Lo stupro fra pulsioni predatorie, fragilità maschile e deriva familiare è boccone ghiotto per la retorica femminista

Lo stupro è un reato orribile e trovo abominevole la progressiva depenalizzazione che se n’è fatta in Italia, che è il Paese della chiacchiera, della retorica, del doppiopesismo, non per nulla terreno di coltura di post comunisti e di post fascisti. Qui tutti i partiti hanno abbracciato con entusiasmo la causa della parità di genere, della valorizzazione della donna e della sacralità della persona, ma qui è prassi che politici e governanti facciano il contrario di quello che dicono e al di là dei proclami e delle dichiarazioni roboanti di sdegno e di condanna da una parte permangono tracce di un grossolano maschilismo che sotto sotto tende a derubricare la violenza – “le donne provocano”, “è quello che vogliono ma vogliono essere forzate”- mentre dall’altra i compagni e le anime belle devono pur salvaguardare i ragazzi che vengono da lontano col carico delle loro esigenze aggravato dalla marginalizzazione e dalla raffica di stimoli a cui sono sottoposti.

E finisce che in privato sono tutti d’accordo nel concludere: “ma che sarà mai?”.
Lo stupro è un reato orribile e fa specie leggere che un individuo che se n’è macchiato giri tranquillamente per la città e commetta nuovamente lo stesso crimine in attesa che il procedimento nei suoi confronti si concluda. Ma quell’individuo è uno straniero senza fissa dimora, entrato illegalmente in Italia e in quanto tale formalmente espulso al pari delle altre centinaia di migliaia di marocchini, ghanesi o pakistani e questa circostanza, che è obbiettivamente un’aggravante, nella patria di Pulcinella diventa un’attenuante. Perché, come ogni crimine, lo stupro va contestualizzato, non per ridurne la gravità ma. al contrario, allo scopo di evidenziare le circostanze e le modalità che lo rendono più odioso. È cronaca di qualche settimana fa la rapina in casa di una povera vecchia picchiata e violentata: senza bisogno di nuove norme se il giudice applicasse con criterio il codice vigente il colpevole non uscirebbe più di galera. Ma sembra che all’interno dei tribunali abbia fatto scuola la celebre battuta di un vecchio film western “una doccia e via” e se c’è qualche livido col tempo passa.

Il problema è che nella culla del diritto si è smarrito il senso del patto sociale: lo Stato nasce per tutelare la proprietà e la persona, tutto il resto viene dopo. Qui ci vogliono far credere che ciò che attenta alla nostra sicurezza e ci impedisce di vivere serenamente la nostra vita sono la criminalità organizzata, l’evasione fiscale, la corruzione; delitti gravi quanto si vuole, socialmente dannosi quanto si vuole ma che non toccano l’esistenza delle persone reali, per le quali il crimine peggiore è l’attentato alla propria integrità fisica e ai propri beni, giusta appunto le ragioni fondanti la comunità organizzata.
Lo stupro però si verifica anche all’interno di dinamiche interpersonali, vale a dire fra persone interagenti fra di loro o parti di un sistema relazionale ed è spesso la degenerazione di una relazione affettiva o amicale. Che non ne attenua a gravità, così come le percosse o l’omicidio non sono meno gravi se avvengono in ambito familiare. La stella polare del diritto deve essere la sacralità e l’inviolabilità della persona, quale che sia il contesto: questo è un punto fermo. Ma non ci deve esimere da valutare i singoli casi e le situazioni e gli ambienti che favoriscono questo come altri comportamenti criminali e soprattutto non deve tradursi in una aprioristica condanna del maschio in quanto tale né in una aprioristica e assoluta difesa della donna, che sgravano la famiglia e la società da precise responsabilità.

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Nella società non ci sono angeli e demoni. Venticinque secoli fa Eraclito avvertiva la profondità e la complessità dell’animo umano, nel mondo antico e nella sapienza rinascimentale l’uomo è un microcosmo, immagine e sintesi di tutte le contraddizioni dell’universo; e riconoscere che in ognuno di noi è presente tutta l’umanità è perfino banale: se così non fosse sarebbe impossibile capire e comunicare. Ma se l’imprinting infantile, l’educazione, l’ambiente, gli strumenti acquisiti ci rendono diversi gli uni dagli altri la società presuppone la compatibilità di quelle differenze e la compensazione nei grandi numeri della violazione delle norme che la governano. E se tutti, teoricamente, possono delinquere ma solo se perdono il controllo – quello che Kant avvertiva come la legge morale dentro di sé e più prosaicamente Freud chiamava il Super io – quanti oggettivamente o soggettivamente non sono o non si sentono parte della società sono potenzialmente delinquenti e se non delinquono è solo perché non sono in grado di farlo. Sociopatici e stranieri presenti illegalmente nel nostro Paese come in una terra di conquista sono una minaccia che esigerebbe da parte delle istituzioni la predisposizione di adeguati strumenti di prevenzione. Che significa presenza capillare delle forze di polizia nelle periferie e nei luoghi a rischio, in particolare nelle ore notturne, controllo delle stazioni e dei parchi pubblici, garanzia di assoluta sicurezza sulle strade, sui mezzi pubblici e soprattutto sui treni. Così sarebbe se la politica in Italia fosse davvero la politeia e non un mestiere che ha dato vita ad un ceto sociale di cialtroni privilegiati il cui obbiettivo principale è l’autotutela e grazie al quale può accadere che all’aumento dei fattori di rischio corrisponda un allentamento della prevenzione, la rinuncia alla repressione, l’attenuazione ope legis della gravità dei reati.
La violenza si consuma spesso nei locali ed è verosimile che nella maggior pare dei casi non se ne abbia notizia. Che le adolescenti siano alle prese come i loro coetanei, anzi con un certo anticipo rispetto a loro, con un bombardamento ormonale che si traduce in imbarazzanti pulsioni è un fatto che attiene alla natura e alla fisiologia. Il problema nasce dalla circostanza che venuto meno il ferreo controllo della Chiesa e la sua pervasività è mancato un approccio laico alla regolamentazione dei comportamenti. Lo spauracchio del peccato andava sostituito con la coscienza della dignità della persona, il rispetto di sé e del proprio corpo; su questo avrebbe dovuto far perno l’educazione parentale ma la famiglia ha abdicato al proprio ruolo, delegato a parole alla scuola – che per sua natura non è tenuta né è in grado di assolverlo – e di fatto al gruppo dei pari.

La conseguenza è l’involgarimento del linguaggio, l’assenza di filtri, la banalizzazione di passaggi cruciali nello sviluppo personale e la fuga dai conflitti interiori attraverso il decadimento della socialità, lo stordimento, l’esteriorizzazione esasperata, l’uso di sostanze, dall’apparentemente innocua marijuana alla cocaina. Lo stesso vale, in una prospettiva complementare, per i maschi, che in più si trovano a fare i conti con l’ abbattimento di steccati che li paralizza e li disorienta lasciandoli alle prese con ruoli e stereotipi svuotati di senso. La regressione delle adolescenti stordite e frastornate simula una disponibilità che a sua volta determina la regressione del maschio che, anche lui stordito e frastornato, si riappropria in modi scomposti di quei ruoli e, se lucido e compos sui è spaventato e inibito dalla emancipazione anche fisica della sua coetanea, vedendola in condizioni di debolezza torma a imporre la sua virilità senza freni e senza mediazioni. Inebetiti l’uno e l’altra, vittime entrambi di una mancata maturazione, figli di una cultura che non ha saputo ricostituire la sessualità su una base affettiva ed emotiva – su dei sentimenti insomma – senza drammatizzarla, senza compromettere l’autonomia personale, senza creare dipendenza, restituendole l’originaria e naturale leggerezza su un piano interazionale di reciproco scambio e di reciproco rispetto

Quel che è certo è che una bambina di dodici anni o un quattordicenne hanno il diritto di essere guidati e, mi si consenta, di poter contare su validi esempi familiari. Che non sono certo un quarantenne che non si decide ad accettare il suo ruolo di adulto e fa a gara con la sua compagna nel dipingersi il corpo come un maori. Non voglio generalizzare e so bene che fortunatamente l’adagio “tutto il mondo è paese” è falso ma è fuor di dubbio che ci sono in Italia sacche di subcultura sempre più estese in cui al di là del ceto sociale, del livello di istruzione e delle caratteristiche dei singoli diventa difficile per i genitori esercitare una funzione di controllo sui figli o proibire, come è accaduto a Firenze, a figli non ancora adolescenti di usare i telefonini per intrattenere relazioni sociali devastanti, frequentare discoteche in cui i gestori chiudono entrambi gli occhi e assumere sostanze stupefacenti. Poi quando le mamme scoprono figli e figlie protagonisti di filmati porno per sgravarsi la coscienza cercano un colpevole che ha tutta l’aria di un capro espiatorio.

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Per concludere. In una società che si è liberata dai tabù e dall’ossessione sessuofobica della cultura cristiana lo stupro è un paradosso. Se rimane con una posizione significativa nella fenomenologia criminale qualcosa non torna. In buona parte il motivo va cercato nella presenza all’interno del corpo sociale di una componente estranea e fondamentalmente ostile, e mi riferisco agli “immigrati” illegali. Questo rientra nel clima generale di insicurezza e di inadeguatezza di una politica che non riesce a far rispettare la legalità, è incapace di tutelare i confini e di impedire di nuocere a chi è entrato abusivamente. Sarebbe però riduttivo fermarsi a questa fattispecie di criminalità senza considerare il persistere di una patologia nei rapporti maschio-femmina riconducibile ad una cultura dello stupro non ancora superata. Che non ha nulla a che vedere con le battute goliardiche o da caserma di un innocuo maschilismo contro i quale si sta scatenando tutto il sistema dell’informazione che non perde occasione per creare obbiettivi di comodo. I giovani o giovanissimi responsabili di violenza sono intimoriti dall’altro sesso, hanno una personalità fragile e immatura, sono tutt’altro che maschilisti: sono semplicemente incapaci di integrare la sessualità all’interno dei rapporti interpersonali e tale incapacità si esprime in forme violente quando i controlli e le difese interni ed esterni si abbassano o vengono meno.
post scriptum
Mi si perdoni il volo pindarico ma, a proposito di degrado della politica, trovo disgustoso il castello di carte politico-mediatico costruito sul caso dell’attivista politico graziato da Al Sisi. Il governo Meloni ha liquidato quel – poco – che restava della sovranità italiana, la politica estera dell’Italia semplicemente non esiste, sono solo chiacchiere e fanfaronate, e la scarcerazione del giovane che la piaggeria di un giornalista ha trasformato in italo-egiziano dovrebbe attestare il recupero di un ruolo chiave dell’Italia nel Mediterraneo. Ma ci facciano il piacere!

Pierfranco Lisorini

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