Putin e la guerra alla speranza
Putin e la guerra alla speranza
Dai civili ai convogli umanitari: il massacro deliberato di chi non combatte
La guerra in Ucraina è ormai entrata nella sua fase più brutale. Quella che il Cremlino continua a definire “operazione speciale” è diventata da tempo un macello a cielo aperto, dove l’obiettivo non è più la conquista militare, ma la distruzione della vita quotidiana, della solidarietà, della dignità umana.
Bombardamenti su case, scuole, ospedali. E ora, anche attacchi mirati ai camion degli aiuti, simboli di quella fragile speranza che ancora attraversa le strade ucraine sotto le bombe.
È la guerra totale di Vladimir Putin: una guerra contro i civili, contro la pietà, contro la possibilità stessa di resistere con umanità.

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Il terrore come strategia
Ogni giorno l’esercito russo colpisce infrastrutture civili: centrali elettriche, quartieri residenziali, linee ferroviarie.
Non si tratta di errori di mira: sono scelte pianificate, strumenti di una strategia che punta a piegare la popolazione attraverso la paura e la disperazione.
Secondo le Nazioni Unite, migliaia di civili sono stati uccisi dall’inizio del conflitto, e decine di migliaia risultano feriti o dispersi. Le bombe a grappolo e i droni suicidi lanciati contro le città ucraine rappresentano una chiara violazione del diritto internazionale.
Ma per il Cremlino il diritto internazionale è carta straccia: l’unica legge è quella della forza, e la forza oggi si esercita sul corpo dei più deboli.
Colpire gli aiuti, colpire la vita
Negli ultimi giorni gli attacchi russi hanno preso di mira persino i convogli umanitari.
Un episodio gravissimo è avvenuto vicino a Kherson, dove un convoglio delle Nazioni Unite — con veicoli chiaramente contrassegnati — è stato bersagliato da droni russi.
A bordo c’erano operatori dell’ONU e dell’OMS: solo per caso non ci sono state vittime.
È un gesto che supera la barbarie: colpire chi porta cibo, medicine, soccorso è come dichiarare guerra alla solidarietà stessa.
Un modo per dire al mondo: “Nessuno può aiutarvi, nemmeno chi non porta armi”.
Putin sa bene che il morale di un popolo non si spezza solo con le bombe, ma anche isolandolo, facendo sentire ogni cittadino abbandonato, dimenticato.
La logica del massacro
Dietro ogni missile che cade su un asilo, dietro ogni camion umanitario bruciato, c’è una regia politica precisa: quella di Vladimir Putin.
Un uomo che ha scelto il massacro come strumento di potere, che ha trasformato la guerra in un progetto di propaganda interna e intimidazione globale.
La sua è una politica del sangue: più vittime, più paura, più controllo.
Non c’è niente di “strategico” negli ospedali distrutti o nei bambini morti sotto le macerie. C’è solo l’arroganza di chi considera la vita un mezzo, non un valore.
L’Occidente e la responsabilità del silenzio
Ogni volta che l’indignazione cala, ogni volta che le notizie sull’Ucraina scivolano in fondo alle cronache, Putin vince un altro round.
Perché l’indifferenza è la sua migliore alleata: gli consente di proseguire la guerra nella quasi normalità.
Ecco perché l’Europa e la comunità internazionale devono reagire con decisione:
- Garantire corridoi umanitari protetti, anche con missioni militari internazionali.
- Inasprire le sanzioni personali e commerciali contro chi finanzia o giustifica la guerra.
- Sostenere la documentazione dei crimini di guerra, perché un giorno – e deve esserci un giorno – Putin e i suoi generali rispondano davanti a un tribunale.
il nome della guerra
Questa non è più una guerra “per la sicurezza della Russia”, come la propaganda vorrebbe far credere.
È una guerra contro la vita stessa.
Contro i civili, contro la solidarietà, contro la speranza.
E quando un regime arriva a bombardare persino i camion degli aiuti, non è più un esercito: è un apparato di distruzione morale.
Putin ha scelto di essere ricordato non come un leader, ma come il carnefice di un popolo fratello.
E ogni colpo sparato contro l’Ucraina è un colpo sparato contro l’idea stessa di umanità.