Note a margine degli Xenia più brevi di Eugenio Montale
Xenia I, 9
Ascoltare era il solo tuo modo di vedere.
Il conto del telefono s’è ridotto a ben poco.
Il pensiero dopo aver letto questo distico, va a Xenion I, 3, in cui Montale ricorda quando la moglie nell’albergo veneziano che frequentavano, invece di restare nella camera falso-Bisanzio, subito cercava “lo sgabuzzino delle telefoniste, / le tue amiche di sempre“.
Ora, con la lettura intratestuale particolarmente richiesta da poesie brevissime e sviluppate sulla rivisitazione di un fatto del quotidiano di per sé equiparabile per importanza a mille altri della stessa giornata, sappiamo perché abbia meritato di essere distinto e tradotto in versi. Eccone la ragione: “Ascoltare era il solo tuo modo di vedere“.
Ma in questo c’è di più del legittimo desiderio di Mosca di mantenere, a suo modo, i contatti col mondo.
Intanto bisogna dire che lo “sgabuzzino”, quell’angolo che a pensarlo in questi termini dà l’idea di un luogo ritirato, povero e dimesso, proprio sgabuzzino nella realtà non doveva essere visto che l’albergo, lo sappiamo da Montale, era il “Danieli”.
Tuttavia qui più che la realtà vale il modo con il quale la si percepisce.
Esso, con lo spazio esiguo che offre contribuisce, persino costringendo un poco i movimenti, a sentirsi più fasciati, più protetti. Luogo appartato quel tanto che basta a collimare col carattere di Drusilla Tanzi e a fare di una conversazione con le amiche una conversazione intima e segreta. Quell’angolo, dunque, messo a disposizione dagli alberghi un poco altolocati, diventa complice per la sua peculiarità ossimorica di luogo pubblico adibito alla privatezza di una telefonata.
Ecco, esso come prova dello schivare se non proprio schifare di Mosca gli incontri dell’intellighenzia e dell’alta società cui il marito si trovava in qualche misura e suo malgrado coinvolto.
Basta? No. “Ascoltare era il solo tuo modo di vedere” è di più.
E’ dire che lei non si fermava alle apparenze, alla prima impressione derivata da quello che è macroscopico, tangibile, netto, ritagliato in una composizione condivisa.
Ascoltare è invece avere la pazienza, non disgiunta spesso dal piacere, di andare fino in fondo. Di seguire un discorso argomentato. Di tacere fino a che l’altro non ha finito di dire. Di arrivare al traguardo senza scansare la fatica della strada che a quello porta.
Per vedere basta una persona, per ascoltare bisogna essere in due. E’ uno dei corollari dei sensi.
Essere costretti, ma poi abituarsi, e finire per prediligere un simile modo di affrontare la realtà. Quest’ultimo, inizialmente imposto da un handicap fisico, è rappresentato dal conto del telefono, mezzo d’ascolto per antonomasia perché non ha bisogno che l’interlocutore si dia se non con la voce.
La voce e basta perché la voce basta.
Niente figura, niente contesto, niente gestualità. Solo la voce. Sicché le parole e il tono con il quale vengono pronunciate, scavano di più.
Ma adesso che la voce è spenta per sempre, il dato banale di una bolletta altrimenti ben accetta per la sua economicità, è invece il segno, sconsolato, di un piccolo mondo che può rivivere soltanto nella nostalgia.
Infine una notazione di tipo didattico: con due versi, è lecito imbastire un discorso che non voglia essere difettivo, o troppo pretenzioso verso l’immaginazione del lettore?
Difficile pronunciarsi in assoluto, ma in generale al riguardo una certa dose di scetticismo sarebbe opportuna. Questo però se si trattasse di un distico isolato.
Ma qui si tratta di due versi incastonati in una raccolta coerente, secondo un fil rouge che lega e costruisce il senso delle liriche, le quali, proprio in virtù di questa loro coerenza, di contenuto e di registro, certificano la sincerità di ispirazione e la profondità del sentimento, facendo sì che il tono basso, colloquiale, non sminuisca il valore della poesia, ma ne raccomandi una lettura attentamente contestualizzata e colta nei nessi della sua intratestualità.