Lo spirito del tempo
L’occasione del centenario della marcia su Roma dà la stura ad una paccottiglia di articolesse, riempie di cartaccia gli scaffali delle librerie, rinnova professioni di fede democratica e anatemi contro il fascismo proprio quando alla seconda carica dello Stato sale il nostalgico La Russa. A parte gli attesi, e puntualmente arrivati, graffiti dei buontemponi dei centri sociali teleguidati dal Pd al cui interno si mantiene acceso il sacro fuoco della caccia all’uomo nero, l’establishment non si è scomposto ma si è scatenato contro Fontana, che non è fascista né neofascista né postfascista ma ha il torto di non essersi sufficientemente distinto per atlantismo.
I compagni per una volta si sono attenuti al paradigma della complessità e negli stessi giorni in cui, avvicinandosi il 28 di ottobre, rinfrescavano la damnatio memoriae del Duce e di venti anni di storia patria non hanno lesinato l’appoggio al vecchio missino atlantista. Compagni e eredi del Msi sono infatti accomunati dalla stessa ossessione russofobica, agitano la stessa bandiera a stelle e strisce, nascondono i loro privati interessi e il loro guinzaglio dietro il velo di Maya della libertà, della democrazia e, questo non lo dicono, del mercato. Un caso di scuola quello della Meloni, che posta davanti ai quattro punti del foglietto vergato da Berlusconi che la riguardano ne rivendica il quinto: “non sono ricattabile!” voce dal sen fuggita.
Quando nell’ormai lontano 1996 si ebbero le prime aperture di Violante ad una più pacata riflessione sulla guerra civile e dopo che Berlusconi fece uscire dall’angolo gli eredi del Msi fino a portare Fini alla presidenza della Camera si poteva finalmente sperare che si riprendesse il filo della nostra storia spassionatamente, chiudendo la pagine non tanto dell’odio quanto della menzogna e dell’ipocrisia (se è vero, com’è vero, che il consenso verso il regime era plebiscitario l’anatema contro il Ventennio è masochisticamente diretto contro tutti gli italiani) ma a spengere quella speranza ci pensò la condanna senza appello di ogni “assurdo revisionismo” da parte degli ultimi due inquilini del Colle. Ora, con la premier in pectore è la volta buona? Nemmeno per sogno. Aiutati dal trasformismo della Meloni e dal pragmatismo – chiamiamolo così – dei suoi accoliti si arriva al parossismo di rimuovere l’immagine di Mussolini dalla galleria dei ministri dell’Italia postunitaria e per tutti, come per Guzzanti che pure non condivide il delirio scotomizzante, quello mussoliniano deve rimanere “il maledetto Ventennio”.
L’ineffabile Giorgia, da brava scolaretta, si è cimentata anche col falso storico e concettuale del “nazifascismo” (non sa la poverina che l’unico serio tentativo di bloccare Hitler fu opera del Duce e che a spingerlo fra le braccia del Führer furono gli inglesi) e ha addossato ai fascisti la corresponsabilità nella rappresaglia decisa a Berlino ed eseguita col massimo zelo dal comando tedesco nella capitale occupata. Che poi, per essere più seri, non ha senso nemmeno qualificare come nazista quando si trattò di un orrendo esempio di stupidità e crudeltà militare senza connotazione ideologica. Ma è un modo comodo per dislocare le responsabilità personali – e anche, mi si consenta, nazionali – facendole finire su un piano astratto e impersonale e lasciandone il peso su qualche capro espiatorio. E nessuno parla più, come fino a una decina d’anni fa si faceva, dell’improvvido, inutile e ingiustificato attentato di via Rasella che scatenò la barbarie tedesca e del rifiuto dei suoi esecutori di consegnarsi per salvare la vita alle 335 incolpevoli vittime. Ma fin qui sono solo parole – o silenzi – senza conseguenze concrete: al massimo sono una prova dello spirito del tempo che viviamo, un mix micidiale di ipocrisia, ignoranza, miseria morale.
Effetti pratici come l’impatto devastante sull’economia e sugli equilibri sociali quella stessa miscela di ignoranza, miseria morale e malafede li provoca quando investe l’attualità, dal fisco predatorio alla sanità collassata passando per la politica estera e la posizione dell’Italia nei confronti della Russia. E siccome da ogni parte quest’ultima questione viene ricondotta all’atlantismo e allo scudo della Nato è bene ricordare l’incontrovertibile circostanza che l’atlantismo ha storicamente significato una scelta di campo fra la democrazia e il comunismo, dal quale appunto ci avrebbe dovuto proteggere lo scudo dell’alleanza militare rappresentato dalle basi militari americane. Contro le quali si scagliavano i compagni del Pci (poi Pds, poi Ds e ora Pd) nato come sezione italiana della Terza Internazionale, foraggiato dall’Urss che istruiva e controllava i suoi dirigenti e cancro che minava il sistema politico-istituzionale italiano fino dalla cosiddetta guerra di liberazione. La perdita dell’Istria e della Dalmazia è un tragico lascito della resistenza, che ha visto combattere insieme comunisti italiani e partigiani slavi, grazie ai quali abbiamo rischiato di perdere anche Gorizia, Trieste e perfino Udine. Sono questi gli scheletri nell’armadio della sinistra, che la sinistra ha cercato di coprire col polverone dell’antifascismo (quando il fascismo non c’era più).
Crollato il muro di Berlino, implosa l’Unione sovietica, clamorosamente fallito per le sue contraddizioni interne il comunismo – o socialismo che dir si voglia – passato dall’utopia alla realtà, l’antagonista dell’atlantismo non c’è più e lo scudo della Nato non si sa più contro chi debba levarsi: forse serve per proteggere il potere imperiale, politico economico e finanziario americano, o meglio delle lobby dem americane? Un potere che se non si espande muore e che urta contro il muro politico e militare della nuova Russia bizantina che gli impedisce di attaccare frontalmente il colosso economico cinese e di portare a compimento la sistematica azione di destabilizzazione planetaria. Ma non voglio allargare troppo un quadro che altrimenti rischia di perdere la sua dimensione attuale e i suoi contorni geopolitici: l’atlantismo, in questa nuova versione, la Nato e l’Ue si identificano ora col sostegno all’Ucraina, con una apertura di credito illimitata al suo improbabile presidente e con un odio che scade nel ridicolo nei confronti di Putin.
Ed è imbarazzate che tutti i partiti politici italiani, i sindacati, i media, i cosiddetti poteri forti si siano schierati tutti da una parte, contro l’evidenza dei fatti, contro il buonsenso, contro l’interesse nazionale (ma forse per il proprio immediato personale interesse). In questo contesto l’uscita di Berlusconi poteva rompere l’incantesimo, fare uscire l’Italia dalla dimensione onirica in cui si è trovata e ricondurla nel mondo reale. Cosa ha detto Berlusconi ai suoi? semplicemente quello che tutti, a cominciare dai compagni del Pd, sanno benissimo e riconoscono nelle loro conventicole ma è proibito far sapere al popolo bue: Biden ha spinto Zelensky a provocare la Russia per costringerla all’intervento militare con l’obbiettivo – al solito – di destabilizzare il sistema politico moscovita, isolarla e tagliare i circuiti commerciali che ne alimentano l’economia. Così l’attore reduce dalla serie televisiva in cui interpretava l’amico del popolo, dopo essersi impegnato in campagna elettorale per una azione di pacificazione e democratizzazione del Paese a cominciare dal Donbass (in un Paese corrotto fino alle midolla in cui imperversavano bande armate di ispirazione nazista), una volta eletto si è comportato in modo diametralmente opposto e, sordo ai moniti del grande vicino, ha dato una brusca accelerata al processo di derussificazione delle regioni russofone, le stesse sottoposte da anni a continui bombardamenti da parte dell’esercito ucraino e alle vessazioni brutali del cosiddetto battaglio Azov.
L’Europa sapeva bene quello che dal 2014 stava succedendo in Ucraina ma non ha fatto una piega: del resto per le cancellerie europee sarebbe stata un’indebita ingerenza negli affari interni di uno Stato che non faceva parte dell’Unione (il fantomatico diritto internazionale al quale ora ci si appella non aveva ancora preso corpo). Tutto questo l’ha ricordato Berlusconi ai suoi, anche nella sua veste di testimone diretto del ritorno della russa Crimea alla madre patria, quella Crimea che Ue, Nato e Usa promettono di riconsegnare nelle mani del dittatorello in t-shirt militare. Dove ha seppellito il diritto dei popoli all’autodeterminazione la sinistra dei princìpi e dei diritti? Ma soprattutto dove ha messo il pudore? Una risposta ce l’avrei: a coprirne le vergogne ci hanno pensato gli altri, la destra nostrana e i cinquestelle, che condividono la stessa ipocrisia e lo stesso sfrontato disprezzo per la verità. Conte, che aveva furbescamente giocato la carta del no alle armi avrebbe potuto cogliere la palla al balzo, fare propria la posizione del Cavaliere e sparigliare così il tavolo di una politica che porta l’Italia alla rovina. Ma Conte, purtroppo, è inconsistente, non ha né anima né cervello e si è affrettato a unirsi al coro degli sdegnati per l’uscita di un Berlusconi “fuori di testa”. Il primato della doppiezza e dell’ambiguità tocca però a Travaglio, che nello stesso editoriale in cui riconosce il gioco perverso della Nato e il martirio del Donbass – cito alla lettera “ Il Pd, che ora cade dal pero, si straccia le vesti anche per le cose vere dette dal fuori di testa nel fuorionda sui rischi mortali che ci fa correre la Nato e sugli otto anni di massacri ucraini in Donbass”- invece di rallegrarsi con l’unico uomo politico capace di denunciarli lo dileggia e criminalizza per averlo fatto. Roba da matti.
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Sicuramente la Meloni non farà quel cambiamento per cui l’hanno votata gli italiani e le prime avvisaglie si vedono già, ma leggere di quanto si rodono certi personaggi della sinistra, giornalisti compresi e qualcuno irascibile anche della vostra rivista non ha prezzo. Fatemi godere questo momento poi torneremo a criticare quello che non andrà nel governo