Perché mandati vivi al rogo?

I catari furono arsi vivi perché il loro modo di intendere il problema del male non era il medesimo dei cattolici.
I quali da parte loro non erano riusciti a giungere a conclusioni soddisfacenti.
Dunque si ha che i cristiani catari vengono messi al rogo perché il loro modo di non risolvere il problema del male, differiva dal modo di non risolverlo dei cristiani cattolici.
Questi ultimi puniscono i primi per non essersi ravveduti e finalmente convertiti aderendo alla loro spiegazione dell’esistenza del male. Data per fede, tale e quale quella dei catari.
Visto che il problema del male è evidentemente una questione apertissima ancora oggi, e basta pensare alla sofferenza dei bambini, a quella degli animali, a chi è costretto ad uccidere o ad essere ucciso in una guerra non voluta e non condivisa, ad Aushwitz ed ad un’infinità di eventi grandi o apparentemente minori ma lo stesso devastanti, possiamo senz’altro passare oltre e concentrarci piuttosto sul motivo per cui gli aderenti, o comunque le guide di una religione (e visto che nessuna religione sa dare valide spiegazioni in merito, potrebbe trattarsi di qualsiasi credo), si accaniscano contro altri i quali, come loro, cercano la verità su questo fenomeno così tragico e universale.
Ebbene, la risposta sta nel fatto che una diversa rappresentazione del male comporta, data la sua valenza di fondamento, la demolizione di tutta l’architettura che regge una religione.
La spiritualità dei catari essenzialmente constava, come scrive lo storico Raoul Manselli, nella “consapevolezza tragica d’esser stati gettati in una realtà estranea, maligna ed ostile, dominata dal dolore e conclusa dalla morte, nel pericolo e nel timore di una dannazione eterna, dove la sola via di salvezza è rappresentata dal messaggio di Gesù Cristo, tramandatoci col Nuovo Testamento e dalla speranza di poter tornare a far parte del mondo del bene ricevendo il consolamentum” [l’unico sacramento previsto dal catarismo].
Se scegliamo di mettere in evidenza proprio i catari come termine di paragone tra le tante sette cosiddette eretiche, è proprio perché è sulla concezione del male che si differenziano maggiormente dalla Chiesa di Roma.
Essi ritenevano infatti che vi fossero due princìpi, rispettivamente del Bene e del Male, in lotta continua tra loro.
La loro intenzione era di “salvare” Dio. Come può infatti esistere il male nel mondo, se il mondo è stato creato da un Dio buono? Deve per forza esserci un Dio malvagio che da sempre gli si contrappone.
“Salvando” Dio, però, inevitabilmente, gli tolgono gli attributi dell’onnipotenza e dell’unicità.
Se fosse stato solo, il mondo sarebbe stato solo bene.
Invece c’è anche il male, e affinché la responsabilità di quest’ultimo non ricada sul Dio buono, quello di cui Gesù parla nei Vangeli, deve esistere un Dio del male.
Da lì la costruzione da parte dei catari di una mitologia che, su questo versante, facesse le stesse funzioni di fondazione religiosa svolte dalla cosmologia cattolico-romana per giustificare invece un Dio che deve essere onnipotente, unico (ma le due cose si implicano) e amorevole.
Quest’ultima però, è appunto una rivendicazione di principio, perché non si vede come un Dio amorevole verso tutte le sue creature, possa ordinare, per esempio, lo sterminio dei nemici di Israele, come accade nell’Antico Testamento. Che infatti, in gran parte, dai catari viene disconosciuto e persino inteso come l’espressione del Dio malvagio.
Di fronte ad un siffatto convincimento, la Chiesa Romana, che non aveva validi argomenti a supporto di un Dio che essa predicava totalmente buono tanto da non poter neanche pensare il male (ma già sostenendo che Dio non può pensare il male gli nega senza rendersene conto l’onnipotenza), reagisce con la violenza, più tipicamente con il rogo.
Non sapendo adeguatamente rispondere sul piano dottrinale, neanche per mezzo di ordini monastici in larga parte specializzati nella controversistica e nella predicazione quali i francescani e i domenicani, stabilisce che la sua è comunque la verità, che se anche non raggiunta per via razionale, deve essere accettata per fede.
Sullo scontro della Chiesa Romana con quella catara molto si sa. Per esempio sulla decisione di papa Innocenzo III di salvaguardare con le armi la fede (e gli interessi economico-politici) da lui rappresentati, e più precisamente con un’apposita crociata verso altri cristiani (i catari) anziché verso i musulmani della Terra Santa così come era stato fatto fino ad allora (siamo agli albori del XIII secolo). Invece sui riti delle varie Chiese catare (vi erano infatti differenze di vedute tra loro nel rapportarsi a determinate questioni, non sufficienti comunque a produrre uno scisma), sorte soprattutto in Italia settentrionale e più ancora in Linguadoca, nonché sui vari modi attuati nel tempo dalla Chiesa Romana contro di esse restano diverse domande senza risposta, e tra queste vogliamo evidenziarne una. Perché se ne sorgono molte in campo dottrinale, teologico, storico, questa, di carattere brutalmente pratico, non pare sia mai stata posta, o comunque non con sufficiente forza: perché i catari che venivano catturati e che non si pentivano della loro fede dualistica, venivano arsi vivi?
La risposta immediata sarebbe: per eliminare il morbo dell’eresia.
Ma se si considera che il non pentirsi comportava, secondo i cattolici romani, il decretare la pena eterna dell’inferno, che senso poteva avere ardere vivo chi dal fuoco dell’inquisitore non sarebbe stato purificato? 
Infatti, se il fuoco avesse avuto questa funzione purificatrice, sarebbe stato falso asserire da parte di chi comminava la condanna che il prigioniero, dal momento in cui aveva rifiutato l’abiura, era destinato senza appello, all’inferno.
Incenerire un corpo, si diceva, comportava che non si potesse presentare al cospetto di Dio al momento del Giudizio Universale, al momento cioè della resurrezione dei corpi.
In altre parole, con il rogo si privava del corpo l’eretico, il quale perciò non avrebbe potuto essere presente al cospetto di Dio.
Il che rappresenta però un’eresia. Un’eresia di chi vuol cancellare le eresie. E che in realtà serviva a terrorizzare coloro che dissentivano e avrebbero potuto, se tollerati, diffondere le loro idee.
L’inquisitore è come se non accettasse che il giudizio di Dio potesse fare a meno di venire anticipato, ed anzi obbligato, dal giudizio di qualche altro. Uomo o istituzione. Prete o Chiesa.
L’onnipotenza di Dio, dunque, dogmatizzata nella dottrina, ma negata fino alla hybris più esasperata nella realtà. Nella quale il papa decide per un Dio allo stesso modo in cui deciderebbe per un individuo che non ha ancora raggiunto l’età della ragione, e gli consegna le ceneri della persona cremata togliendogli così (e qui si chiude il cerchio del paradosso) non solo l’attribuzione dell’onnipotenza ma persino il diritto di esercitare la sua decisionalità.

FULVIO BALDOINO

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.