Il pericoloso allargarsi del conflitto

Israele pur di garantirsi la sicurezza, e magari Gaza, o, forse meglio, Gaza con la scusa di garantirsi la sicurezza, non bada a spese.
Solo che sono spese in gran parte fatte pagare ai gazawi, e che mettono in pericolo l’intero equilibrio mondiale, come dimostra il coinvolgimento più o meno diretto nelle ostilità degli Houthi, dell’Iran, del Pakistan, del Belucistan, della Siria e di Hezbollah.
Non bada a spese perché sa di poter contare, tra gli altri, su due scudi formidabili.

Uno è quello di essere in pratica il 51° Stato degli USA, il più geograficamente lontano, ma anche il più importante, per cui Israele sa che in qualsiasi evenienza ci sarà sempre la “madrepatria” a proteggerlo. Persino quando si trattasse di costringerla a fare l’imbarazzante parte di esercitare il diritto di veto, unico Stato sui 15 presenti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU l’ 8 dicembre scorso, quando si chiedeva un “Cessate il Fuoco umanitario immediato” nella Striscia di Gaza.
Senza infatti attacchi così indiscriminati e azioni sproporzionate, protratte e violentissime su Gaza, azioni che ormai hanno causato quasi 25.000 morti per i bombardamenti e chissà quanti altri per le conseguenze in termini di fame, freddo, mancanza di cure, epidemie, la pirateria degli Houthi non si sarebbe attivata, l’Iran e il Pakistan non si sarebbero vicendevolmente colpiti, gli USA e il Regno Unito non sarebbero intervenuti allargando il conflitto… e insomma non si sarebbero accesi pericolosissimi focolai fino a quel momento dormienti, nonché la mobilitazione, fin’ora per fortuna solo diplomatica e politica, di grandi potenze militari quali Russia, India, Cina…

L’altro scudo è quello di recepire e pretendere che si recepisca qualsiasi critica gli venga rivolta come astio e pregiudizio antisemita.

La ricaduta che essi creano la possiamo vedere in diversi fatti, conosciuti da molti ma denunciati se non proprio da nessuno, da pochissimi, nonostante la loro gravità e il loro peso morale e politico. Ne bastino due a titolo esemplificativo:

– Israele ha un arsenale nucleare di almeno 80 bombe atomiche ( citazione per difetto, poiché c’è chi gliene attribuisce più di 200 ). A differenza di altri 188 Stati, assieme ad India, Pakistan, Corea del Nord e Sud Sudan, non ha aderito al Trattato di Non Proliferazione Nucleare. Cosa anomala, in termini statistici, ma non illegale.
Ciò che invece risulta francamente illegale, è che a differenza di USA, Regno Unito, Francia, Cina Russia, Pakistan, India e Corea del Nord, cioè gli 8 Paesi che ufficialmente hanno il possesso di testate nucleari, Israele non nega e non conferma di averle, sebbene che le possieda lo abbia ammesso persino un suo ex Primo Ministro, Ehud Barak, e sebbene già lo avesse rivelato nel 1986 al “Sunday Times” l’attivista e tecnico nucleare ebraico-marocchino Mordechai Vanunu.
Il quale infatti fu sequestrato dai Servizi Segreti israeliani ( di nuovo illegalmente visto che in quel momento si trovava su suolo italiano ), drogato e portato in Israele chiuso in una valigia, processato in segreto, condannato a 18 anni di prigione durante i quali fu, secondo ciò che egli ha dichiarato, torturato, e tenuto per 11 anni in completo isolamento, pagando quindi molto cara la sua rivelazione fatta, così come dal virgolettato di “Asia News”, “per motivi di coscienza cristiana e civile”.
E a proposito, la conversione dall’ebraismo al cristianesimo di Vanunu, per i militari e politici israeliani proverebbe la “instabilità mentale” e la “deficienza caratteriale” del soggetto, mentre per il leader del Partito Laburista e poi Presidente dello Stato Shimon Peres, era equiparabile per gravità al delitto di alto tradimento.

– Giustamente si pretende che quanto compiuto da Hamas sia dichiarato un atto di terrorismo.
Il fatto che la notizia di 40 neonati israeliani sgozzati nel blitz del 7 ottobre 2023, mai provata, fosse stata divulgata di fretta, senza i necessari accertamenti sulle fonti e solo in base alle dichiarazioni di un portavoce di Netanyahu, abbia costretto la giornalista della CNN responsabile della notizia stessa, Sara Sidner, a chiedere scusa per la sua mancanza di correttezza deontologica e la sua superficialità, non toglie che migliaia siano stati i morti tra i civili israeliani, che ancora adesso molte persone prese in ostaggio stiano soffrendo in qualche tunnel sotto Gaza, e che altre siano costrette a vivere ogni giorno da più di cento giorni soffocate da un’ansia indicibile nell’attesa della loro liberazione.
Per rendere credibile non il fatto in sé dell’attacco al kibbutz, che solo uno psicopatico potrebbe mettere in dubbio, ma la sincerità e onestà di coloro che questa condanna formalmente chiedono, bisognerebbe che essi si pronunciassero al riguardo di alcuni personaggi di primissimo livello della storia politica dello Stato israeliano. Un pronunciamento che, quantomeno dopo il 7 ottobre, non pare ci sia stato.
Altrimenti si sarebbe, per esempio, dovuto dire dei crimini di Sharon ( si veda la vicenda di Sabra e Shatila ), di Rabin ( si veda la vicenda di Lydda e Ramle nonché l’ “Operazione Responsabilità” ), di Begin ( si veda la vicenda, con 91 morti, del King David Hotel ); e si sarebbe altresì dovuto dire che sono terroristi quei militari e quei cecchini che sparano sui giornalisti, presenze evidentemente importune e imbarazzanti (si veda la vicenda di Shireen Abu Akleh con lo strascico grottesco del suo funerale, e quella del reporter Wael al-Dahdouh, a cui in ottobre un raid delle forze israeliane ha ucciso la moglie, un figlio, una figlia e un nipote, e poi, il 7 gennaio ’24, Hamza al-Dahdouh, un altro suo figlio, giornalista come lui, colpito da un drone mentre era in auto).

E’ giusto quindi condannare il terrorismo.
Ma sempre, senza esenzioni o dimenticanze di comodo, come nomi noti di televisioni e carta stampata hanno fatto fin’ora. A meno che in buona fede costoro non ritengano normale legare un uomo ad un albero e dargli fuoco, come accadde il 9 aprile 1948 a uno dei 254 palestinesi (dati della Croce Rossa) massacrati nel villaggio di Deir Yassin.

Fulvio Baldoino

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