Pietà l’è morta (e la ragione agonizza)

Com’ era prevedibile il lutto per la strage del 7 ottobre è durato lo spazio di un mattino poi ha ceduto il posto alla di volta in volta commossa o rabbiosa partecipazione al dolore per i morti palestinesi, dei quali stampa e telegiornali tengono la conta scrupolosa che Hamas si occupa di tenere aggiornata.  Si è iniziato con l’imporre una netta distinzione fra civili e miliziani – quando in realtà tutti i palestinesi sono potenzialmente miliziani e Hamas non è un corpo estraneo alla società palestinese – poi si è fatta strada una scoperta partecipazione alla causa palestinese.

Dopo l’infamia che gli stessi assassini si sono premurati di documentare un governo più serio e meno ipocrita di quello che ci è capitato avrebbe dovuto assolutamente impedire che prendesse forma un movimento che direttamente o indirettamente, velatamente o in maniera esplicita attaccasse Israele e i suoi governanti. Invece ha dato la stura alla piazza e nel giro di pochi giorni quelli che a rigor di logica e di opportunità politica  avrebbero dovuti starsene tranquilli nelle case in cui li ospitiamo sono scesi nelle strade come fossero a casa propria sventolando bandiere palestinesi, inneggiando ad Hamas e dichiarando senza pudore ai microfoni di cronisti che si prestano a dar loro voce che gli ebrei devono sparire dalla Palestina e dalla faccia della terra, che Israele non ha diritto di esistere e, implicitamente ma non troppo, che la Shoah è stata un’operazione di igiene planetaria.

Se penso ai poliziotti in assetto antiguerriglia  che in pieno inverno  annaffiavano  cittadini inermi che protestavano contro l’abominio dell’obbligo vaccinale  e dopo qualche bastonata pedagogica  li  irroravano coi gas  e ora vedo che  non muovono un dito contro chi urla slogan che dovrebbero spedirlo diritto in galere, segnala con la croce di David case e negozi di ebrei e brucia la bandiera di Israele mi prende una rabbia impotente da animale in gabbia contro uno Stato – ma dovrei dire un governo –  osceno e codardo che si dice di destra ma è al carro della peggiore sinistra, impegnato a infilare il piede in due tre quattro scarpe per compiacere l’amico americano, la burocrazia europea, la finanza globale, le centrali del terrorismo islamico. E intanto sui telegiornali e sulla stampa, dal Corriere al Manifesto passando per Libero, il Giornale e il Riformista, tutta cartaccia che   circola grazie ai soldi degli inconsapevoli contribuenti, si martella l’opinione pubblica con le immagini dei bambini di Gaza vittime della ferocia ebraica per far dimenticare  la scena barbarica della ragazza disperata trascinata via dal rapitore uscito dalla notte dei secoli e smorzare l’urlo bestiale  dell’assassino indemoniato  “ammazza! ammazza! ammazza!”  mentre spara a casaccio colpi di mitra, sgozza anziani sorpresi nel sonno  e divide in due il  neonato  nella sua culla  incoraggiato dal padre che ragguagliato a distanza col cellulare risponde benedicendo il figlio e ringraziando dio che ha permesso lo scempio.  Con gli esperti che guardano oltre, disquisiscono sui vantaggi che Russia e Cina (non l’America) ricaverebbero dall’incendio del medio oriente, sul ruolo degli sciiti o sulla inadeguatezza di Netanyahu, che, detto per inciso è l’unico leader occidentale che tiene  testa agli americani.

Semmai dovrebbero cercare di spiegare cosa diavolo ci facessero le due portaerei americane davanti alle acque di Gaza e che bisogno avrebbe Israele del sostegno militare della Nato – e ti pareva che non ci fosse anche una fregata italiana-, quella Nato che mostra i muscoli non si capisce contro chi. Per far paura ad Hamas? come se Israele, con uno degli eserciti più potenti del pianeta avesse bisogno di aiuti esterni per schiacciare i palestinesi; per fronteggiare la minaccia degli Hezbollah? una barzelletta nonostante il goffo tentativo di accreditarli come una strapotenza militare; o magari in attesa che l’Iran si decida ad attaccare Israele? Ma i persiani, che hanno mangiato la foglia, non muovono un dito e stanno a guardare mentre la guida suprema nega di avere qualcosa a che fare con la mattanza del 7 ottobre. Non sarà che gli americani e i loro leccapiedi europei frustrati per lo stallo in Ucraina e la freddezza di Putin provino altre esche per l’incendio planetario che ponga fine  al processo di liberazione dal dominio del dollaro? Non dico, perché non ho elementi per farlo, che la Cia abbia usato Hamas per provocare una reazione a catena ma mi pare quantomeno lampante che l’amministrazione dem abbia preso la palla al balzo. Sarebbe stato un bel colpo se Israele avesse accusato Teheran di aver armato la mano di Hamas dando modo agli americani di ripetere il brutto tiro giocato a Saddam Hussein. Ma Israele si limita, si fa per dire, a bombardare e mitragliare i palestinesi mentre per la Palestina si manifesta in tutto il mondo ma non a Teheran.

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Resta il fatto che pur facendo la tara  sulle  cifre fornite da Hamas se si bombardano e si radono sistematicamente al suolo interi  quartieri e quelli che vi abitano, anche se avvisati, non hanno un posto dove ripararsi non resta altro che portare via i morti. E per quanto i palestinesi  in occidente piacciano solo alla canaglia dei centri sociali e dei collettivi studenteschi  e suscitino diffidenza anche presso gli arabi che alzano reti invalicabili per tenerli alla larga non si può non inorridire davanti a quello spettacolo. E  basta collegare due sinapsi per chiedersi com’è che a Bruxelles, dove si criminalizza Putin che, anche per calcolo politico, fa di tutto per limitare  gli effetti collaterali del conflitto, non se ne accorgano; del resto nessun tribunale internazionale si è accorto che  gli angloamericani – atomica a parte – erano riusciti a disintegrare cinquantamila innocenti in una mattinata. E ora si ha l’impressione che gli israeliani siano stati a lezione dall’amico americano. Insomma è vero che uno Stato ha il dovere di difendere i propri cittadini  e di vendicarli nel più duro dei modi ma lo deve fare nei confronti dei responsabili e dei loro mandanti. È però anche vero che il sentiment di buona parte dei palestinesi è a fianco di Hamas  e nessuno nei territori ha rifiatato contro la strage  o la cattura degli ostaggi, che, se possibile, è un crimine anche peggiore. Mi si può obbiettare: se uno solo dei palestinesi uccisi fosse non solo estraneo ma in disaccordo con quel massacro – del quale sicuramente i neonati non erano né complici né conniventi – questo è un crimine imperdonabile. Come fu un crimine imperdonabile far pagare a centinaia di migliaia di irakeni e allo stesso Saddam Hussein la strage dell’11 settembre.  Brutta storia, insomma, comunque la si guardi. Perché mantenere impresso nella mente il nuovo sfregio inferto al popolo ebraico e provare orrore e disgusto per l’antisemitismo che pesa come un macigno sull’Europa cristiana e cattolica – troppo comodo e fuorviante scaricarlo sulla Germania nazista – non significa giustificare le stragi di Gaza, allo stesso modo che condannare le stragi di Gaza non significa assolvere i palestinesi.

Ma mai come in questa circostanza bisogna guardarci da analisi lineari; non solo è necessario un approccio  multifattoriale e il ricorso al paradigma della complessità ma occorre tenere presente anche la metafora dell’apprenti sorcier. Tanto per cominciare mi chiedo: gli israeliani da che parte guardavano quando i palestinesi costruivano i loro formicai sotterranei; e con quali mezzi finanziari e quali risorse tecniche li hanno costruiti? chi e come ha controllato dove va a finire il fiume di soldi che dall’occidente e dai Paesi arabi finisce in Cisgiordania e nella striscia di Gaza?  E mi domando anche: che ruolo ha la finanza ebraica che non sta di casa a Tel Aviv ma a Wall Street? e continua a rodermi un tarlo che mi tormenta da decenni: ma gli ebrei europei non si potevano salvare? bisognava che il loro sacrificio si consumasse fino in fondo?  e se quel sacrificio dava soddisfazione alla bestialità tedesca o slava chi in realtà ne ha tratto vantaggio? e chi continua ad alimentare l’antisemitismo in occidente? Si ha l’impressione che nulla sia come appare, che i gruppi di potere siano tutti sepolcri imbiancati, che si attui una gigantesca formazione reattiva che impedisce di distinguere la causa dall’effetto, le vittime dai carnefici e fa diventare tutti vittime e tutti carnefici.

L’ho già scritto: sic stantibus rebus la questione israelo-palestinese è insolubile. Lo  stallo è solo in parte superato se scendendo di livello si guarda alle cose in modo empirico. Il territorio palestinese originariamente abitato da etnie diverse, arabi, beduini, comunità cristiane ed ebraiche era  nella prima metà del secolo scorso meta di una immigrazione ebraica spinta dal movimento sionista che già allora creava frizione col sostrato arabo e musulmano. Era un territorio povero, in buona parte deserto o desertificato nel corso dei secoli, caratterizzato da un’economia poverissima, una pastorizia e un’agricoltura rudimentali, terra arida, mancanza di acqua. Israele lo ha completamente trasformato, ha reso fertile e verdeggiante il deserto ha mostrato al mondo la forza dell’intelligenza, della laboriosità, dell’uso razionale della tecnologia.

E se è vero che l’arabo palestinese è povero rispetto all’ebreo israeliano, se è vero che non gode degli stessi diritti  è anche incontrovertibilmente vero che l’arabo palestinese grazie a Israele è uscito dalle condizioni di sopravvivenza in cui si trovava nel 1948, l’anno della discutibile decisione di far nascere uno stato ebraico.  Uno Stato che però, quale che sia stato il suo atto di nascita, ora esiste e il solo fatto che esiste ne legittima  l’esistenza. Ho ascoltato una surreale dichiarazione di una scrittrice e giornalista israeliana: lo stato di Israele sarebbe il più legittimo del mondo perché legittimato dalle Nazioni Unite. Una sciocchezza madornale perché nessun organismo ha l’autorità di creare Stati. L’origine dello Stato è in astratto quella descritta da Hobbes; quando però dalla metastoria si passa alla storia si prende atto che gli stati originano in modo casuale, per volontà di minoranze, come conseguenza di conflitti generali o del crollo di più vaste realtà statuali, per volontà di potenze in grado di imporre le proprie scelte (arbitrarie); ma in ogni caso la loro legittimazione sta nel loro esserci. Uno stato palestinese, nonostante le intenzioni e gli accordi internazionali non si è costituito, Israele sì e ha acquisito un ruolo importante sullo scacchiere mondiale. Chi, anche solo a parole, ne mette in dubbio il diritto a continuare a esistere è un terrorista e un criminale e va trattato come tale. Punto.

Pierfranco Lisorini

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