In democrazia i libri non fanno paura

No, non è una tempesta agostana. Al regime farebbe comodo che così fosse ma non è così, al di là delle intenzioni – e della statura politica – dei protagonisti. È accaduto che per la prima dall’insediamento di questo governo truffaldino Salvini, ridotto per colpa e insipienza proprie e per maneggi in alto loco a un ruolo di comparsa, si è deciso a farsi interprete del suo potenziale seguito elettorale e ha attaccato frontalmente il braccio destro della Meloni per la sua intemerata contro il generale Vannacci.

Salvini, Crosetto, Vannacci

Un’intemerata seguita dalla rimozione dall’incarico che ricopriva, saltando procedure e gerarchia in perfetto stile totalitario, col plauso della sinistra e il placet di Travaglio, che in un sol colpo ha distrutto la credibilità acquisita in sei mesi di lucidi editoriali. Ma se non è venuto dall’opposizione l’attacco al ministro della difesa è arrivato dal suo collega di governo, scosso dal suo letargo dall’insofferenza che monta dentro la Lega.
L’imbarazzo di Crosetto, che si è accorto di essere molto più vulnerabile di quanto la sua mole facesse supporre e il silenzio irritato della presidente del Consiglio sono dopo tanti mugugni e reticenze il segno della prima frattura all’interno dell’esecutivo e c’è da sperare che quando si arriverà allo scoglio delle elezioni europee, di cui camerati e compagni farebbero volentieri a meno, tutto questo sistema di potere finisca in frantumi. L’alternativa d’altronde è l’eclisse definitiva dell’Italia, non solo politica ma economica e culturale. Che un governo a guida Fratelli d’Italia sarebbe stata una iattura peggiore, molto peggiore di un governo di sinistra, fosse pure – e lo dico con ribrezzo – a guida Schlein, era chiaro a chiunque avesse un minimo di raziocinio. Si dirà: è la democrazia, bellezza, fattene una ragione. Ma se è vero che l’elettore crede a ciò che gli si fa credere e in cui ha bisogno di credere è anche vero che questo non autorizza ad ingannarlo scientemente e subdolamente come è stato fatto, con la regia di chi sappiamo bene.

Meloni e  Schlein

Resta il fatto incontrovertibile che, marionette per marionette (tali sono la trasteverina ripulita e la miliardaria svizzera), all’interno del Pd sono presenti meccanismi di retroazione che non avrebbero consentito né l’osceno oltranzismo atlantista e l’isterica russofobia né i disinvolti voltafaccia su pensioni, canone televisivo, pressione fiscale, fondi europei e invasione di questo sciagurato governo, per non dire di questioni più settoriali come i tassisti o i balneari che ne hanno connotato l’azione (ma dovrei dire l’inazione). Non si tratta semplicemente dell’impossibilità di mantenere fede a promesse elettorali che cozzano con le risorse dello Stato: è qualcosa di moto più grave, è un raggiro del proprio elettorato intollerabile in uno stato di diritto, con conseguente spudorata ricerca di consenso nella parte che avrebbe dovuto essere avversa, una mutazione che non ha nulla a che vedere col trasformismo di antica memoria, del quale furono protagonisti non un partito o un gruppo di notabili avulsi dal loro corpo elettorale ma parti della società e della pubblica opinione. In questo caso si è giocato sporco contando sul fatto che gli elettori traditi non avrebbero avuto altra sponda cui attraccare se non l’astensione.

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Da qui l’alleanza di ferro fra destra e sinistra sulle questioni essenziali, che si riflette nelle finte divergenze, nella continua ricerca di distrattori, nella sostanziale funzione di ammortizzatore di chi è apparentemente fuori dal coro. E su questo punto ho in mente il giornalista-conferenziere con la faccia da bambino dispettoso portavoce di quel che resta dei grillini, che si è impadronito della bandiera del pacifismo, e un giorno sì e l’altro pure ci ricorda che Zelensky e i neonazisti sono un pericolo, che bisogna smettere di dare armi all’Ucraina, che i droni su Mosca servono per spingerla ad allargare il conflitto: tutto bene ma mi chiedo perché si rifiuta di riconoscere che se c’è stata aggressione è stata da parte della Nato, che l’intervento russo in Donbass è stato semplicemente tardivo, che i problemi di confine sono stati già risolti con referendum alla presenza di osservatori internazionali – e comunque pro bono pacis ripetibili – e il principio dell’autodeterminazione dei popoli non può contemplare eccezioni; e ora, non a caso, si allinea come un docile soldatino e dà il suo contributo al tentativo di neutralizzare l’autore del Mondo al contrario, ridicolizzato come se farneticasse quando scrive delle ovvietà. Come quelle, per esempio, sul nazionalismo, che è difesa e amore della nazione non volontà di opprimerne altre; se la maggioranza dei siciliani rivendicassero una loro identità non resterebbe che prenderne atto: non potremmo prenderli a cannonate o impedirgli di parlare la loro lingua (quello che gli ucraini hanno fatto in Donbass e avrebbero voluto fare in Crimea). E nel caso di Stati compositi, come il Regno Unito o la Spagna, l’unità va conquistata e mantenuta ampliando – non restringendo – gli spazi di libertà e di autonomia e guai ricorrere a una forzata omologazione (come hanno fatto i francesi con la Corsica e avrebbero voluto fare gli italiani in Alto Adige nel primo dopoguerra ). Mi fa un po’ specie ripetere queste banalità, ma ormai siamo al punto che ciò che è ovvio diventa scandalo e la verità è sistematicamente rovesciata. Il sistema si basa sulla menzogna, sulla corruzione, sull’inganno e sulla paura. Si spiega così il terrore e lo scompiglio che suscita un libro, che si dimostra essere non un semplice sasso nello stagno della disinformazione e della rassegnazione ma la spia che la pressione del commune sentire trova delle fessure nel monolite del sistema ed è concreto il rischio di una spaccatura che lo mandi in frantumi. Se così è inutile che se la prendano con un testo autopubblicato andando a caccia di refusi: semmai i custodi del sistema si dovrebbero chiedere com’è che le librerie traboccano di saggi che nessuno legge – e nessuno compra – sfornati a getto continuo dal club dei nostri “intellettuali” e prontamente pubblicati dalle più prestigiose case editrici mentre il libro di Vannacci rimbalzato sulla rete e venduto da Amazon in poche settimane è diventato il caso editoriale dell’anno. Evidentemente sotto la superficie lo stagno era già agitato.
In Italia, dicono i politologi, l’elettorato è volatile: prima Berlusconi, poi Renzi seguito dai Cinque stelle e dal boom della Lega salviniana, poi, ahimè, la volta dei Fratelli d’Italia, e ne paghiamo le conseguenze. Un elettorato volatile, dicono, e tirano in ballo la storiella della crisi delle ideologie. La verità è un’altra, molto più semplice. La politica italiana è marcia fino al midollo, è un mestiere per gente priva di scrupoli, non dico di idee e di ideali, arroccata alla difesa dei propri privilegi, chiusa all’interno di una nuova classe sociale di parassiti al servizio di altri parassiti. Gli italiani lo sanno benissimo, lo sanno quelli che hanno rinunciato a votare e lo sanno gli elettori di sinistra, di centro o di destra che a votare ci vanno turandosi il naso, ci vanno perché sanno che l’astensione è ciò che gonfia la percentuale del consenso.

Roberto Vannacci

Ci si accanisce contro Vannacci e il suo libro, che è semplicemente un richiamo al buonsenso, alla misura e alla normalità. Perché non è passato inosservato come tanti saggi autopubblicati dal contenuto assai più provocatorio (ne suggerisco uno molto ben documentato sugli orrori della resistenza che trovai nel mare magnum della rete)? Forse perché l’autore non è precisamente un cane sciolto o forse perché i motivi per cui viene attaccato non sono quelli dichiarati, come l’omofobia, di cui peraltro nel testo non c’è traccia, e i presunti intenti discriminatori.
Non c’è bisogno di scomodare la costituzione per condannare ogni forma di discriminazione: lo facciamo perché ce lo impone la consapevolezza della comune umanità. L’uguale dignità degli uomini oltre le differenze di genere, di condizione sociale, di razza era cosa ovvia per Seneca come per Rousseau e lo è per tutte le teste pensanti di ogni epoca: tanto ovvia che si ricordano come paradossali le affermazioni di Aristotele sullo schiavo “perì fúseos” o di Voltaire sull’ascendenza scimmiesca dei negri. Ogni uomo è depositario dei valori supremi dello spirito: compagni e padri costituenti su questo non ci debbono dare alcuna lezione. Semmai è proprio nella miseria, nella malattia, nella deformità e, in generale, nella diversità, che è più facile ravvisare la luce dello spirito. Ricordo a compagni e camerati i mirabili versi del Vate: “…io son colui che t’ama, o Diversità, sirena del mondo, io son colui che t’ama”. Ma voler negare la diversità del diverso è pura idiozia, è la conseguenza degli sbandamenti di chi è guidato da una morale eteronoma e finisce per negare la norma, come se non fosse proprio la norma a dare senso alla diversità. E allora anatema al generale che ricorda sommessamente che la norma è la stella polare e in ambito sessuale la complementarità maschio-femmina guarda caso garantisce la continuità della specie. La norma, che non è né buona né cattiva, è semplicemente la norma, spogliata nella statistica di qualsiasi significato connotativo o risolta nella fisiologia. Gli omosessuali non sono la norma, come non sono la norma gli individui alti due metri o un metro e mezzo né sono la norma gli individui eccezionali. La lingua stessa per essere uno strumento efficace di comunicazione è normata ma la poesia, come notava Pasolini, è uno strappo alla sua norma. L’adeguamento alla norma è la normalità, che sconfina nel conformismo; in misura maggiore o minore tutti esprimono una propria specificità: poi la statistica e la fisiologia convergono verso una regola che armonizza le differenze ma non le annulla in una uniformità che rende gli individui intercambiabili come macchine o come formiche. Beati gli eccentrici, quindi, purché ci sia un centro.

Seneca, Aristotele e Voltaire

L’omosessuale si tenga le proprie inclinazioni: nessuno dotato di ragione gliele contesta. Sono piuttosto quegli stessi che lo deridevano o lo mandavano in galera in nome di una dottrina impiantata sul controllo delle coscienze che oggi in nome di un’altra dottrina meno definita ma ugualmente impiantata sul controllo delle coscienze a volerci imporre come norma quelle inclinazioni. La stessa intolleranza di ieri si ripete nell’intolleranza di oggi, nelle chiassate dei gay pride, nella violenza perpetrata contro il senso del pudore e la riservatezza, nell’oltraggio agli aspetti più squisitamente riservati dell’esistenza, nella censura. E non è un caso che quelli che hanno inventato l’omofobia sono gli stessi che hanno arricchito il vocabolario col negazionismo, che dai campi di sterminio si è trasferito al Covid, ai cambiamenti climatici, agli “orrori del fascismo” e ora all’aggressione dell’Ucraina, roccaforte dell’occidente, della democrazia, della libertà, screditando così il sacrosanto rifiuto dell’antisemitismo.
Una caccia alle streghe senza fine, una pulsione irrefrenabile al crucifige e sul piano psicologico il bisogno di placare i demoni che si agitano nel proprio animo scagliandosi contro l’Avversario esterno. L’omofobo vero è uno che non accetta la propria omosessualità, non si accetta e gli torna comodo pensare che siano gli altri a non accettarlo, come quel politico che vorrebbe il carcere per chi manifesta opinioni che lo mettono in crisi. Già, le opinioni. Non sorprende che quelle fuori del coro diano fastidio; è normale che il dubbio turbi i sogni del benpensante, sconcerti le teste rigide, disorienti chi ha faticosamente acquisito delle certezze e non sopporta che vengano messe in discussione, che sia la guerra di popolo che ha spazzato via il fascismo o la passeggiata di Armstrong sulla Luna o il proditorio attacco della Russia a all’Ucraina. Ma è pur vero chele opinioni non sono di per sé legittime e una società ben ordinata non ha affatto l’obbligo di consentirne sempre e comunque l’espressione e la diffusione. Se, per esempio, qualcuno sostenesse che il disabile – il malriuscito per dirla con Nietzsche – è un peso e una vergogna da rimuovere come in certi periodi hanno fatto gli antichi, sarebbe opportuno sanzionarlo e esporlo alla pubblica riprovazione; lo stesso per chi difendesse l’antisemitismo o la deportazione degli ebrei perché anche se queste opinioni non hanno possibilità alcuna di trasformarsi in azioni la loro espressione va punita in quanto incompatibili con la civiltà .

Angelo Panebianco

Ma il regime non è di questo che realmente si preoccupa; non è scalfito dalla diffusione di opinioni aberranti ma è piuttosto terrorizzato dalla diffusione di notizie vere che cozzano contro la vulgata sulla quale esso stesso si regge. Il generale ha enunciato fatti incontrovertibili – non opinioni – che riguardano la famiglia, l’energia, l’ambiente, la patria, l’immigrazione illegale ma è soprattutto sospettato di voler enunciare altri fatti incontrovertibili che riguardano l’impiego dell’uranio impoverito con la scia di morti che ne èseguito – una faccenda sepolta sotto la polvere dell’omertà -, l’assurdità della partecipazione dell’Italia alla guerra della Nato contro la Russia, i rischi anche militari che questa comporta per il Paese e il malumore che serpeggia nelle forze armate. Una bocca da chiudere, insomma, non perché ha urtato la suscettibilità della lobby gay, dell’universo che ruota intorno all’invasione di clandestini o dell’ambientalismo di risulta ma perché l’affaire ucraino è una bomba che rischia di scoppiare in mano ai camerati e ai compagni; e mi auguro che Vannacci abbia spalle robuste e ben coperte. Me lo auguro perché so che l’analisi – chiamiamola così – di Angelo Panebianco che identifica nell’omicidio politico il discrimine fra democrazie e autocrazie non è solo sbagliata perché rimuove eventi passati ma rischia in ogni momento di essere clamorosamente smentita nel presente. E se quella bomba scoppia il Pd dovrà andare a nascondersi dietro un nuovo nome ma in un modo o in un altro potrà tornare a poggiare sullo zoccolo duro della sua base elettorale ma la fiammata elettorale della vecchia Fiamma già alle prossime elezioni europee diventerà un fuoco fatuo.

Pierfranco Lisorini

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