L’Ucraina e Israele strumenti della guerra americana

Quello compiuto da Israele contro  l’Iran e la Siria è un atto di guerra proditorio e vigliacco  del quale non riesco a trovare precedenti nelle relazioni internazionali.  Lo stesso attacco giapponese a Pearl Harbor a ben vedere ha una giustificazione nel clima di guerra economica fra Tokio e Washington pronta a sfociare in guerra armata:  si trattava solo di vedere chi avrebbe fatto la prima mossa. E anche chi, come me, ha costantemente presente l’orrendo eccidio del 7 ottobre ed è portato a capire se non giustificare i bombardamenti indiscriminati sulla striscia di Gaza  ora vede in una luce diversa lo stesso attacco di Hamas  e dispone le tessere mancanti del mosaico con risultati inquietanti.

Lo stesso ambiguo minuetto fra Biden e Netanyahu legittima il sospetto di un patto scellerato per destabilizzare l’intera area e in primo luogo l’Iran. Un sospetto alimentato dall’insistenza con cui  subito dopo la strage  si era tentato senza uno straccio di prova di attribuirne a Teheran se non la paternità quanto meno un ruolo di complice.  L’esistenza stessa di Hamas basta e avanza per spiegare la strage. Ma l’impudenza dei media occidentali  e di qualche compiacente accademico improvvisatosi opinionista non ha limiti: l’odio dei palestinesi nei confronti di Israele  e la incompatibilità dei due popoli sono un dato di fatto incontrovertibile che esclude la necessità di ricorrere ad un complice esterno, per di più sciita.  Un odio comprensibile anche per chi, come me, non nutre alcuna simpatia per il popolo palestinese. Non riesco a dimenticare  le zaghroutah delle donne palestinesi alla notizia del crollo delle torri gemelle e sono convinto che non sia possibile distinguere con un taglio netto terroristi, combattenti e civili.

Ma so bene che la nascita dello Stato di Israele è stato un atto di pirateria internazionale per compensare  la Shoah e secoli di antisemitismo compiuto senza tener conto degli scenari futuri; e i governi che si sono succeduti a Tel Aviv hanno fatto ben poco per placare la rabbia e la frustrazione di popolazioni cacciate dalla propria terra. Mi riesce inoltre difficile identificare una nazione su base religiosa; massimo rispetto e forse anche un po’ di invidia per il credente ma ci mancherebbe altro che l’Italia, o l’Europa,  fossero connotate come cristiane o cattoliche (gli estremisti islamici fermi al medio evo lo fanno: noi siamo i Crociati). Sono convinto che il riscatto dei Paesi arabi o arabizzati passa attraverso la liberazione dalla camicia di forza della religione, quando si riprenderà la strada segnata da Kemal Atatürk. Le credenze religiose sono un fatto squisitamente privato e devono rimanere una faccenda interna alla società civile: la politica, il governo, le istituzioni non hanno niente a che fare con la trascendenza, ammesso che abbia senso parlare di trascendenza. E quando nei quattro lati del pianeta ci si sarà convinti di questo sarà anche più facile che l’uomo di fede capisca che se c’è un dio questo è lo stesso per tutti a meno di tornare ad un ridicolo politeismo, quando ogni popolo aveva il suo dio, in competizione con i colleghi degli altri popoli.  Con tutto ciò ben venga il rispetto della tradizione, in una prospettiva ecumenica e di tolleranza senza ombre e rendiamo merito alla Chiesa di Roma che nell’ultimo secolo ha espresso ai suoi vertici personalità eccezionali: se mettiamo in fila  Biden, Macron,  Sunak, Scholz, la nostra Meloni e, mi vengono i brividi a nominarli, Borrell, la von der Leyen  o il premier polacco ci troviamo davanti l’immagine di un’umanità degradata davanti al quale la figura di Francesco giganteggia e insieme ci consola e ci fa sperare che non tutto è perduto.  Il suo è semplice buon senso ma il buonsenso è ormai merce rara e introvabile, le sue parole sono chiare e dirette ma stonano nel flusso  di spudorate menzogne, omissioni, reticenze che accomuna la politica e l’informazione.

L’attacco criminale di Israele all’ambasciata iraniana in Siria  è fatto passare come cosa lecita e normale: nessuna condanna, niente sanzioni, silenzio dalle Nazioni Unite e dall’Europa. Nessun politico, nessun opinionista che dica che l’Iran in qualche modo doveva reagire, era costretto a reagire, non tanto per la pressione della propria opinione pubblica – toh! anche nelle autocrazie c’è un’opinione pubblica che va ascoltata – quanto perché gli Stati non porgono l’altra guancia; la Siria stessa avrebbe avuto il pieno diritto quanto meno di sollecitare la solidarietà internazionale, tanto più doverosa perché, a differenza dell’Iran, in condizioni di non poter reagire.  La risposta dei cattivi iraniani è stato puramente simbolica ma tutti, politici, governanti, media hanno condannato la “provocazione iraniana”. Roba da matti. Peggio di tutti Israele, che, dimentica del raid di Damasco e degli undici morti che ha provocato, aggredita dai droni e dai missili iraniani –  preannunciati per dar tempo alle sue difese e alla flotta Usa di neutralizzarli – invece di chiuderla lì  minaccia una “dura risposta” mentre la diplomazia occidentale – cioè gli Usa – finge di spingerlo a più miti consigli ma in realtà lo sta aizzando e i governanti europei, compresi i nostri, si preparano ad una guerra considerata inevitabile.

Il ministro Guido Crosetto

 Crosetto, riferendosi a Kiev,  l’ha dichiarato scopertamente: se la Russia costringerà l’Ucraina alla resa e al riconoscimento dei confini di fatto – un evento certo – la Nato, l’Ue, l’Occidente non ci staranno e la guerra continuerà. L’avesse detto qualcuno  al bar dopo qualche bicchiere di troppo si sarebbe chiesto il ricovero in un reparto psichiatrico. Ma Crosetto, ahinoi,  non è un caso isolato. I 27 e il G7 si preparano a sanzionare l’Iran che avrebbe aggredito Israele e osa affermare che se attaccato provvederà a difendersi con tutti i mezzi. Evidentemente non basta più all’occidente – vale a dire agli Usa e ai suoi satelliti – bollare come autocrazie tutti i Paesi che si sottraggono al suo controllo: al giudizio morale deve seguire l’esportazione della democrazia.  L’Iran è  da tempo sotto tiro  col convinto concorso dei media  e il fattivo intervento di agenti provocatori: basti pensare alla questione del velo. Nessuno in Italia rifiata se le nordafricane che il Pd considera le nuove italiane sciamano nei supermercati, per le strade e davanti alle scuole col Hijab e nessuno si chiede se lo indossano volontariamente o sono costrette a farlo; addirittura si tollera il velo completo, in barba alle leggi di pubblica sicurezza che vietano di nascondere il volto. Ma per l’lran il velo diventa una questione vitale che scuote le coscienze delle femministe e dei guardiani dei diritti umani, calpestati in Iraq almeno quanto nel Qatar o in Arabia saudita, dove chi si professa ateo viene condannato a morte e i  comportamenti sessuali aberranti sono puniti a suon di frustate. Ma il Qatar e i sauditi sono amici dell’Occidente e per loro si chiudono tutti e due gli occhi.

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Che poi in Occidente dei diritti umani nei quattro angoli del pianeta non importi nulla è del tutto evidente: sono solo uno strumento di propaganda  destinata ad un’opinione pubblica considerata, purtroppo a ragione, molto recettiva.  Con la stessa convinzione di poter  manipolare le coscienze  governi e  i mercanti di armi  sono impegnati a far passare l’idea che dopotutto una terza guerra mondiale è un’eventualità da considerare seriamente. Le guerre per procura non bastano più, hanno effetti troppo limitati e in qualche caso sono state controproducenti, hanno alimentato il patriottismo e, peggio ancora, con la percezione di un nemico comune, hanno risolto antiche inimicizie e rivalità come quelle fra Iraq e Iran o fra l’India e la Cina.  Le guerre per procura non bastano più: con un’economia che rischia di collassare, l’inarrestabile  pressione migratoria, una società civile disomogenea e in ebollizione, enormi sacche di povertà assoluta gli Stati uniti sono una belva ferita aggressiva e imprevedibile, convinta di poter conservare con la forza  un ruolo di potenza egemone ormai anacronistico.  Negli anni ha trasformato Israele in una sua gigantesca base militare e altrettanto sta cercando di fare con l’Ucraina dopo averlo fatto in modo subdolo con l’Europa e in primis con l’Italia, grazie a Giorgia Meloni. Una nullità politica fatta passare per una stella di prima grandezza perché ha sacrificato alla sua ambizione personale quel po’ di sovranità nazionale scampato all’europeismo antinazionale dei compagni. E ora tutti i nodi vengono al pettine, comprese le uscite di Crosetto e la fine politica della sinistra che dopo essersi legata al collo la zavorra dell’europeismo atlantista è rimasta col cerino in mano della morte dolce, dell’aborto incoraggiato e dell’ideologia gender. Questa destra servile, bugiarda e cialtrona poteva essere schiacciata sul terreno del Pnrr e di un indebitamento del tutto inutile rispetto alle esigenze reali del Paese, su quello dello stato sociale finito in pasto agli stranieri e soprattutto su quello di una politica estera dissennata e guerrafondaia. Ma la sinistra non poteva farlo, perché di quella destra condivide il dominus, che prima ha legittimato il post comunismo e dopo lo ha sostituito col post fascismo. E, col liberalismo che nell’Italia postbellica è nato morto e il vuoto spinto di idee e di valori dei nuovi movimenti populisti – Cinquestelle e Lega salviniana -, una sacrosanta, dura, intransigente battaglia per la pace rimane nei sogni di quattro gatti mentre gli zombi che riempiono licei e università animati dalla canaglia dei centri sociali e dai nostalgici degli anni di piombo scendono in piazza e spaccano la testa ai poliziotti per la causa palestinese, rendendo a conti fatti un bel servizio a Israele, che può nascondere le sue malefatte col paravento dell’antisemitismo.

Intanto però il mainstream, dopo essersi consolidato e irrigidito, comincia a mostrare qualche crepa. Nella trasmissione diretta con molto equilibrio dalla figlia di Berlinguer traslocata dalla Rai a Mediaset  era  presente qualche sera fa Alessandro Orsini che, come in altre occasioni, ha fatto scalpore per aver semplicemente scoperto l’acqua calda. Senza interventi esterni e finalità occulte e inconfessabili, ha detto il professore, l’operazione militare speciale russa in Ucraina si sarebbe risolta in poche settimane. Putin, infatti, questo lo aggiungo io, aveva due obbiettivi: il primo, assolutamente legittimo e inderogabile, era quello di soccorrere le popolazioni del Donbass russofono esposte al massacro; l’altro, comprensibile nel merito ma discutibile  sotto il profilo dei rapporti fra Stati, la denazificazione del governo ucraino. Sarebbe stato ragionevole  fermare l’esercito russo entro i confini delle repubbliche separatiste che ne avevano chiesto l’intervento, anche perché oltre quei confini quell’intervento si sarebbe configurato come un’invasione. Lo stesso Zelensky sembrava  considerare con favore un accordo che prevedesse la formalizzazione del ritorno della Crimea alla Russia e un referendum con controllo delle Nazioni Unite nel Donbass in cambio del via libera all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea – ovviamente non nella Nato – e della fine delle ingerenze russe nella sua politica interna. Tutto bene quel che finisce bene, dunque. Ma Kiev e Mosca solo apparentemente erano gli unici attori sulla scena. Dietro le quinte si agitavano l’Europa spinta da Polonia e Paesi baltici, la Nato e soprattutto il  Regno Unito, longa manus di Washington. E proprio Boris Johnson si dette un gran daffare per far fallire l’accordo, dopodiché la provvidenziale strage di Bucha ha fatto il resto e Zelensky, ringalluzzito,  si è messo in testa di abbattere l’orso russo col fucile dell’amico americano. Tutto questo due anni fa era di dominio pubblico e un po’ alla volta è stato rimosso. Orsini ha avuto il merito, o la colpa, di averlo riportato alla luce e dopo di lui il Fatto Quotidiano   ne ha fatto una sorta di scoop.

In realtà non c’era bisogno di carte inedite o di informazioni riservate. Chi voleva sapere poteva attingere a quel che trapelava e alle stesse incoerenze dell’informazione addomesticata. Gli Stati Uniti e la Nato erano impegnati a imbrigliare la Russia con un cordone sanitario e intendevano trasformare l’Ucraina in un loro avamposto. La stessa operazione compiuta con Israele. Si potrebbe concludere con una metafora matematica: l’Ucraina sta alla Russia come Israele sta all’Iran. L’Ucraina assolve al compito di saggiare e logorare il potenziale militare russo e di esasperare Mosca fino al punto di costringerla a ricorrere al nucleare. Lo stesso compito è assegnato a Israele nei confronti dell’Iran, ora direttamente colpito  nel proprio territorio per  provocare una reazione a catena. Fino ad ora ci hanno salvato la freddezza di Putin e l’intelligenza dei leader cinesi ma se i popoli europei non si svegliano dal loro torpore  non basteranno per evitare la catastrofe. A questi proposito: qualche geniale opinionista deride i vertici della Repubblica islamica e la stampa iraniana che minimizzano l’attacco missilistico in prossimità di Isfahan, città d’arte e importante meta turistica, evitando anche di attribuirlo a Israele. Una grande prova di saggezza e moderazione che evidentemente urta contro  i piani e le aspettative di quanti considerano la guerra un videogioco.

Pierfranco Lisorini

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