IL SOLILOQUIO DELL’ANIMA (I)

In via sperimentale, l’immagine di chi parla, premessa visiva del podcast dell’articolo, intende favorire un più “duale” rapporto tra autore e lettore-uditore

Prendo spunto, passim, dall’ascolto di alcune conferenze nelle quali Umberto Galimberti delinea il proprio pensiero su temi apparentemente lontani tra loro, ma per i quali egli trova il filo conduttore, nascosto ad un osservatore di superficie.
L’assunto di base è la follia che abita in tutti noi quando ci isoliamo nella solitudine privata e lasciamo scorrere liberamente i nostri pensieri. Ripercorrendoli successivamente, ci accorgiamo che essi non sono correlati da alcun nesso logico, da alcuna razionalità: pure divagazioni. È un soliloquio dell’anima, in piena libertà, senza inibizioni.

Le sovrapposizioni, su una stessa lastra, di successive fotografie di luoghi diversi ripresi in istanti e angolazioni successive, rendono intuitivamente l’idea della compressione di spazio e tempo da molteplici ad uno: un’ombra dell’eterno presente e del collasso spaziale in una singolarità. Partendo da una tabula rasa, bianca, a denotare l’assenza totale di informazioni, si arriverà, dopo un numero sufficiente di sovrapposizioni, ad una tabula nigra, che indica, di nuovo, l’assenza di informazioni a causa del loro eccesso: un indistinto rumore di fondo, la massima entropia

Il massimo di questo iato tra un pensiero e l’altro si verifica nel sonno, durante il quale i sogni infrangono il principio di non contraddizione, il nesso causale, i nostri spostamenti in termini spazio-temporali. Mentre dormiamo, i limiti vigenti nella veglia svaniscono, come pure la volontà, la ragione, l’individualità: ora son io, ora son altro, maschio o femmina, qui e ora e/o in tempi e luoghi remoti. La nitidezza del quotidiano scade in una sfocata irrealtà che Galimberti chiama l’indifferenziato.
La domanda sottesa a tutto ciò è: qual’ è il mio vero io? Quello solare, della mia adeguatezza alle convenzioni del vivere comune, o non piuttosto quello lunare, della fuga nell’incoerenza e nell’astrattezza, in sintesi nella follia? Una fase lunare che appare anche alla luce del giorno, quando siamo distratti, quando la nostra mente si astrae, anche per pochi secondi, e il tempo non scorre più, avvicinandoci alla sospensione del tempo che connota l’eterno, secondo la visuale di un altro grande pensatore, il compianto prof. Giorgio Girard, per oltre 20 anni Presidente dell’associazione finalese Domenica Est.

La nostra Luna e Mimas, una delle lune di Saturno. Sembrano due lastre impressionate dalla somma di innumerevoli impatti di corpi celesti attraverso i millenni. Segni mnemonici non correlati in caotica compresenza

Orme indifferenziate sulla sabbia di innumerevoli calpestii, senza distinzione di tempi ed autori. Unica costante: l’indeterminatezza, come anche in quell’accrocco spazio-temporale (entanglement) che contraddistingue i sogni

La nostra vita è, sin dall’inizio, una lotta della follia per non lasciarsi confinare nell’irrilevanza e cedere alla razionalità dell’ortodossia comportamentale.

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Ma ci sono intervalli dell’esistenza in cui la follia prende il sopravvento; e non solo per precipitarci nel confinamento forzato dei casi estremi, ma per riversare questa iniziale singolarità e incomunicabilità nella condivisione con un’altra anima, presa dalla stessa follia. Due innamorati presentano l’unico caso in cui l’inintelligibile diventa intelligibile, ma solo all’altra “metà” di noi.
L’amore riesce a sconfiggere l’incomunicabilità degli individui mediante la confluenza di due anime in una, ritrovando la primigenia forma androgina, simbolo dell’autosufficienza spirituale e carnale. Simbolo in quanto unione, in opposizione a “diavolo”, in quanto separazione, individuazione (διαβάλλειν = diabàllein), che connotano gran parte della nostra esistenza sociale.
Stimolante l’interpretazione di Galimberti del duale nella lingua greca. Oltre alle declinazioni per noi usuali di singolare e plurale, il greco riserva il duale ad una coppia di persone, in tal mondo astraendole, privilegiandole rispetto all’io, al tu, al noi, al voi, al loro. A ben rifletterci, la lingua greca ha voluto col duale distinguere il rapporto di coppia sia dalla solitudine individuale che dalla molteplicità del plurale, astraendosi la dualità dall’una e dall’altra condizione per superarle in un rapporto più intimo o confidenziale. Quando parliamo a tu per tu con un altro, siamo molto più veri di quando gli interlocutori sono plurimi.
La ricchezza espressiva del greco antico è tale che Galimberti la pone al vertice delle lingue, affiancata solo dal tedesco: le uniche due lingue in grado di partorire la filosofia, madre della spinta a riflettere sulle cose del mondo e sull’intimo dell’anima, madre insomma della meraviglia, dello stupore di fronte agli enigmi che l’esterno e l’interno di noi ci mostrano o dissimulano, come per incanto.

Il diavolo, visto come il padre dell’individualismo estremo, dell’atomizzazione sociale. L’oggi è contrassegnato dall’io e dai suoi spazi privati, abbandonando gli esterni all’incuria e al caos. Di più, l’uomo si erge a centro e padrone del mondo, condannando a morte ogni altra forma di vita esterna al suo habitat

Nel mondo odierno, in cui tutto è visto sulla base della sua utilità/sfruttabilità in termini economici, e in subordine finanziari, col denaro eretto da mezzo a fine, suonerebbe coerente la definizione che della filosofia dava Aristotele, ribattendo alle critiche della sua inutilità: “Sì, la filosofia non serve a niente. Per questo non è serva di nessuno”.
E contraria definizione può estendersi, filosoficamente, al concetto di Dio, e quindi alle religioni rivelate e monoteistiche: ebraismo, cristianesimo, islamismo. Tra esse, la più folle fu proprio il cristianesimo, che osò erigere al rango di Dio un uomo, che Ario prima, e Maometto poi, ridussero alla figura di profeta, privandolo dell’aura di divinità. Dio e uomo insieme, a significare la superiorità, ergo supremazia, dell’uomo su ogni altra forma di vita, quasi esistessero in sua funzione. Di qui, poi, il passo ad un Dio antropomorfo è stato breve.

CONTINUA

Marco Giacinto Pellifroni  14 gennaio 2023

 

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