SUL CONCETTO DI EGEMONIA CULTURALE

La nozione di egemonia culturale che in questi ultimi tempi è tornata alla ribalta della storia nazionale ad opera soprattutto della destra ora di nuovo al governo, è stata delineata per la prima volta da Antonio Gramsci, precisamente nel paragrafo 24 del Quaderno del carcere N°19, dedicato al Risorgimento italiano: “ Il criterio metodologico su cui occorre fondare il proprio esame è questo: che la supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come ‘dominio’ e come ‘direzione intellettuale e morale’.

Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a ‘liquidare’ o a sottomettere anche con la forza armata ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una della condizioni principali per la stessa conquista del potere): dopo, quando esercita il potere e anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche ‘dirigente’. I moderati continuarono a dirigere il Partito d’Azione anche dopo il 1870 e il 1876 e il così detto ‘trasformismo’ non è stato che l’espressione parlamentare di questa azione egemonica intellettuale, morale e politica”. Per Gramsci, dunque, la presa del potere di quelle che chiama classi subalterne ha senso solo se all’egemonia culturale della borghesia esercitata per mezzo degli apparati statali ( e anche di istituzioni intermedie o “private”) come esercito, scuola pubblica e privata, Chiesa, partiti, sindacati, associazionismo vario, mass media, ecc.) espressione di uno Stato inteso come società politica che esercita, oltre al potere coercitivo (monopolio della forza) anche e soprattutto l’egemonia culturale sulle masse di una nazione si sostituisce quella delle classi lavoratrici saldamente al potere economico-politico.

Ora, o meglio, allora – Gramsci scrive i suoi Quaderni del carcere negli anni Trenta – il proletariato avrebbe dovuto prima di tutto unirsi e farsi classe dirigente; ma per poter fondare una nuova società dove sia abolito lo sfruttamento delle classi subalterne  nella prospettiva marxiana di una società senza classi (o con un’unica classe, quella umana) il proletariato deve affrontare una lotta per l’egemonia culturale, tramite una nuova figura di intellettuale: l’intellettuale “organico”.  Diversamente da quello “tradizionale” l’intellettuale organico non è separato per mestiere e appartenenza di classe dal resto della società, ma proviene da essa e può essere organico alla borghesia liberale (come nel caso di Benedetto Croce) oppure alla classe operaia dove ha la funzione di costruire attivamente una nuova egemonia culturale.

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Sappiamo che nella visione gramsciana l’intellettuale organico per eccellenza è il Partito comunista in quanto interprete e rappresentante dell’insieme delle istanze e dei bisogni, non solo materiali, del proletariato. Al Partito comunista spetta dunque anche un compito pedagogico e di direzione culturale delle masse, configurandosi come intellettuale “collettivo” o come “moderno Principe”. Ora questa destra di governo avverte il bisogno, anzi, la necessità di costruirsi una propria egemonia culturale da contrapporre a quella (presunta) dell’opposizione e in grado di legittimarla anche sul piano culturale, per assicurarsi il consenso non solo popolare ma anche delle cosi dette élites . Questa destra-destra, dunque, si è appropriata indebitamente del concetto gramsciano di egemonia culturale ma, come c’era da aspettarsi, stravolgendone completamente il senso, dal momento che, più che una cultura, promuove una sottocultura già diffusa in Italia fin dagli anni ’80 e ’90 del Novecento; vedi trasmissioni televisive delle reti berlusconiane tipo Drive in o Striscia la notizia o Uomini e donne o Il grande fratello, per non parlare del mitico Maurizio Costanzo show . Ora la politica culturale di Giorgia Meloni che, pur da presidente del Consiglio, si comporta, sotto questo aspetto, come se fosse ancora all’opposizione lamentandosi per l’ostracismo della cultura di destra messo in atto dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi da una sinistra a suo dire arrogante e affetta da uno storico complesso di superiorità intellettuale e morale nei confronti della cultura di destra, consiste nel denunciare la bieca damnatio memoriae di autori come Gabriele D’Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti, Giovanni Gentile, Mario Carli, Giuseppe Prezzolini, Berto Ricci e lo stesso Benito Mussolini, e nel promuovere e valorizzare quelli che Gramsci chiamerebbe i loro nipotini, cioè opinionisti, scrittori e filosofi come Francesco Borgonovo, Camillo Langone, Filippo Facci, Pietrangelo Buttafuoco, Giordano Bruno Guerri, Marcello Veneziani, Gennaro Sangiuliano, Alessandro Giuli, per non citare che i primi che mi vengono in mente. Peccato però che i suddetti non siano all’altezza dei loro maestri e soffrano di un eterno complesso di inferiorità compensato dalla magra soddisfazione di cantare fuori dal coro o dallo stagno.

Nemici giurati del politicamente corretto si dedicano a confutare quello che chiamano “il pensiero unico” o mainstream e perciò sono per Putin e contro Zelenskj, per Trump contro Biden, per Bolzonaro contro Lula, per la Le Pen contro Macron, per papa Ratzinger contro papa Francesco, per i no vax contro i pro vax, per i negazionisti del cambiamento climatico e contro gli scienziati che invece lo attestano, insomma navigano sempre e comunque controvento; ma ora finalmente hanno i loro appoggi nell’Esecutivo guidato da Giorgia Meloni, la quale, dopo tanti anni all’opposizione avrà pure il diritto di togliersi qualche sassolino dalle scarpe, per esempio piazzando persone fidate in posti apicali nella Rai-tv, in Fondazioni varie, nei più importanti musei (come abbiamo visto al Maxxi di Roma). Le ceneri di Gramsci si staranno agitando nell’urna confortata dal pianto dei poeti ma neglette dai nuovi dirigenti del Pd, solo intenti alle loro lotte intestine e al modo migliore di apparire in televisione, mentre l’egemonia si è trasferita altrove. Se non altro nelle velleità revansciste di una nuova classe dirigente che guarda al passato e parla di Dio, Patria e famiglia, di sostituzione etnica e di difesa dei confini nazionali, ma che non ha niente da dire sul futuro del Paese, dell’Europa e dell’umanità.

Fulvio Sguerso

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