Puntualità

Giosuè Carducci

Era mia intenzione per questo numero di “Trucioli Savonesi”, commentare la poesia di Carducci “Pianto antico”, perché nonostante sia conosciutissima e commentatissima, mi sembrava il caso di evidenziare una sua peculiarità di cui negli anni non ho mai sentito fare cenno.Ho tuttavia dovuto rimandare a data da destinarsi. Troppo distratto e sviato da un imprevisto.
Infatti oggi mi si è prospettato un fatto, proprio mentre mi accingevo a far fronte al suddetto commento, che mi ha indotto a rivolgere la mia attenzione su altro, ovvero su una situazione che qui e là avevo già notato ma che, un po’ per caso e un po’ perché comunque legata ad una lirica molto breve e quindi teoricamente più gestibile, ho percepito in modo più massivo.
Ebbene, in cosa consisterebbe un siffatto fenomeno? 
Nulla di trascendentale.
Molto banalmente si tratta del diffuso pressapochismo con cui viene in generale trattata la punteggiatura di un testo poetico. Nella fattispecie, di questo di Carducci.
Una superficialità che mi ha letteralmente e materialmente impedito di dare corpo al lavoro preventivato.
Stavo ricopiando la lirica da uno dei diversi siti che in rete si occupano di poesia, e ho percepito che qualcosa non “suonava” a dovere. Io non la ricordavo così.
Ho proceduto allora ad un confronto con il testo riportato da un altro sito. I miei sospetti erano fondati: mancava una virgola.
Sarebbe stato un attimo inserirla. Senonché per accertarmi che fosse un’assenza davvero illegittima, ho consultato un’antologia la quale in effetti la prevedeva, ma al termine di un verso inseriva contestualmente un punto e virgola che nel testo di partenza manca.
Dico “di partenza” perché comincio a questo punto a non fidarmi più di quell’idea che avevo secondo cui una lirica, in particolare se breve, famosa e di un famoso autore, sarebbe trascritta in modo accurato.

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Così passo in rassegna vari siti, prima per necessità e poi, visto che non ne vengo a capo, per curiosità, e trovo di tutto.
Uno riporta la lirica con la maiuscola ad ogni verso, l’altro senza dividerla in strofe, il successivo facendo scomparire una virgola da una parte per farla comparire (come compensazione?) da un’ altra, quello ancora dopo, facendola scomparire senza più.
L’interpunzione dopo “negra” è la più statisticamente altalenante: sembra quasi un optional far seguire la parola da un punto e virgola, o da una semplice virgola, o da niente.
Infine (non perché non vi sia materiale per proseguire nell’elenco, ma perché mi pare opportuno chiuderlo con una performance particolarmente rappresentativa) c’è pure una trascrizione in cui viene omessa la virgola dopo “or ora”, dopo “inaridita”, e dopo “fredda”, e viene fatto un blocco unico delle quattro strofe originali…!
Ora, non per far assurgere con troppa acribìa la freudiana fase anale ad atteggiamento necessario per una discussione critica e formale di un testo, ma se un autore si prende la briga di staccare i suoi versi in più strofe, cioè di lasciare degli spazi bianchi sul foglio, vorrà o non vorrà dire qualcosa?
E se anche si presumesse che non vuole dire niente e ciò non ci garbasse, non potremmo forse sempre andarci ad occupare di qualche altra cosa di qualcun altro. Nessuno ce lo vieta.
Quando leggo, e soprattutto quando commento un testo, lo devo fare rispettandolo per quello che è, cioè riproducendolo senza modificarlo, per piacere o per incuria.
Se questo non accade e se il testo è in prosa, male. Malissimo se è in versi. Perché il poeta a differenza del saggista, del giornalista o del romanziere, ha massima necessità di far sentire anche il respiro, in senso stretto e lato, di quanto scrive.
La punteggiatura, tra le altre cose, è anche questo: il suo respiro.
I punti, gli esclamativi, le virgole, le parentesi… segnano la sintassi del pensiero e del sentimento. Rallentano, bloccano, esaltano. E comunque contribuiscono a dare un ritmo, una misura più o meno franta, più o meno involuta, più o meno connessa o indipendente tra i periodi e le frasi.
La sua tinta, la sua curvatura, un componimento la assume anche da lì, perché la punteggiatura non è soltanto il segno che ci dice quando prendere respiro (polmonare o mentale) se si sta leggendo ad alta voce o tra sé e sé, ma ci suggerisce anche il tono e, ovviamente, il senso.
A volte persino la virgola, il segno più debole, se non è usato, o è abusato o è usato a sproposito, impedisce di capire, oppure fa capire una cosa per un’altra (e quest’ultimo è il caso più pericoloso, in letteratura e nella vita).
Nel testo poetico, cioè in un testo che spesso nasconde proprio nei dettagli messaggi imprescindibili alla sua decodifica, accade che senza un’adeguata cura e attenzione per la punteggiatura, si menoma o stravolge il senso o, nei casi meno gravi, se ne attenua la portata estetica.
Per la poesia, l’idea espressa dal De Sanctis del “tal contenuto, tal forma”, vale al quadrato. Altrimenti essa non riesce ad assumere la forza necessaria da plasmare emozioni e sentimenti.
In definitiva, anche il modo di dire secondo cui un nuovo elemento emerso nel corso di una discussione non cambia di una virgola la sostanza della questione, è sbagliato.
Non come giudizio relativo a quell’elemento, che sarà compito dei contendenti valutare, ma come distratto giudizio relativo alla virgola che, si è visto, non merita di essere un così esiguo e  sottovalutato termine di paragone.

FULVIO BALDOINO

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