CAPITALISMO DI GUERRA

Ucraina, Gaza, Balcani, mar Rosso, Oceano Pacifico: il fragore delle armi sembra proprio interpretare lo spirito del tempo.

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Ormai è da tempo assente non solo il Movimento per la Pace ma anche una qualche soggettività politica ispirata all’internazionalismo: all’orizzonte non si scorge neppure un timido tentativo sul modello di ciò che avvenne, durante la prima guerra mondiale, a Zimmerwald e Kienthal mentre l’attualità è segnata dalla caduta di ruolo degli organismi sovranazionali e da una colpevole sottovalutazione della realtà geopolitica in atto di coincidenza tra la NATO e l’Unione Europea, in previsione delle elezioni del Parlamento di Strasburgo.

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Scrive “Le Monde Diplomatique”: “Dal 1932 al 1934 le grandi potenze organizzarono a Ginevra una conferenza mondiale sul disarmo per evitare una deflagrazione generale. Quello che accadde in seguito è ben noto. Un secolo dopo l’industria della difesa è più in forma che mai. Stimolata dall’aggressione russa all’Ucraina e delle tensioni geopolitiche in Asia e Medio Oriente, registra cifre di vendita record, per la gioia degli azionisti”.

Guardiamo alle cifre elaborate dall’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri): la spesa militare globale che tra il 2022 e il 2023 è aumentata per l’ottavo anno consecutivo è al livello più alto degli ultimi trent’anni, dalla fine della guerra fredda.

Si tratta di 2.055 miliardi di euro, pari al 2,2% del PIL mondiale.

Dal punto di vista dei venditori di armamenti, scontando la Russia le sanzioni, al secondo posto dopo gli USA si colloca la Francia con un totale di 27 miliardi di euro (dati 2022), una posizione raggiunta soprattutto grazie al “contratto del secolo” ottenuto da Dassault dagli Emirati Arabi Uniti.

Oltre agli altri produttori di armi europei, Gran Bretagna, Germania, Italia e Spagna stanno facendosi avanti nuovi attori: in particolare la Corea del Sud già compresa nella Top 10 che punta apertamente al quarto posto dopo Francia e Russia.

Nelle prime 15 industrie militari come volume d’affari (sempre dati del 2022) si trovano 7 aziende USA, 4 cinesi, 2 francesi,1 britannica e 1 italiana (Leonardo) con una crescita complessiva in borsa tra il settembre 2021 e il gennaio 2023 superiore al 200%.

Vanno ricordati ancora, al di fuori dal recinto del riarmo più o meno tradizionale, la fabbricazione di strumenti per l’esplorazione dei fondali marini nonché le armi ipersoniche (terreno di competizione tra americani e russi cui sono interessati una molteplicità di eserciti). Senza dimenticare le attrezzature per la cyber-protezione e il cyber-attacco, gli strumenti per la guerra dell’informazione o per la difesa delle reti di comunicazione; per non parlare della progettazione di future versioni di carri armati, aerei da combattimento e navi da guerra con traguardo 2025-2045.

Insomma: cresce lo spazio per il capitalismo di guerra.

Franco Astengo

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