LIBERTÁ VO CERCANDO…

…ch’è sì cara. Questa celebre frase, che Dante fa profferire a Catone Uticense nel 1° Canto del Purgatorio, ben si adatta ai giorni nostri, se solo leggiamo “cara” come anche “costosa”. Vediamo perché.
Mario Monti profferì un’altra frase, più prosaica, ma molto esplicativa: “Sono le crisi che offrono l’opportunità di mutamenti epocali”. Un’affermazione tronca, in quanto evita di dire che i beneficiari alloggiano sempre ai piani alti, a spese dei piani bassi.

Mario Monti dimenticava ogni tanto il linguaggio forbito della diplomazia e non indorava la pillola. Da Primo Ministro fece un indiretto elogio delle crisi, affermando che è proprio grazie ad esse che i governi osano varare misure necessarie ma impopolari. Infatti, sono necessarie alla finanza, che pure le provoca, per arricchirsi ancor più, a spese del popolo, “polvere della storia”. Semmai qualcuno bollasse questa mia frase come “populista” [VEDI]

Questa affermazione non ha mai subito eccezioni. E connotato costante è il genere di beneficiari di tali cambiamenti: coloro che li determinano o che li sfruttano per poter attuare “riforme” che sarebbero state indigeste alla massa dei cittadini in tempi normali. E’ lo stato di eccezione, di emergenza, di calamità che giustifica ogni misura posta in atto affinché eventi simili “non abbiano a ripetersi”. Eventi che si traducono sempre in una limitazione di libertà collettiva, attraverso costrizioni che aumentano, di converso, la libertà, conseguente all’accresciuto potere e ricchezza, di chi ne ha decretato il varo.

1907. Il gruppo di banchieri, capeggiati da JP Morgan, che concorsero a superare la grave crisi finanziaria scatenata da una speculazione azzardata. Salvata la barca, lorsignori si misero all’opera per conseguire il loro trionfo, con la creazione della Fed totalmente in loro mani

1) A conferma di quanto sopra, voglio fare una significativa carrellata storica, limitandomi a rilevanti eventi di natura finanziaria, che si sono ripercossi in campo politico e sociale.

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Parto dal 1907, quando una colossale speculazione sul rame determina un collasso di natura monetaria secondo una schema divenuto classico: il fallimento di una grande società, sino allora ritenuta l’emblema della solidità, fa cadere a zero la fiducia in altri titoli in cascata, determinando l’ormai ben nota corsa agli sportelli (bank run) e il razionamento, o peggio l’azzeramento, del denaro disponibile.
Soltanto l’immensa ricchezza di due mitici nomi (JP Morgan, banchiere e JD Rockefeller, petroliere) riuscirono a riportare la calma e la fiducia nel sistema bancario: il primo facendo arrivare da Londra il bastimento Lusitania, carico carico di… lingotti d’oro; il secondo, iniettando nel piano di salvataggio $ 50 milioni, all’epoca una cifra stellare.
Questo episodio non si verificò invano: i banchieri cominciarono a preparare il loro piano per l’istituzione di un ente (privato) in grado di emettere denaro, ufficialmente legato all’oro, ma indipendente dall’autorità federale. Ci vollero 6 anni, quando, assicuratisi dell’approvazione del Congresso, in gran parte in vacanza natalizia, il 23 dicembre 1913, presidente Thomas W Wilson, firmò l’act costitutivo della privata Federal Reserve (Fed), cui era affidato il madornale compito di emettere moneta, usurpando allo Stato questa sua legittima e cruciale prerogativa.

2) Il 5 aprile 1933, in piena recessione, disoccupazione e precedenti bank run, il presidente Franklin D Roosevelt, forzando l’interpretazione di una legge di guerra del 1917, firmò l’executive order 6102, obbligando la consegna di tutto l’oro detenuto da privati cittadini alla zecca statale, dietro riconoscimento del valore di $ 20,67 per oncia, dietro minaccia di $ 10.000 (dell’epoca!) di multa e 10 anni (!) di carcere per i trasgressori. Come un volgare speculatore, l’anno successivo, 1934, Roosevelt promulgò il Gold Reserve Act, che innalzò il valore ufficiale dell’oro a $ 35 per oncia, permettendo così alla Fed di stampare proporzionalmente più banconote, a fronte di un equipollente quantitativo di oro, peraltro aumentato grazie alla confisca. Qui non si tratta di “complottismo”, ma di presa d’atto di provvedimenti ufficiali, a detrimento dei cittadini e a tutto vantaggio della Fed. Bisogna arretrare fino al XIII secolo per trovare un latrocinio simile, perpetrato in forma istituzionale dal Gran Khan del Catai: “Più di una volta il Gran Khan ha fatto pubblicare dei bandi, ordinando che ogni cittadino che possegga oro o argento o preziosi debba consegnare tutto subito alla banca imperiale, che ne rimborsa il valore con banconote di carta: in questo modo il Gran Khan riesce a raccogliere una quantità enorme e incredibile di oro e argento […] e in verità non c’è nessuno al mondo più ricco del Gran Khan.” [Marco Polo, Il Milione, cap. 72 La zecca del Gran Khan].*

Lyndon B Johnson, vice-presidente, presta giuramento subito dopo l’assassinio del presidente JF Kennedy. Permangono tuttora sospetti sul suo ruolo nella vicenda, che è valsa comunque di monito ai futuri presidenti USA di non ripetere il temerario gesto di JFK, pena la vita

3) Il 4 giugno 1963 il coraggioso e più giovane presidente degli Stati Uniti, JF Kennedy, firmò l’executive order 11110, che riportava al governo l’autorità di emissione della moneta, decretando in pratica la fine del monopolio dei grandi banchieri che si dividevano (e tuttora si dividono) la proprietà della Fed. Con un semplice tratto di penna, JFK autorizzò la stampa di $ 4,2 milioni di banconote, silver certificates, garantite da altrettanti quantitativi d’argento depositati nella zecca di Stato. Questo atto costò probabilmente la vita a JFK, assassinato in modo rocambolesco a Dallas pochi mesi dopo, il 22 novembre 1963.
Si nutrono tuttora sospetti sull’eventuale concorso del vicepresidente Lyndon Johnson nel complotto (anch’esso non avvalorato da prove certe, ma solo da pesanti indizi) che portò all’assassinio di JFK; fatto sta ch’egli si affrettò a togliere dalla circolazione la quasi totalità dei silver certificates, senza tuttavia osare di abrogare il relativo executive order, che quindi è tuttora valido; ma non c’è più stato un solo presidente dotato del coraggio di restaurarne l’efficacia. Si noti che, degli esempi citati, questo è l’unico che riporta un provvedimento a favore del popolo e non della casta o, come oggi si dice, del deep state: quell’accrocco di poteri trasversali, legati dal comune interesse a detenere l’egemonia finanziaria e quindi economica, politica e sociale a livello internazionale. Se proprio vogliamo usare il termine fascismo (oggi agitato a ben più infimi livelli), che io connoto con la limitazione, fino alla perdita totale, della libertà, ecco, costoro sono i veri fascisti.

Richard Nixon inaugura d’imperio lo sganciamento del dollaro dall’oro, trasformando di fatto la valuta americana in fiat money, ossia in una divisa senza sottostante garanzia materiale

4) Il successivo evento, di ripercussioni mondiali nei decenni che ne seguirono, si ebbe il 15 agosto 1971, con l’executive order 11615 del presidente Richard Nixon. Fu un atto imperioso e imperiale, a livello globale: “Sgancio il dollaro dall’oro, perché siete in troppi a chiederne la conversione. Quindi, rassegnatevi gente, dovrete accettare i dollari come se fossero ancora garantiti dalle nostre riserve auree, ridotte al lumicino. Questa misura è avallata dalla forza delle nostre armi.” Dopo tale data, inutile dirlo, la Fed si dette a stampare dollari fiat, ossia privi di garanzie, con gli USA assurti al rango di “pensionati del mondo”. Uno status di cui stanno per pagare il fio, con la nascita di un nuovo fronte bi-polare, dopo decenni di mono-polio monetario, di cui ho già detto nel mio precedente articolo. L’evento acceleratore di questa nuova formazione anti-americana, e per esteso anti-occidentale, sono state le assurde sanzioni contro la Russia, congelando, se non confiscando, l’enorme massa di valuta estera di proprietà della banca centrale russa, depositata in vari caveau e banche occidentali. Chi la fa l’aspetti.

Romano Prodi in una foto del 1996. Erano gli anni di silenziosa marcia verso l’euro, di cui Prodi fu fervente sostenitore e coadiutore, in attuazione del Trattato di Maastricht

Faccio solo un accenno al Trattato di Maastricht del 1992, passato sopra le nostre teste, come pure la sua conseguenza monetaria, con l’ingresso dell’Italia nell’euro il 1° gennaio 2002 e il suo influsso sulla nostra libertà d’azione politica e sociale; senza passare sotto silenzio l’altro grande evento limitativo d’imperio delle nostre libertà individuali: il Covid, 2020-2021.
La pandemia è stata, a livello mondiale, un test della capacità di sopportazione delle limitazioni della libertà da parte delle varie popolazioni. Test tutto sommato positivo per il deep state, vista la relativa docilità della gente a subire ogni genere di imposizioni quando sul piatto veniva messa, a ragione o a torto, la nostra salute.

5) Vorrei terminare con l’ultimo executive order, il 14067, firmato da Joe Biden, che sferra il colpo alla nuca alla nostra residua libertà (e privacy): e ciò che riguarda l’America, più prima che poi, finisce per riguardare anche noi. Ma, per non abusare dell’attenzione e della pazienza di chi mi ha seguito sin qui, mi ripropongo di parlarne nel prossimo numero.

*  Ma cosa ne faceva il Gran Khan di tutta questa ricchezza? Lo apprendiamo al cap. 64, sui privilegi sessuali dell’imperatore, che fanno impallidire a feste per educande i bunga-bunga di Berlusconi! Il Gran Khan ha quattro mogli legittime e un gran numero di concubine, che sceglie così: c’è una tribù di tartari, gli ungrat, che è famosa  per la bellezza e l’avvenenza delle sue donne. Le cento più belle vengono condotte dal Gran Khan e […] le più belle, le più affascinanti, le migliori da ogni punto di vista, sono ammesse al suo servizio: ogni tre giorni e tre notti sei di queste fanciulle servono l’imperatore nella sua camera da letto in tutto ciò di cui ha bisogno e lui fa di loro quello che desidera. Dopo tre giorni e tre notti, altre sei ragazze le sostituiscono e così si continua per tutto l’anno.”  

Marco Giacinto Pellifroni  9 luglio 2023

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