Qualche chiarimento sui primi tre “Mottetti” di Eugenio Montale

Dopo aver commentato i primi tre mottetti montaliani, e prima di eventualmente procedere a commentare i restanti, necessita una precisazione relativa alle donne coinvolte in essi.
Infatti, come si è già avuto modo di sottolineare su questa stessa Rivista, chi sia l’ispiratrice non è semplice stabilirlo.
Per gli altri mottetti, invece, non vi sono dubbi di sorta: la protagonista-dedicataria è Irma Brandeis, che verrà evocata col senhal di Clizia.
Anzi, col fatto che Montale le dedica l’intera raccolta delle “Occasioni” e che i “Mottetti” sono una sezione di essa, ne consegue che se anche quelle poesie fossero state cripticamente dedicate ad altre donne, in maniera quantomeno diffusa la chiamano comunque in causa e non la deprivano della promessa di quel “a I. B.” posto nella pagina altrimenti bianca che precede i versi delle “Occasioni”.
A mio modesto modo di vedere la chiave di lettura della triade iniziale dei “Mottetti” relativamente alla figura femminile, sta proprio nell’ aver presente questo impasto dello specifico con il diffuso. Impasto, è importante ribadire, non parte.

Ebrea di New York, italianista, critica letteraria nonché appassionata di Dante, la Brandeis conosce Montale personalmente a Firenze. E non per caso.
Lo va a cercare sul posto di lavoro, il Gabinetto Vieusseux di cui era Direttore.
Non vuol perdere l’occasione, trovandosi in Italia, di conoscere di persona il suo poeta preferito. Fino a quel momento (siamo nel ’33) lo aveva conosciuto solo per aver letto gli “Ossi di seppia”.
L’incontro non la entusiasma. Tutt’altro. A riprova, ciò che scrive: “davvero semplice,  alquanto brutto e spesso, persino, piatto”.
Nelle conversazioni avute con lui, scriverà in seguito, neanche “dieci parole degne di essere ricordate”.
E rincarerà:”Il grande poeta non sa parlare. Mi dice, umilmente, delle cose stupide”. Chiosando, però: “E mi piace adesso, non perché somiglia tanto alla sua opera, ma perché non ci somiglia affatto!”
Questo miscuglio di fascinazione-indifferenza, è ben rappresentato dall’episodio in cui lei, forse trovando qualche scusa, lascia la conversazione con il poeta degli “Ossi” per andarsene a casa e potersi finalmente godere la lettura degli…”Ossi”!
Insomma, Montale avrebbe quasi avuto motivo di incorrere nello strano caso di essere geloso di se stesso…
Continueranno ad incontrarsi e le cose si faranno più serie e più intime, per cui lui deve impegnarsi a gestire una relazione che rischia di mettere in crisi quell’altra che in contemporanea ha con la “Mosca”, Drusilla Tanzi, la quale, sembra minacciando addirittura il suicidio, si impone.
Così, dal ’39 i rapporti, anche epistolari, tra “Clizia” ed Eugenio si interrompono.
E’ solo undici anni dopo che lui le scrive per dirle se desidera ricevere la sua opera omnia; ma le pone una condizione: se accetta deve rispondergli unicamente con un “Sì” su una cartolina con l’indirizzo del suo ufficio (nel 1950 il Nostro è in forza al “Corriere della Sera”) .
La Brandeis non gradisce. Non le garba di essere parte di questo sotterfugio funzionale a non mettere in allarme la Mosca. Lo trova umiliante. Non gli risponde.
E non si sentiranno mai più. 

Ma chi sono queste donne che si contendono il ruolo di protagoniste nei componimenti che stiamo considerando?
Bisogna dire che qui non si pretende di risolvere una questione annosa e controversa anche per i più navigati montalisti, ma di parlarne solo nella misura in cui farlo la renda un po’ meno confusiva e nel contempo garantisca di non sembrare contraddittori per i riferimenti a persone diverse che danno l’idea (fino a che punto corretta?) di sovrapporsi o affiancarsi in liriche oltretutto molto brevi, come devono essere per tradizione letteraria i mottetti.
Ci limitiamo dunque a offrire alcune brevissime indicazioni che bastino a dar ragione delle varie supposizioni avanzate dagli studiosi del poeta genovese, sempre funzionali a comprendere più adeguatamente la sua poesia, e mai fine a se stesse.
Sottolineato che la “colpa” dell’incertezza con cui i critici si muovono è comunque da attribuirsi in discreta misura a Montale medesimo, il quale, per vari motivi, non è stato e, in certi frangenti, non ha voluto essere chiaro, se la donna con il ruolo di ispiratrice, o di protagonista, o di dedicataria degli ultimi 16 mottetti (non 17 perché uno, “La rana, prima a ritentar la corda”, è solo descrittivo), viene individuata da tutti e senza troppe esitazioni nella studiosa americana, più ardua e meno univoca sembra la figura di donna che questi ruoli ricopre nei primi tre.
In essi è sembrato ad alcuni biografi di Montale di vedere la presenza di Paola Nicoli, un’artista genovese di ascendenze peruviane conosciuta nel ’24, e rivelatasi però in seguito per la seconda e terza lirica dei “Mottetti”, più che personaggio autonomo, figura-schermo di Maria Rosa Solari. Quest’ultima Montale la conobbe nel ’33, poco tempo prima della Brandeis.
Invece ad altri pare effettiva soltanto nel secondo e nel terzo, ed assente, o presente solo parzialmente, nel primo mottetto.In teoria, come stiano le cose ce lo dice il carteggio tra Montale e Clizia, la quale gli scrive, irritata, lamentando di essere venuta a sapere che non proprio tutti i mottetti sarebbero veramente dedicati a lei, come sarebbe stato giusto atteso che in apertura “Le Occasioni” portano la dicitura “a I. B.” 
Il poeta replica che la musa ispiratrice è invece proprio lei; anche se per quanto concerne il secondo e il terzo componimento è costretto ad ammettere che sì, è sicuramente lei, ma non solo lei. 
E  allora necessita considerare come in Montale abbia già preso forma quel concetto secondo cui sarebbe snaturare la sua poesia se si cercasse di delinearne esattamente i contenuti, compresi quelli rappresentati dalla figura femminile.
Insomma, ci resta il dubbio se il secondo e terzo mottetto fossero un’analessi del primo nel senso di pensare questa perdita (richiamata dall’incipit “Lo sai: debbo riperderti e non posso” con funzione anche di titolo), come la perdita di Irma che va in America da cui, in quanto ebrea, dopo le Leggi Razziali non può tornare, oppure come la perdita di Maria Rosa Solari che va in Svizzera a curarsi dalla tubercolosi.
Il tutto complicato dal fatto che il San Giorgio citato nel mottetto n° 2, potrebbe indirizzarci a Firenze in via Costa San Giorgio dalla Brandeis, ma anche a Genova di cui il santo è l’eroe, dalla Solari.
La risposta di Montale si può intendere come conseguenza di una certa confusione tra le tre donne tale per cui il sentimento verso l’una non ha un confine netto con il sentimento per le altre.
Un chiaroscuro che decisamente non ha reso la vita facile a coloro che hanno tentato, e ancora in parte tentano, di decifrarlo.

FULVIO BALDOINO

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2 thoughts on “Qualche chiarimento sui primi tre “Mottetti” di Eugenio Montale”

  1. Ringrazio il prof. Baldoino per questo documentatissimo “spaccato” biografico del grande poeta ligure tra i più importanti del nostro Novecento (e non solo del nostro). Questi “chiarimenti” sulle figure femminili alle quali si rivolge l’Autore nei primi tre mottetti delle “Occasioni” si fondono una nell’altra, ma indubbiamente tra queste figure domina la dedicataria di tutte le “Occasioni”, cioè l’italianista ebrea americana Irma Brandeis (I. B. ). Dalla scrupolosa ricostruzione del prof. Baldoino emerge la natura soprattutto platonica o stlnovistica di questi amori montaliani, che tuttavia non erano per niente accettati da Drusilla Tanzi, la moglie (soprannominata “la Mosca” a causa delle sue spesse lenti da miope) . Di qui i sotterfugi del poeta e il soprannome con cui si firmava “Eusebio” o “Arsenio” nelle lettere a Irma Brandeis, (Clizia), tornata in America dopo il soggiorno fiorentino e dalla quale non sarebbe più tornare in Italia a causa delle leggi razziali del 1938 e dello scoppio della seconda guerra mondiale. Con questo spaccato biografico Baldoino mette in luce alcuni tratti comportamentali dell’uomo Eugenio Montale, tratti che ce lo rendono ancor più fratello.

  2. Caro amico, hai fatto bene a mettere in evidenza che Montale non solo nominava con degli pseudonimi le sue donne, ma anche se stesso, perché può servire ad entrare meglio nel suo mondo. E quindi è bene che si sappia di Eusebio, di Arsenio e, aggiungerei, di Mirco.
    Poi c’era la “Mosca” ad indicare Drusilla Tanzi. Non come alias utile a mascherare, ma come benevola e affettuosa presa in giro che rimase definitiva e che gli fece scrivere: ” Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio / non già perché con quattr’occhi forse si vede i più. / Con te le ho scese perché sapevo che di noi due / le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, / erano le tue”.

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