Politica estera

POLITICA ESTERA: ANCELLA NEGLETTA

POLITICA ESTERA: ANCELLA NEGLETTA

Il Presidente del Consiglio ha esaltato, proprio oggi, l’operato delle forze armate italiane in Afghanistan attribuendo il merito del loro brillante operato al governo da lui presieduto; sono diminuiti gli sbarchi degli immigrati nelle isole e sulle coste (anche se il fenomeno è ricomparso in Sardegna), si è discusso per tutta l’estate della de-localizzazione all’estero di importanti pezzi della produzione Fiat: si tratta soltanto di esempi riguardanti l’estrema attualità del tema, ma di politica estera, ormai, si discute poco o nulla, con il dibattito politico completamente incentrato sugli elementi di divisione interna, sia a livello personale, sia a livello di forze politiche.

Eppure la politica internazionale è ancora il fattore decisivo anche per l’equilibrio economico e sociale interno.

C’è confusione, sotto questo aspetto, nelle istanze che percorrono la disgregata sinistra italiana.

Corrono grandi discorsi sulla globalizzazione e sulle idee riguardanti “un altro mondo possibile”, spesso si confonde la carità con l’intervento umanitario e – ancora – con l’idea (un po’ fasulla) di praticare forme nuove di internazionalismo, si stenta ad individuare, nella storia più recente, una fase nel corso della quale le diverse opzioni in campo che si presentano, agli occhi degli osservatori, sono apparse così limitate proprio sul piano della prospettiva internazionale, ristrette nell’ottica di un vero e proprio provincialismo.

Più si fa finta, infatti, di alzare il tiro guardando ad una non meglio definita globalizzazione ( la logica, appunto, dei “no global”, quella che portò partiti ad annullarsi dentro movimenti, all’epoca del G8, smarrendo così la loro funzione concreta), più si è provinciali: più si guarda al dito e meno alla luna e non si riescono ad individuare i veri nodi politici.

Pensiamo al ruolo dell’Europa e a quello dello “stato-nazione”.

La destra al governo appare, paradossalmente, avere le idee più chiare (pur differenziate al proprio interno), intendendo la fase di superamento del neo-liberismo globale impostosi fin dagli anni’ 70 (e certo non minimamente avviata dall’astratta “narrazione” sviluppata dalla nuova presidenza democratica degli USA: in particolare sotto l’aspetto dell’esasperazione assunta dalla linea della “esportazione della democrazia”) come sviluppo verso un assetto di tipo populista – conservatore, fondato non sull’internazionalizzazione dei temi politici e sociali, ma sul rilancio di una sorta di bilateralismo verso le situazioni regionali considerate più simili: si pensi ai rapporti con la Russia, con la Libia, la stessa rete commerciale utilizzata verso la Cina, l’appoggio ai processi di delocalizzazione produttiva verso i paesi dell’ex-blocco sovietico, l’assenso alla spartizione dei Balcani, l’abbandono dell’idea dell’Europa Politica, l’appoggio a misure di tipo razzistico assunte unilateralmente da governi europei (a proposito di “stato-nazione”).

A sinistra si risponde, in due modi: o con una linea di richiesta di generico “temperamento” degli effetti della crisi tutto interno al sistema e, di conseguenza, all’accezione neo-liberista; oppure, come abbiamo già fatto rilevare, attraverso una generalizzazione quasi “utopistica” del mito “no-global”, utilizzato, in verità, in forme di sapore meramente propagandistico nell’impossibilità e nell’incapacità di proporre sbocchi concreti.

Il movimento “no global” ( ormai “trasversale”, sulla base delle cui teorie si appoggiano diversi movimenti politici in Europa ed anche in Italia, magari cercando di sbandierare anche una identità di sinistra non perseguibile su quelle basi teoriche) non può, infatti, limitarsi ad interpretare una presunta “modernità” delle contraddizioni, ma deve compiere un salto di qualità valutando appieno, sul piano teorico, la radicalizzazione che l’antica contraddizione “capitale-lavoro” sta subendo proprio all’interno della realtà, non ancora dismessa, dello “stato-nazione”.

E’ necessario inserirsi in questo dibattito con grande forza, rilanciando l’obiettivo dell’Europa politica, ponendo al primo punto la colmatura del “deficit democratico europeo” ( è la questione, a quel livello, del “modello renano” in economia e nella società, e della ricerca di un nuovo “compromesso” che, sbrigativamente, per fornirgli un chiara identità di sinistra abbiamo definito, forse impropriamente come socialdemocratico).

Al riguardo dell’Europa va sollevato il tema dell’errore commesso con un allargamento indiscriminato e fondato in più sulle ristrette regole del monetarismo ( si tratta di un punto, come facilmente può essere individuato, che ci porta a presentare nuovi obiettivi concreti per una seria battaglia politica, a partire da una revisione del trattato di Maastricht, in senso diverso da quanto è stato già rivisto a Lisbona e a Nizza, proseguendo nel portare di nuovo in primo piano l’idea di Costituzione Europea).

Il ruolo dell’Europa politica, oltre a quanto già indicato, passa anche attraverso l’affrontamento di opzioni molto precise: la ripresa del movimento per la pace, un punto di riferimento alternativo a quello liberista per lo sviluppo di un nuovo quadro economico-sociale, il ristabilimento di strette relazioni tra i soggetti politici della sinistra europea: è il tema di una Internazionale Socialista non genericamente progressista e di un GUE capace di assumere, ancora, la centralità nel ruolo dell’Europa Occidentale attorno ai temi dello sviluppo industriale, tecnologico, scientifico, la lotta allo sbilanciamento dell’insieme delle relazioni industriali sul terreno dell’azzeramento dei diritti dei lavoratori, l’avanzamento del processo di integrazione dei “nuovi cittadini” provenienti dalle più diverse parti del mondo.

E nostra convinzione, infine, che nella globalizzazione e nel multipolarismo attuali, mentre appare restringersi il ruolo dominante della super-potenza capitalistica e crescono le tendenze aggressive delle nuove super-potenze asiatiche, si allarga il peso dei fondamentalismi, salgono di numero le “guerre dimenticate”, arrivano da altre parti del mondo segnali di crescita del populismo (come dal Sud America), debba crescere il ruolo delle forze politiche di sinistra dell’Europa Occidentale, inteso non certo come il ritorno al “cortile di casa nostra”.

Un Occidente Europeo schierato a sinistra può risultar ancora fondamentale per la prospettiva di una fuoriuscita dalla crisi in direzione positiva per la pace e le grandi masse popolari: è necessario stimolare, su questo punto, la riflessione e l’iniziativa politica riflettendo anche sulla realtà degli Stati che compongono questa importante area del mondo e sui loro sistemi politici, non riducibili, come ha fatto la destra e come stanno pensando alcuni anche a sinistra, ad istanze di tipo populistico, in cui il ruolo dell’aggregazione politica sia ridotto a quello di sostegno di “leader” solo televisivamente( e pericolosamente) carismatici.

Savona, 25 Settembre 2010                                                         Franco Astengo

 

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