L’illustre giurista e la lezione di mistica fascista
Che il linguaggio delle politica rifletta le dinamiche sociali è ovvio e naturale negli altri Paesi ma in Italia resta un’utopia perché da noi la politica ha come protagonisti comitati d’affari camuffati da partiti del tutto estranei alla società civile, autoreferenziali e convinti che il loro ruolo sia quello di rappresentare delle idee e non degli interessi concreti di persone in carne e ossa. E già questo sarebbe un’aberrazione e uno stravolgimento del senso originario della politèia quale ci è stato consegnato dalla storia: confronto – e scontro – di modelli di sviluppo, di distribuzione del potere, di gerarchie di ruoli e di status. Ma c’è di peggio: quel dibattito di idee non ha neppure la dignità di una discussione scolastica sui massimi sistemi perché non sono neppure idee ma chiacchiera, flatus vocis, pseudoconcetti. Fra i quali primeggiano quelli di fascismo e antifascismo, privi ormai di qualsiasi legame con la fattualità. E i fatti sono quelli che danno alle parole un significato che le denota, senza il quale la loro connotazione emotiva è priva di fondamento.
Con fascismo si intende originariamente il movimento dei Fasci di combattimento fondato da Mussolini nel marzo del 1919 col programma che riporto integralmente.
«Italiani!
Ecco il programma di un movimento sanamente italiano. Rivoluzionario perché antidogmatico e antidemagogico; fortemente innovatore perché antipregiudizievole. Noi poniamo la valorizzazione della guerra rivoluzionaria al di sopra di tutto e di tutti. Gli altri problemi: burocrazia, amministrativi, giuridici, scolastici, coloniali, ecc. li tracceremo quando avremo creata la classe dirigente.
Per questo NOI VOGLIAMO:
Per il problema politico
- Suffragio universale a scrutinio di lista regionale, con rappresentanza proporzionale, voto ed eleggibilità per le donne.
- Il minimo di età per gli elettori abbassato ai 18 anni; quello per i deputati abbassato ai 25 anni.
- L’abolizione del Senato.
- La convocazione di una Assemblea Nazionale per la durata di tre anni, il cui primo compito sia quello di stabilire la forma di costituzione dello Stato.
- La formazione di Consigli Nazionali tecnici del lavoro, dell’industria, dei trasporti, dell’igiene sociale, delle comunicazioni, ecc. eletti dalle collettività professionali o di mestiere, con poteri legislativi, e diritto di eleggere un Commissario Generale con poteri di Ministro.
Per il problema sociale:
NOI VOGLIAMO:
- La sollecita promulgazione di una legge dello Stato che sancisca per tutti i lavori la giornata legale di otto ore di lavoro.
- I minimi di paga.
- La partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell’industria.
- L’affidamento alle stesse organizzazioni proletarie (che ne siano degne moralmente e tecnicamente) della gestione di industrie o servizi pubblici.
- La rapida e completa sistemazione dei ferrovieri e di tutte le industrie dei trasporti.
- Una necessaria modificazione del progetto di legge di assicurazione sulla invalidità e sulla vecchiaia abbassando il limite di età, proposto attualmente a 65 anni, a 55 anni.
Per il problema militare:
NOI VOGLIAMO:
- L’istituzione di una milizia nazionale con brevi servizi di istruzione e compito esclusivamente difensivo.
- La nazionalizzazione di tutte le fabbriche di armi e di esplosivi.
- Una politica estera nazionale intesa a valorizzare, nelle competizioni pacifiche della civiltà, la Nazione italiana nel mondo.
Per il problema finanziario:
NOI VOGLIAMO:
- Una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo, che abbia la forma di vera ESPROPRIAZIONE PARZIALE di tutte le ricchezze.
- II sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l’abolizione di tutte le mense Vescovili che costituiscono una enorme passività per la Nazione e un privilegio di pochi.
- La revisione di tutti i contratti di forniture di guerra ed il sequestro dell’85% dei profitti di guerra.»
Questo è stato il fascismo e fascista era chi si riconosceva in quel programma. Nel quale non c’è nulla, assolutamente nulla, che sia in contrasto o incompatibile con la nostra Costituzione “nata dalla resistenza”. Al contrario, vi sono esplicitamente rappresentati obbiettivi e rivendicazioni storici dei movimenti liberali e socialisti come il suffragio universale maschile e femminile, la riduzione dell’orario di lavoro a otto ore (qualcuno ricorderà il canto delle mondine ai primi del novecento: se otto ore vi paion poche provate voi a lavorar…), la creazione di una Assemblea Costituente, il salario minimo – quello che i compagni di oggi considerano una loro rivendicazione -, l’abbassamento dell’età pensionabile a 55 anni e un implicito – ma non troppo – ripudio della guerra e di ogni forma di imperialismo, sorprendente se si pensa che fra le tante anime presenti nel movimento che si apprestava a diventare partito l’arditismo non era certo secondaria.
E ora il programma del Partito Comunista nato a Livorno da una costola del Partito Socialista Italiano il 21 gennaio 1921:
Il Partito Comunista d’Italia (Sezione della Terza Internazionale – Comunista) è costituito sulla base dei seguenti principi:
- Nell’attuale regime capitalistico si sviluppa un sempre crescente contrasto fra le forze produttive e i rapporti di produzione, dando origine all’antitesi di interessi e alla lotta di classe tra il proletariato e la borghesia dominante.
- 2 Gli attuali rapporti di produzione sono protetti dal potere dello Stato borghese, che, fondato sul sistema rappresentativo della democrazia, costituisce l’organo per la difesa degli interessi della classe capitalistica.3. Il proletariato non può infrangere né modificare il sistema dei rapporti capitalistici di produzione da cui deriva il
- suo sfruttamento, senza l’abbattimento violento del potere borghese.
-
L’organo indispensabile della lotta rivoluzionaria del proletariato è il partito politico di classe. Il Partito Comunista, riunendo in sé la parte più avanzata e cosciente del proletariato, unifica gli sforzi delle masse lavoratrici, volgendoli dalle lotte per gli interessi di gruppi e per risultanti contingenti alla lotta per la emancipazione rivoluzionaria del proletariato; esso ha il compito di diffondere nelle masse la coscienza rivoluzionaria, di organizzare i mezzi materiali di azione e di dirigere nello svolgimento della lotta il proletariato.
- La guerra mondiale, causata dalle intime insanabili contraddizioni del sistema capitalistico che produssero l’imperialismo moderno, ha aperto la crisi di disgregazione del capitalismo in cui la lotta di classe non può che risolversi in conflitto armato fra le masse lavoratrici ed il potere degli Stati borghesi.
- Dopo l’abbattimento del potere borghese, il proletariato non può organizzarsi in classe dominante che con la distruzione dell’apparato sociale borghese e con la instaurazione della propria dittatura, ossia basando le rappresentanze elettive dello Stato sulla sola classe produttiva ed escludendo da ogni diritto politico la classe borghese.
- La forma di rappresentanza politica dello Stato proletario è il sistema dei consigli dei lavoratori (operai e contadini), già in atto nella rivoluzione russa, inizio della rivoluzione proletaria mondiale e prima stabile realizzazione della dittatura proletaria.
- La necessaria difesa dello Stato proletario contro tutti i tentativi contro-rivoluzionari può essere assicurata solo col togliere alla borghesia ed ai partiti avversi alla dittatura proletaria ogni mezzo di agitazione e di propaganda politica, e con la organizzazione armata del proletariato per respingere gli attacchi interni ed esterni.
- Solo lo Stato proletario potrà sistematicamente attuare tutte quelle successive misure di intervento nei rapporti dell’economia sociale con le quali si effettuerà la sostituzione del sistema capitalistico con la gestione collettiva della produzione e della distribuzione.
- Per effetto di questa trasformazione economica e delle conseguenti trasformazioni di tutte le attività della vita sociale, eliminandosi la divisione della società in classi andrà anche eliminandosi la necessità dello Stato politico, il cui ingranaggio si ridurrà progressivamente a quello della razionale amministrazione delle attività umane.
Come si vede è un programma modellato sulla interpretazione bolscevica del marxismo, che pone come obbiettivo lo Stato totalitario (la dittatura del proletariato) orientato verso l’utopia anarchica di una società senza classi e senza Stato. Il perno è rappresentato dal concetto astratto di proletariato che non si concretizza più nei capite censi ma viene circoscritto agli operai e ai contadini. Qualcosa che richiama Pol Pot prima ancora di Lenin. Sul piano politico si propugna l’abolizione dei partiti sostituiti dal partito unico, quello comunista, si teorizza la lotta armata al posto del confronto elettorale, l’abolizione del parlamento sostituito dai consigli di fabbrica e la privazione dei diritti politici ai borghesi, vale a dire alla classe “non produttiva”. Sul piano sociale c’è la rinuncia alla lotta per obbiettivi contingenti (salario, orario, sicurezza) in nome dell’obbiettivo strategico: l’abbattimento della democrazia “borghese” all’interno di una rappresentazione del mondo ridotto alla produzione e al consumo.
Ora la domanda è: quello che oggi, non solo in Italia, viene connotato come fascista, autoritario, liberticida nella realtà storica appartiene al fascismo o al comunismo? La risposta mi pare scontata. E volendo cercare le basi per una democrazia moderna e proiettata sul futuro è possibile trovarle nei minacciosi proponimenti del Pcd’Italia o nei Fasci di combattimento (ma potrei ricordare anche la dannunziana Carta del Carnaro)? e anche questa è una domanda retorica.
Non la pensa così Gustavo Zagrebelski che fa del fascismo una Weltaschauung che divide l’umanità in due riguardo al modo d’essere nel mondo. Un’operazione campata per aria, a parte l’obbrobrio di aver identificato il nazismo col fascismo e di avergli attribuito la paternità di un concetto kantiano. Si deve scegliere fra essere fascisti – violenti, autoritari, reazionari – o anti fascisti – democratici, pacifisti, aperti verso il futuro – e non c’è una terza posizione: quelli che si dichiarano “afascisti” sono anche peggio dei fascisti, degni dell’inferno a cui Dante condanna gli ignavi. Premesso che le basi storiche del fascismo non hanno nulla a che vedere con quelle del nazionalsocialismo di Mein Kampf o con i 25 punti del Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, che trasudano di un nazionalismo malato, di razzismo, antisemitismo e ridicolo germanesimo, sarei curioso di sapere su quali basi storiche e documentali si basa l’illustre giurista impegnato a dare ai concetti di fascismo e antifascismo quel contenuto che ne giustifichi l’uso politico che si continua a farne in Italia. Ma per non correre il rischio di travisarne il pensiero, riporto il testo dell’intemerata.
“Insistere per avere una chiara dichiarazione antifascista da chi ha avuto cento occasioni per farla e non l’ha fatta è utile? Fascismo e antifascismo non sono due sfumature politiche: sono visioni che dividono la concezione del mondo in due (due Weltanschauungen, nel lessico fascista tedesco). L’una contraddice l’altra nell’essenziale, e non c’è spazio per una terza. È una autentica dicotomia: ciò che sta in una parte non può stare nell’altra. Non si può essere in entrambe per convinzione, ma solo per opportunismo. Ma non si può neanche stare in nessuna delle due, se non per ignavia, ignoranza, passività, indifferenza. L’opportunismo è una colpa grave, ma ancor più grave è l’ignavia. Superfluo citare l’anti-inferno dantesco. Poiché non osiamo neppure pensare che i governanti che non si pronunciano siano degli ignavi, resta l’opportunismo: il fascismo è cosa d’altri tempi; i problemi degli italiani sono diversi; antifascista a modo proprio; fascismo e antifascismo sono fatti miei; il fascismo ha fatto cose brutte ma anche belle; la resistenza, e non solo il fascismo, si è macchiata di crimini. Tante scappatoie, la più ignobile delle quali, di fronte a un conflitto storico che non solo ha generato grandi contrasti ideali ma ha provocato immani sofferenze con milioni di morti, è un gioco di parole: a-fascismo e a-antifascismo. Non c’è modo per costringere gli svincolanti che da ultimo hanno inventato la furba e, al tempo stesso, sciocca domanda retorica: tu che mi chiedi, tu sei anticomunista? Allora, si continui a pungolare, ma non ci si aspetti altro che vuote parole. È già chiaro: quando l’alternativa è netta – o di qua o di là – e non stai con chiarezza da una parte, ciò significa che stai dall’altra, anche se non vuoi o non puoi dirlo. Tutti hanno capito, dunque basta.
L’opportunismo Dell resto, in politica quanto contano le parole? Volano e si posano a piacere dove si vuole. Si dice, ci si contraddice, si mente, ci si smentisce, ci si dimentica: tutto per piacere o non dispiacere al proprio pubblico che della coerenza, per lo più, non sa che farsene. Che cosa costerebbe una facile dichiarazione: sì, in passato sono stato o stata pro-, ma ora sono anti-fascista? Il coro che incalza per avere “la dichiarazione” sarebbe in un momento ridotto al silenzio. Forse scontenterebbe i fedelissimi alla “Idea”, ma basterebbe una strizzatina d’occhio per intendersi e tenerli tranquilli. In fondo, penserebbero che “Parigi val bene una messa”. Sarebbe, però, comunque, un cedimento d’immagine incompatibile con l’onore che, da quelle parti, è intensamente coltivato. Perciò, merita rispetto chi non si smentisce ma, non smentendosi, conferma. D’altra parte, per gli antifascisti, che cosa conterebbero parole pronunciate con riserve mentali? Contano i fatti e gli atti concreti, cioè i frutti da cui si riconosce la pianta.L’argomento più ricorrente per evitare lo scoglio, tuttavia, è questo: il fascismo è cosa d’altri tempi, non c’è più, né più ci sarà. Chi s’immagina i figli della lupa, i gerarchi in orbace, la violenza squadrista e tutto l’armamentario al tempo stesso folcloristico e violento di quel tempo tragico? Il fascismo voleva essere una rivoluzione anti-borghese, ma oggi siamo o vogliamo tutti essere borghesi. Il fascismo fu la risposta al vento del bolscevismo russo, ma dove sono oggi i bolscevichi. Se dunque il fascismo non esiste più, che senso ha dividersi tra chi è pro e chi è contro? Sono cose d’altri tempi. I problemi degli italiani sono altri. Davvero?
Il significato Fascismo e antifascismo sono la versione moderna d’un conflitto profondo e perenne che modella la vita degli individui nei rapporti sociali, le concezioni e le forme della politica e perfino i rapporti tra gli Stati. Il fascismo che abbiamo conosciuto e conosciamo è solo una manifestazione storica di un unico concetto politico che ha assunto diverse forme concrete, adeguate alle variabili circostanze in cui si è affermato. Per esempio, la dittatura fascista non è riuscita a raggiungere il totalitarismo nazista. Lo stesso si può dire del falangismo franchista o dell’estado novo portoghese. Ma, al di là delle circostanze, c’è qualcosa di comune, di profondo e radicato nell’animo umano e nelle pulsioni sociali che spiega la naturale convergenza di tali regimi, al di là delle specificità. Questo nucleo comune emerge e riemerge di tempo in tempo. Come possiamo definire con una parola il “fascismo perenne”, l’Urfaschismus (il prefisso ur indica qualcosa di originario, di primordiale)? Nel 1945, con sullo sfondo le tragedie europee tra le due guerre, è stata introdotta la parola “tribalismo” che dà anch’essa, tuttavia, un’idea di qualcosa di arcaico, di appartenente a tempi addirittura preistorici. “La cosa”, al di là della parola, invece, è attuale, sempre. Ne vediamo i contenuti, non necessariamente tutti insieme e non sempre tra loro coerenti: nazionalismo e purismo etico ed etnico; rifiuto della modernità e dei diritti universali; restaurazione dei valori tradizionali; irrazionalismo e avanguardismo; primato dell’azione, anche violenta, sulla riflessione e sulla discussione; anti-intellettualismo; accentramento del potere, decisionismo e antiparlamentarismo; occupazione e normalizzazione delle istituzioni; disprezzo della cultura e culto della forza; “machismo” e antifemminismo; intolleranza alle critiche; ostilità nei confronti della libertà di pensiero, scienza, arte e stampa; esaltazione dell’uomo normale; risentimenti e aspirazioni mediocri; senso comune; concezione del popolo come massa organica indifferenziata; corporativismo; intolleranza verso i “diversi”, “non integrabili”; xenofobia e razzismo conclamati o dissimulati; unanimismo; complesso del complotto; nazionalismo ripiegato su se stesso contro internazionalismo, universalismo e cosmopolitismo; superiorità o unicità nazionale; vittimismo aggressivo.
Prole d’ordine Forse non si è riflettuto a sufficienza sul significato della triade Dio, Patria, Famiglia: parole d’ordine del fascismo, recentemente riportate in vita e pronunciate con la naturalezza dell’ovvio. Innanzitutto, la triade traccia un tragitto dall’alto in basso, un flusso autoritario. Eleggere un dio a protezione della propria parte politica, è invocare la fonte suprema della legittimità del potere: non il consenso, non la libera discussione, non la democrazia. La “secolarizzazione”, cioè la fondazione laica della vita sociale e politica, diventa una deviazione del corso di una storia da correggere. La Patria, poi, è usata come pretesa dei governanti di parlare, agire e decidere nel nome di tutti, ed è un efficace argomento per dividere i buoni cittadini – i patrioti – dai cattivi, i dissidenti. Ed è anche la via per gonfiarsi ridicolmente agli occhi altrui invocando la nostra storia eccezionale, la nostra cultura e il nostro paesaggio ineguagliabili, la creatività delle nostre imprese, fino al made in Italy culinario. Infine, la Famiglia di cui parlano è, ovviamente, quella tradizionale che assorbe le singole persone nelle loro funzioni organiche, ciò che soprattutto tocca la donna procreatrice.
Il tribalismo Tutti questi ingredienti sono sostanza del fascismo del nostro tempo e di sempre: la società come blocco unico. Il tribalismo, cui sopra s’è fatto cenno, significa precisamente questo. Il fascismo storico, dichiaratamente già nel suo simbolo, il fascio dei littori romani, esprimeva questa idea della vita “in blocco” garantita dalla scure del potere. L’antifascismo operoso non è tanto contro le esteriorità del fascismo, quanto nella reazione alla plumbea concezione della vita che esso perennemente propone. È nella ugualmente perenne rivendicazione e nell’esercizio pratico delle libertà in tutte le pieghe delle relazioni umane, al fine di “sbloccarle”. In fondo, antifascismo e democrazia coincidono e questa coincidenza ha la sua tavola fondativa nella Costituzione. È un caso che chi non vuole dichiararsi antifascista sia lo stesso che, la Costituzione, vuole cambiarla?”
Un delirio, che dalle vette dell’iperuranio – l’urfaschismus come categoria dello spirito o idea platonica – precipita nella banalità del quotidiano: la nostra pasticciata carta costituzionale, intoccabile se a toccarla non sono i compagni e tranquillamente violata in ciò che ha di buono – il ripudio della guerra – intoccabile tanto per attaccare la Meloni e la sua idea del premierato. Sul quale, per carità, si può anche dissentire, ma non è questo il modo di affrontare seriamente una questione politica..
Un delirio frutto del tentativo disperato di dare un contenuto a due pseudoconcetti come fascismo e antifascismo. Intendiamoci: se si dichiarava antifascista un oppositore del regime instaurato da Mussolini, chapeau! Ci mancherebbe altro che si dovesse teorizzare un sistema politico che non tollera oppositori: purtroppo capita anche nelle cosiddette democrazie perché si tende sempre a confondere il governo con il potere e chi si siede sulla poltrona del potere fa poi una grande fatica ad alzarsi e cedere il posto. Ma di quell’antifascismo potevano fregiarsi Randolfo Pacciardi o Giuseppe Saragat o Gaetano Salvemini non certo gli idolatri di Lenin prima e di Stalin dopo. Ma anche gli autentici antifascisti in realtà non si opponevano alle idee o ai programmi del fascismo ma al regime autoritario di cui solo in parte Mussolini era responsabile, perché frutto del compromesso con la Chiesa e con la monarchia che manteneva tutto il suo potere e alla quale facevano capo una burocrazia sclerotizzata e un esercito fedele più a casa Savoia che alla Nazione.
Un approccio serio al fascismo non può confondere il movimento con la dittatura e non può rimuovere la circostanza che l’avere accantonato l’idea di una rifondazione dello Stato attraverso una assemblea costituente, forse il punto più qualificante dei fasci di combattimento, è conseguenza diretta del sofferto patto con i monarchici prima e con la Chiesa dopo (due pilastri, la monarchia e la Chiesa, del conservatorismo, a loro volta in contrasto fra di loro) e delle pregiudiziali eversive delle opposizioni. La realizzazione di una democrazia nazional-popolare venne impedita dal sopravvivere della vecchia struttura conservatrice; per la seconda volta in poco più di sessant’anni un movimento di radicale trasformazione sociale e politico-istituzionale veniva snaturato e imbrigliato dalla monarchia sabauda. Il processo unitario del risorgimento con l’intervento sabaudo era affogato nella retorica e il povero Garibaldi da simbolo della nuova Italia aveva rischiato di essere ridotto ad una macchietta; Mussolini preferì imboccare la strada di una sostanziale continuità evitando il rischio di uno strappo sociale politico e istituzionale insito nel programma di Sansepolcro. Detto questo, altra questione è il giudizio sui venti anni di governo del Duce, del quale chiunque è padrone di dire quello che vuole ma non può mettere in forse il fatto che godesse di una consenso plebiscitario sconfinante nel culto della personalità del Capo. Il che rende ancora più triste – o trista – la favola dell’antifascismo.
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