Quando si smarrisce il contatto con la realtà.

Mondo a rovescio,  brutto sogno o semplicemente quello che chiamano fascismo?

dagospia

Il deficit di pluralismo e di libertà nell’informazione che proietta l’Italia in mezzo alle dittature da operetta dell’Africa o dell’America latina è ormai oltre che un’evidenza empirica un dato ufficializzato a livello mondiale. E intanto i partiti hanno perso ogni credibilità e le elezioni sono diventate una burla, tanto che non più nella riservatezza dei salotti ma in occasioni pubbliche e sulla carta stampata c’è chi dichiara senza scomporsi che rispettare la volontà e le aspettative degli elettori è pericoloso populismo e che la democrazia è solo una finzione: la politica deve essere ispirata dal bene della Nazione, di cui è interprete la crème di cui un tempo lontano Il Pci si serviva e che ora si serve del Pd. L’Italia è ormai dichiaratamente un’oligarchia che non lascia spazio al dissenso ed ha al proprio servizio la totalità dei giornalisti e di quanti hanno ricevuto il ruolo ben retribuito di manipolare la pubblica opinione. Se adotto prospettiva e linguaggio della sinistra devo concludere che con un parlamento esautorato perché la funzione legislativa è assolta dall’esecutivo attraverso decreti concordati fra i vertici istituzionali, le questioni fondamentali di politica estera e interna un tabù, i partiti che dibattono sul sesso degli angeli e tutto il sistema dell’informazione allineato uno Stato è fascista e quello italiano è da oltre un decennio spudoratamente fascista, fascista senza un capo con uno straccio di carisma, tanto per smentire Weber. E solo nella breve parentesi gialloverde l’Italia assaporò per un istante il gusto della libertà.

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Potrei mettere in fila l’uno dopo l’altro giornalisti e opinionisti di tutti i quotidiani italiani, quelli di orientamento progressista e quelli di orientamento conservatore, quelli seri e composti e quelli più battaglieri; nella sostanza tutti uguali, non cambia nulla. Ma il giornalista, si sa, risponde all’editore e per essere libero dovrebbe mettere in conto di essere licenziato: poco male in un mondo in cui l’editoria è libera e l’imprenditoria con cui è collegata è anch’essa libera, vale a dire soggetta al mercato e non alla politica, dentro e fuori i confini. Ma non è il nostro mondo: da noi chi esce dai ranghi non rientra più.

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E il coraggio -ma anche la dignità – uno, se non ce l’ha, mica se li può dare, vero, don Lisander? Peggio dei giornalisti sono solo gli intellettuali, ospiti assidui delle reti generaliste, in grado di sentenziare che se il pullman dei turisti ucraini è precipitato dal viadotto è colpa del guardrail – forse in questo modo si possono incastrare Salvini e/o Zaia -, una tesi che farebbe scompisciare dalle risate se non fosse per il rispetto dovuto alle vittime; che la Meloni prima ha fatto con la sua gemella Ursula un patto storico con Saied poi ha piegato la Germania; che la disoccupazione è ai minimi storici e l’economia italiana procede a gonfie vele e guai a chi tocca le auto elettriche e la green economy. In questa atmosfera surreale, con la Rai che mette in guardia contro la disinformazione in attesa di un dispositivo che ne oscuri tutti i canali, nell’intrecciarsi di immagini reali e virtuali si diffonde la voce questuante che chiede armi per difendere la nostra libertà e ci si chiede se Zelensky ha ripreso a calcare il palcoscenico; e i migranti a bordo delle loro imbarcazioni urlano in faccia a chi temono che li voglia rimandare indietro: “Abbiamo pagato e dobbiamo andare in Italia!” Già: hanno pagato. Ma in una dimensione onirica tutto è possibile, la paura genera mostri, la libido crea amplessi, la nostalgia fa rivivere i morti, figuriamoci se è un problema il migrante che paga per la traversata, che siano 500, 2000 o 10.00 euro. Non ho letto una sola riga nelle cronache o negli editoriali, non ho sentito una sola parola nei talk show su dove diamine trovino i soldi i “disperati” in fuga da Paesi dove chi lavora guadagna 100 euro al mese e il reddito medio annuo pro capite oscilla fra 130 e i 500 euro. I casi sono due, e non se ne esce: o chi, come i 150.000 sbarcati da gennaio in Italia, sono i benestanti, gli straricchi, e i veri disperati restano dove sono nati o c’è qualcuno che gli paga il viaggio. E, se è così, perché lo fa? Non solo. Nel gran parlare dei trafficanti che sarebbero i veri colpevoli dell’invasione nessuno si pone la domanda sul ponte che è condizione del traffico: da una parte il pilone della partenza ma dall’altra parte ci deve essere l’altro pilone dell’arcata. E non si cerchi una centrale sola, quella dove il traffico ha inizio: ce ne deve essere un’altra dove arriva, due facce di un’unica organizzazione o due organizzazioni, una parla arabo, l’altra italiano ma grazie all’inglese si intendono benissimo. Se poi uno, a mano, col pallottoliere o la calcolatrice si mette a fare due conti, si trova davanti a cifre mostruose, e se l’affare è tanto grande anche l’organizzazione deve essere altrettanto grande, complessa e ben ramificata (e per buttare la palla in tribuna non si tiri fuori la mafia, troppo comodo). Ma l’argomento non interessa, è irrilevante. E inoltre aggiungo sommessamente che i trafficanti presi di mira, quelli a bordo dei barchini, sono solo bassa manovalanza.
Ma in questo universo onirico è con l’Ucraina che si è smarrito completamente il senso della realtà (e anche del ridicolo) e ce ne dà una dimostrazione uno dei più popolari maîtres a penser. “Le file per guardare il film sulla Barbie dimostrano che la Russia non può vincere questa guerra perché è un conflitto culturale”, s’intende fra il nostro stile di vita “leggero, divertente, spregiudicato” che l’Ucraina difende al posto nostro e l’oscurantismo russo.

Crepet

Una corbelleria di questa portata non l’ho mai letta neppure sui social, dove c’è posto per tutti e non ci si sorprende di nulla. Se fosse uscita dalla sua bocca un anonimo insegnante sarebbe stato esposto al pubblico ludibrio e, per quel che mi riguarda, avrebbe dovuto essere cacciato dalla scuola a calci nel sedere. Invece l’abbiamo sentita dalla viva voce dello psicologo-sociologo-politologo Crepet con la compiaciuta approvazione della giornalista della 7. Una corbelleria al quadrato, sia per la previsione sull’esito del conflitto sia sul presunto scontro di civiltà, del quale semmai si potrebbe parlare se ci si riferisce ai talebani o a tutto l’Islam. In primo luogo anche Crepet, se non vive sulla luna o non ci ha lasciato il cervello, e in questo caso veda un po’ se Astolfo si presta a recuperarglielo, dovrebbe sapere che è la Russia che non può perdere questa guerra – in cui l’Ucraina è la vittima sacrificale della Nato – a meno che non diventi la terza guerra mondiale: ma in questo caso non ci saranno né vinti né vincitori. Se rimane un conflitto fra Ucraina e federazione russa la Nato può riempire l’Ucraina di tutti gli armamenti possibili e immaginabili, uranio impoverito, bombe a grappolo, Leopard, F35, missili a lunga gittata, ma i russi, se ne avessero l’intenzione, in qualunque momento potrebbero schiacciarla come una nocciolina. E non mi si chieda perché non lo fa. Se non lo fa non è perché Putin ha il cuore tenero ma perché non può sparare sulla sua stessa gente, una buona parte della quale in libere elezioni si schiererebbe a fianco del Paese fratello (la mia non è un’ipotesi campata per aria: è già successo).Fino all’altro ieri era pacifico non solo per diretti interessati ma per chiunque fosse appena appena scolarizzato che russi e ucraini sono un unico popolo, assai più di quanto non lo siano piemontesi e siciliani. E non per niente le stragi di civili e i bombardamenti russi su città e aree residenziali sono una bufala che i nostri mezzi di informazione hanno ripreso ciecamente dalla cricca di Zelensky, salvo poi essere smentiti dalla stampa americana: è accaduto per la strage nel mercato e accadrà per la torbida messinscena di Bucha.

Ma l’assunto di base che dovrebbe garantire aprioristicamente la sconfitta russa è anche peggio di una valutazione sbagliata, è un delirio da qualunque parte si guardi. L’immagine oleografica di un Occidente leggero, liberato dalla zavorra del moralismo, felicemente edonista è di un’ipocrisia sconcertante soprattutto se uscita dalla mente di uno psicologo: la vita, caro signore, è una cosa seria in tutte le latitudini e il livello di istruzione, la soddisfazione dei bisogni primari, lo stesso benessere materiale non la rendono meno seria. Il nostro psicologo la risolve in burletta, nel divertimento, nella fila per vedere Barbie! Ma inventare una frattura culturale fra l’Europa e la Russia è veramente intollerabile, è segno di ignoranza, sprovvedutezza, assenza di letture difficile da rintracciare nel più istupidito adolescente. Da Pietro il Grande in poi si sono ricomposte le due anime della civiltà europea e mediterranea che lo scisma all’interno della chiesa cristiana e il cuneo dell’Islam aveva diviso. Da allora immaginare la storia, la politica, l’arte, la musica, la letteratura europee senza la Russia è impossibile. Ma, se il nostro non lo sa, è del tutto inutile ricordaglielo.

Pierfranco Lisorini

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One thought on “Quando si smarrisce il contatto con la realtà.”

  1. Bellissimo articolo che disegna la situazione attuale. E’ la fine della politica, della democrazia e della libertà, oramai si va avanti con i governi tecnici

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