Note a margine degli Xenia più brevi di Eugenio Montale

Xenia I, 11

 

Ricordare il tuo pianto (il mio era doppio)
non vale a spenger lo scoppio delle tue risate.
Erano come l’anticipo di un tuo privato
Giudizio Universale, mai accaduto purtroppo.

 

 

Ricordare il pianto di Mosca, se quello del poeta “era doppio”, va forse soprattutto collegato alla situazione venutasi a creare dacché le fu diagnosticata la malattia che diversi anni dopo sarà causa non secondaria della sua morte.
Con questo ricordo così triste Montale implicitamente ammette di essere il più fragile dei due.
Lui non riesce a mettere mai da parte la sua faticosa visione del mondo, mentre lei càpita che non si trattenga, e rida di gusto.
Chi tra i due incarna meglio il saggio ammonimento dell’Ecclesiaste secondo cui c’è un tempo per piangere e un tempo per ridere, è lei.Il “caro piccolo insetto” nonostante si trovi a lottare corpo a corpo con la sofferenza fisica, addirittura  non riesce a soffocare quelle che non basta definire risate.
Addirittura nella lirica preme precisarne la caratteristica: scoppiano.
In altre parole qualcosa che non poteva trattenere. Una intima critica sociale (Bergson docet) rivolta al mondo che le stava attorno tramite la potentissima espressione analogica del ridere. Che corrisponde senza dubbio ad un giudizio.”Anticipo”, dice Montale, di un Giudizio Universale completo e finale, che lei non volle o non fece in tempo a pronunciare.
Il “purtroppo” conclusivo, per dire che sicuramente sarebbe stato giusto, meritato e utile. Ma che la morte ha impedito, sempre che la ritrosìa sua naturale non lo impedisse comunque. Non il mettere alla berlina qualcuno (per quanto realmente meritevole di gogna a giudicare dall’explicit “mai accaduto purtroppo“), ma la spontanea pagella sugli attori e le sceneggiature della società, quella cosiddetta “alta” in particolare, troppo spesso abitata da personaggi vuoti, e però pieni di sé, inconsistenti e vanesi, con i quali suo malgrado si era trovata a che fare da compagna di un intellettuale riconosciuto a livello mondiale già prima del Nobel.
Si ricordino i versi di Xenia I, 5 “dedicati”:
Erano ingenui / quei furbi e non sapevano / di essere loro il tuo zimbello: / di esser visti anche al buio e smascherati / da un tuo senso infallibile, dal tuo / radar di pipistrello.
E’ chiaro che se il poeta fa una tale affermazione modellandola su Drusilla-Mosca, ed anzi la traduce in versi, la condivide. Entrambi sono simili nell’atteggiamento che hanno verso la società. Un atteggiamento che senza essere snob è però cauto, e quasi scettico.
Tuttavia all’interno della loro relazione questa apparente freddezza viene meno:
“Ricordare il tuo pianto (il mio era doppio)” intanto ci dice che l’imperturbabilità tragica del poeta si incrina, e poi ci pone dinnanzi al dubbio se intendere che il suo pianto era doppio rispetto quello di Mosca perché meno di lei sapeva vincere una situazione esistenziale difficile, o perché la malattia di lei lo trascinava in un com-patire che superava addirittura il patire di lei per se stessa.
Al cospetto della condizione della moglie malata di una malattia rara e incurabile, il suo piangere è anche per la solitudine che lo aspetta, commiserazione che implicitamente è il riconoscimento di come egli ne uscirà dimidiato.
Il suo pianto doppio perché Mosca nel tempo è diventata vieppiù l’altro se stesso, la parte più saggia, quella che sa ridere, e fargli forza nel mentre le sue forze vengono meno. 
Il “purtroppo” finale sta come a statuire la profonda convinzione che il giudizio (sulle cose, sulle persone, sui fatti) di Drusilla è quello più corretto, e tanto che oltre a superare il suo, lo pone con un’iperbole a Giudizio Universale, dandogli il carattere di esemplare definitività, e legando ad esso il rammarico di non aver potuto essere esercitato, perché diversamente, a ognuno sarebbe spettato ciò che meritava, né più né meno.
“Purtroppo” si ha l’impressione sia stata la parola-guida scatenante nella generazione della rima dipendente di “doppio”, la quale perciò nel lavoro ideativo, nonostante nel corso della brevissima poesia si presenti al primo verso, giunge a strascico. Ma, va ribadito, è appunto un’impressione.
Tuttavia lo spirito pungente di tutta la raccolta di “Satura”, di cui gli Xenia fanno parte, ci fa presumere che sia stata forte la spinta ad augurarsi un Giudizio Universale che mettesse in riga chi di dovere; giudizio affidato, già in terra, proprio ad una persona di fiducia.
Esprimere questo concetto era importante. Bisognava rimarcarlo con una rima, se necessario imperfetta.
E allora ecco il ricorrere a “doppio”. Un po’ naif, è vero. Ma con il pregio di offrirci un’ulteriore ipotesi interpretativa: Montale non sarà stato influenzato dai versi della “Cocotte” di Gozzano, cioè di uno dei poeti che amava di più?
Là il bambino c’era. E i conti filtrati dalla coloritura naif, tornano.
“Piccolino, che fai solo soletto?”
“Sto giocando al Giudizio Universale”. 

FULVIO BALDOINO

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One thought on “Note a margine degli Xenia più brevi di Eugenio Montale”

  1. Un radar che va oltre la supertficie testuale di questi pochi versi ma ricchissimi di significati esistenziale, autobiografici e, come di consueto, metafisici, del prof Baldoino.. Malgrado il dolore il riso vince il pianto, se si pensa al Giudizio Universale!

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