti, vale a dire sulla cronaca. I fatti vanno inseriti in un contesto, ne va ricercato (o attribuito) il senso e questa operazione richiede l’adozione di una prospettiva e presuppone la presenza di schemi interpretativi, che, a loro volta, derivano dalla sintesi di altri fatti. Ma queste sovrastrutture concettuali non possono scalfire la durezza granitica del fatto. Ed è un fatto che dopo la caduta di Janukovic l’Ucraina è stata teatro di una guerra civile seguita al divieto di usare la lingua russa nelle regioni russofone. Un fatto sistematicamente rimosso dai media e dai politici occidentali come viene rimosso il fatto che all’atto dell’intervento russo la guerra nel Donbass era già in corso da otto anni. Se si ignorano o non si tiene conto di questi fatti ogni giudizio di valore sul conflitto è privo di senso ed è legittimo credere che se l’opinione pubblica italiana, come quella degli altri Paesi dell’Ue, fosse correttamente informata il governo italiano e l’Ue non potrebbero impunemente proseguire nella loro politica dissennata di sostegno militare all’Ucraina  e di sanzioni alla federazione russa.

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Detto questo l’interpretazione “storica” della cronaca di questo decennio si riassume in due tesi opposte. La prima:  il ritorno di un uomo forte alla guida della Russia alimenta la nostalgia del suo passato imperiale e la tentazione di recuperarne i confini. L’orso russo si è liberato della cappa di piombo comunista e si rimette lo scettro della terza Roma. Il Donbass è solo un pretesto, l’obbiettivo è Kiev e dopo Kiev toccherà alla Polonia e ai Paesi baltici.

Questa tesi poteva andar bene nel diciottesimo secolo, in un mondo centrato sull’Europa rispetto alla quale il resto del pianeta era solo un’appendice; sostenerla ora, ammesso che si sia in buona fede altrimenti è inutile parlarne, è segno di miopia cognitiva se non di disorientamento spazio-temporale. I protagonisti sono cambiati, alcuni sono scomparsi, come l’impero asburgico, e tutti hanno perso il ruolo di grande potenza che si erano attribuito: la Francia, il Regno Unito, la stessa Germania sono praticamente ininfluenti sullo scacchiere mondiale e le tensioni interne all’Europa sono solo il riflesso di una partita giocata altrove. Rimane la Russia, un po’ perché uscita vincitrice dalla guerra mondiale  e un po’ perché il suo baricentro oscillante fra occidente e oriente ne ha fatto il perno di un nuovo ordine mondiale politico ed economico.   Ed è proprio guardando all’evolversi dei rapporti di forza planetari che si chiariscono  le fibrillazioni nell’est dell’Europa, la politica espansiva della Nato, l’ambiguità dell’occidente nei confronti del radicalismo islamista.

La seconda guerra mondiale ebbe apparentemente inizio  come strascico della prima ma in realtà è difficile comprenderne la ratio senza l’intervento di elementi allotri. Basta dire che la Germania nazista, incarnazione dello spirito  dell’occidente, custode dell’eredità cristiana, avamposto della civiltà contro la barbarie rimase a lungo sospesa se far valere questi suoi presunti valori contro  il comunismo materialista, ateo, liberticida della Russia o contro il capitalismo materialista (di nuovo) degenerato e plutocratico dell’occidente nelle mani della finanza ebraica. Anticomunista ma soprattutto anticapitalista: si poteva muovere verso est o verso ovest. Ma la stessa ambiguità la troviamo in occidente. Chi è il nemico da battere? la Russia,  centrale del comunismo internazionale che minaccia l’ordine sociale e politico dei Paesi liberi  o la Germania nazista che pretende di rivedere i conti di Versailles? L’Inghilterra a un certo momento pare molto vicina alla Germania, perfino i miti sulla razza sono accolti con grande favore –  anche perché in buona sostanza tornano alla loro matrice –  e alla corte come nell’opinione pubblica l’Unione sovietica viene vista con orrore. Insomma: per capire quello che stava per accadere in Europa bisogna guardare oltre l’Europa. A distanza di tanti decenni di nuovo ciò che accade in Europa –  la rottura drammatica con la Russia  -è assolutamente incomprensibile  senza l’intervento di fattori esterni all’Europa. Senza di essi per giustificarla Putin  da un momento all’altro diventa la reincarnazione di Gengis  Khan che muove le sue orde  di mongoli verso occidente minacciando, come ebbe a dire Draghi e ora ripetono quotidianamente le scimmiette ammaestrate che guidano la Nato, l’Ue e governi europei,i la nostra libertà, le nostre democrazie, il nostro benessere. Una tesi che farà ridere gli storici di domani quando dovranno occuparsi del disgraziato periodo  in cui ci è toccato vivere. Per liquidarla basta gettare uno sguardo sulle direttrici lungo le quali si muove la politica estera russa .

La prima  è un’evoluzione dell’alleanza strategica con  la repubblica popolare cinese. Un’alleanza imposta dalla geografia e sopravvissuta all’implosione dell’Urss. Al blocco comunista si è sostituita la complementarità militare ed economica rafforzata dal comune avversario in un quadro che si è progressivamente allargato grazie anche alla composizione della latente conflittualità fra Cina e India. Un processo inarrestabile  che ha portato alla convergenza  delle grandi economie emergenti, il BRICS, di fronte al quale l’imperialismo americano è destinato a crollare nonostante i suoi colpi di coda.

Meloni con Biden e Zelensky

La seconda è determinata dal vuoto politico dell’Africa aggravato dalle incalcolabili ricchezze minerarie del continente, capaci di scatenare una competizione di tutti contro tutti per arraffarle.  Per non farsi male russi e cinesi si son messi d’accordo disponendo parallelamente le loro  linee di espansione,  in rotta di collisione   con le multinazionali occidentali che, of course, fanno capo a Wall Street e le velleità neocolonialiste anglofrancesi.

Qualunque sia lo scacchiere sull’America si staglia l’ombra della Russia.   E in America, con l’amministrazione Biden, è tornato alla ribalta lo stereotipo del pistolero che se qualcuno lo innervosisce mette mano alla fondina perché è l’unica risposta di cui è capace. In quel deserto dell’intelligenza e della morale che è la politica europea  nessuno pensa di fermarlo  perché si è convinti che lui sparerà per primo e poi come iene ci si potrà cibare delle spoglie del morto.

La Meloni ha fatto scuola: la Le Pen  sa che le chiavi dell’Eliseo non gliele possono dare gli elettori ma l’ambasciata americana  e ha pensato bene di esibirsi in un triplo salto mortale (esperiamo che lo sia davvero, politicamente, s’intende): ora  l’Ucraina è un Paese invaso da difendere ad ogni costo e Putin non è più un amico – e un benefattore – ma un bieco tiranno sanguinario. Così spiazza il robottino Macron che rischia di essere buttato in disfattura dal suo costruttore  e disperato comincia a svalvolare cantando la marsigliese. Ci sarebbe da ridere se non fosse in gioco  la nostra vita, quella dei nostri figli e la stessa sopravvivenza dell’umanità.

Pierfranco Lisorini

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