L’ORDINE COSTA

Questa affermazione, che costituisce l’estrema sintesi dell’odierno impatto delle attività umane sull’assetto globale, richiede una breve premessa didattica per essere capita a fondo.
La trasformazione da un mondo puramente fisico ad un misto di fisico e digitale, con la crescente preponderanza del secondo sul primo, ha un preciso punto di partenza: il 1948, quando C. E. Shannon pubblicò “La teoria matematica delle comunicazioni”, dando praticamente avvio a quella che in seguito si chiamò informatica.

Un campo arato e seminato rappresenta l’ordine secondo i nostri parametri. È il regno della monocoltura, esposta agli attacchi esterni e dipendente da protezioni esogene

L’informatica riprese dalla meccanica statistica e dalla termodinamica il concetto di entropia. In termodinamica l’entropia misura la qualità dell’energia, ossia la sua capacità di compiere lavoro, ovvero ancora la distanza di un processo fisico da un’ideale e irraggiungibile reversibilità (2° Principio della termodinamica). In meccanica statistica, l’entropia è una misura della nostra conoscenza dei parametri che definiscono uno stato. L’informatica ha esteso questo secondo significato di entropia al mondo delle comunicazioni, associandola al grado di informazione che ogni messaggio trasmette a chi lo riceve.
Se tutto ciò suona maledettamente complicato a chi ne è digiuno, qualche esempio ne faciliterà la comprensione. E, si badi, non si tratta di astruserie meramente teoriche, in quanto la comprensione di quanto ci insegna l’informatica, madre del digitale, aiuta a meglio comprendere i meccanismi che governano ogni processo fisico al quale, in forma diretta o riferita dai media, stiamo assistendo a ritmo accelerato.

Una foresta tropicale: ciò che ci appare come un insieme caotico di vegetazione è invece il frutto di un delicato disegno secondo l’ordine naturale. “Il bosco è un’unità di alberi cooperanti”*, è il regno della biodiversità e della protezione endogena

Alla luce dell’informatica, l’ordine non corrisponde all’umano senso estetico o di maggior comodità descrittiva, bensì al nostro grado di conoscenza di un particolare assetto. Se la camera di un teenager appare in completo disordine agli occhi della mamma, deputata a “rimetterla in ordine”, agli occhi del ragazzo appare in maggior ordine nel suo stato primitivo, perché sa dove trovare i vari pezzi del “mosaico”.
Sotto il profilo informatico, una discarica potrebbe in teoria considerarsi perfettamente ordinata se fossimo a conoscenza di dove si trova ciascuno dei suoi componenti. In realtà, è il regno del massimo disordine, in quanto tutto è accatastato alla rinfusa, e il nostro grado di conoscenza su dove si trovi ogni cosa e la sua composizione è quasi nulla.
Sulla base di questi semplici esempi, cominciamo a capire meglio il senso del nostro titolo: il disordine, ossia la nostra totale ignoranza dell’assetto di una particolare realtà fisica, non comporta alcun dispendio di energia associata alla sua conoscenza: è gratis. Ricuperare materiale utile dai rifiuti comporta comunque dei costi; gettarli dove capita non costa nulla.
È la corsa verso la tendenziale gratuità che contrassegna l’odierno modo di agire. Ma ciò è frutto di un apparente paradosso: si baratta la crescente complessità di tutti i processi produttivi, dotati cioè di un elevato grado di informazioni, con l’apparente gratuità dell’entropia a loro associata, che viene rimossa in quanto portatrice di un elevato grado di caos: gli scarti di lavorazione, ovvero l’inquinamento sotteso ai complessi stadi di fabbricazione. Come a dire: più complesso l’oggetto finale, maggiore l’informazione richiesta per produrlo, maggior il disordine collaterale in una bilancia dove il piatto del disordine (disinformazione) pesa sempre di più del piatto dell’ordine (informazione). Pensiamo ai protocolli di “sicurezza” nella fabbricazione e gestione di una centrale nucleare per meglio afferrare il concetto.
Un altro esempio: maggiore il numero di optional su un’automobile, maggiore il costo delle loro riparazioni nei casi di malfunzionamento, peraltro più probabili che non nei casi di automobili a comandi meccanici e “spartani”. O ancora: un televisore a colori fornisce maggiori informazioni sulla scena ripresa che non il suo corrispondente in bianco e nero; ma la sua produzione, esercizio e riparazione comportano costi (ed entropia) proporzionalmente maggiori.

Ci accingiamo a rottamare l’intero parco dei televisori esistenti, per adattarci ai nuovi standard del digitale terrestre, aggiungendo una valanga di nuovi rifiuti all’esistente massa di quelli elettronici, come i telefoni cellulari, in continuo rinnovamento. Rottamazione del vecchio e produzione del nuovo concorrono ad una crescita esponenziale dell’entropia associata ad entrambi. Lo stesso discorso vale per le automobili

Facciamo un avanzamento veloce ai giorni attuali. L’impennata dei prezzi delle materie prime, a partire da quelle energetiche, ci scuote all’improvviso, dopo la parentesi sonnolenta della pandemia, rammentandoci che l’estrazione di petrolio e gas, nonché di tutti i minerali, diventa sempre più costosa, a partire dalla ricerca (informazione) sulla loro dislocazione, sempre meno facilmente individuabile e di sempre più difficile –e quindi costoso- accesso. Per ovviare a questa escalation, ci siamo per anni cullati nell’illusione di una facile via alternativa: il green deal, la svolta verde. Per accorgerci dei costi iperbolici ad essa connessi, vuoi per la capricciosa distribuzione geografica delle nuove materie prime che essa richiede, vuoi per la loro rarità e i costi di estrazione in termini di inquinamento (entropia) ad essi collegati, ma nascosti alla vista dei disinformati fruitori finali.
Imboccare con disinvolta rapidità la svolta verde ci ha mostrato quanto in realtà essa venga a costare. Un risveglio anticipato nella frase lapidaria, e profetica, di qualche anno fa del presidente australiano, per giustificare il mantenimento delle centrali a carbone: “Non inquinare costa troppo”. E non a caso, dopo fiumi di parole a favore delle rinnovabili, si stanno riaprendo centrali al vituperato carbone, agitando lo spettro di una nuova recessione per l’inflazione galoppante che esploderebbe se vi si rinunciasse.

Far di necessità virtù”. Il carbone, sporco, brutto e cattivo, come l’orco delle favole, sta per essere, non solo riabilitato, ma ammesso nella lista dei combustibili green (assieme al nucleare!) da una meno ambiziosa UE

In verità, costa troppo proprio inquinare: un costo differito in un futuro, che però si fa sempre più prossimo. Ma questa civiltà è contrassegnata dalla beata rimozione del futuro; tanto che la “virtuosa” UE, sin qui dedita a delineare crescenti restrizioni agli attuali metodi di produzione, fissando avveniristici traguardi a zero emissioni di qui a qualche decennio, ha avuto un traumatico risveglio e sta adesso valutando di includere nel green deal nientedimeno che il carbone e il nucleare! Il primo era stato fino a ieri escluso da ogni opzione energetica per il suo elevato rilascio di CO2, responsabile dell’effetto serra; il secondo per le radiazioni, i costi e i tempi di erezione e di smantellamento a fine vita, le scorie richiedenti sofisticate tecnologie di smaltimento, l’assurdità termodinamica di innescare reazioni ad elevatissime temperature per vaporizzare dell’acqua. In ogni caso, i rendimenti delle centrali termiche, così come dei motori a combustione interna o a vapore, sono molto bassi, in quanto ogni trasformazione di calore in lavoro comporta rendimenti inferiori al 40%, in ossequio al loro grado di irreversibilità, e cioè di alta entropia. Non si dimentichi che le prime centrali erano idroelettriche, ed erano centralizzate per necessità, dovendo sorgere dove esistevano salti idrici, con rendimenti superiori al 90%, ma funsero da modello per una generale centralizzazione delle centrali termiche, anziché una costellazione di più piccole centrali sparse sul territorio, con minori perdite di carico nella trasmissione su lunghe distanze.

La locomotiva a vapore è il corrispondente su rotaia dell’automobile, producendo entrambe lavoro direttamente dalla materia prima energetica: carbone e benzina. Se la ricerca dedicata ad ottimizzare i rendimenti del motore a combustione interna si fossero fatti anche sui motori a vapore, forse vedremmo oggi circolare moderne vaporiere, in concorrenza ai locomotori elettrici. Quale produce più entropia?

Eppure, il nostro sviluppo, a partire dagli inizi del XIX secolo, si è basato proprio sulla produzione centralizzata di lavoro di origine termica, anziché gravitazionale. I primi a rendersi conto con sgomento di quanto basso fosse il rendimento delle macchine a vapore, vanto dell’ingegneria meccanica dell’epoca, furono proprio gli stessi ingegneri, quando scoprirono, grazie alla formula di Carnot, che era sull’ordine di un misero 5%!
Conclusione: l’umanità, fino all’Illuminismo, aveva scarse informazioni sul suo ambiente e quindi inquinava poco in quando incideva poco sul naturale ordine esistente. Al crescere delle informazioni e degli interventi sulla natura per ottenere le informazioni necessarie al successivo sfruttamento con la tecnologia, il costo della nostra presenza sulla Terra è venuto crescendo esponenzialmente. Oggi siamo consapevoli di quanto costano anche le più semplici operazioni informatiche, specie col massivo passaggio al digitale. Ad esempio, l’essere Whatsapp gratuito, a differenza degli SMS, e per di più con la possibilità di allegare foto e persino video, ha stimolato miliardi di persone a farne uso anche per comunicazioni che si guarderebbero dal fare se fossero a pagamento. E lo stesso può dirsi per tutto quanto la rete offre liberamente.

Le criptovalute, frutto estremo dell’informatica, sono un esempio palmare di castelli costruiti sulla sabbia, senza informazioni sulla loro consistenza. Chi le possiede non sa mai quanto ha in tasca. Sono il simbolo di una civiltà che naviga nel buio, in un mare di entropia crescente. Oscuro anche il loro processo di “estrazione” (mining), informaticamente energivoro

Ultimamente s’è venuta aggiungendo anche la frenesia delle criptovalute, che ho già sottolineato quanto siano avide consumatrici dell’energia più pregiata (e quindi più costosa), essendo la più versatile ed ordinata: l’energia elettrica; la quale, se ottenuta per via termica, rilascia il 60% o più come calore di scarto nell’ambiente, contribuendo, oltre alla contemporanea emissione di CO2, a determinare ed accrescere l’effetto serra. L’unica via d’uscita è la riduzione dei consumi e l’adozione di processi produttivi il meno aggressivi possibile sull’ambiente. Altrimenti, l’entropia avrà la prevalenza sulle forme di vita, che sono le uniche a saper risalire (sia pur per tempi contingentati) il fiume dell’irreversibilità.

Marco Giacinto Pellifroni                16 gennaio  2021

Bibliografia essenziale:
– C. E. Shannon – W: Weaver  La teoria matematica delle comunicazioni, Etas Libri 1971
– J. R. Pierce  La teoria dell’informazione, Mondadori EST, 7° Edizione 1983
– Enzo Tiezzi  Verso una fisica evolutiva *, Donzelli Editore, 2006

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