Il marasma della politica italiana

Se viene meno un’alternativa credibile al governo dei “migliori”

Mario Draghi

Ora che comincia a raffreddarsi l’entusiasmo – del tutto ingiustificato – per l’emissario dei cosiddetti poteri forti insediato a Palazzo Chigi comincia a riaccendersi la polemica politica e se ne vedono di tutti i colori (e cambi di colore). La stella cadente di Berlusconi è ruzzolata fra le cinque stelle dove spera di trovare l’energia per sollevarsi sul Colle. C’è solo da sperare che la sua coda scintillante non illumini il portafoglio di qualche grillino. Intanto un giorno sì e l’altro pure Mattarella lancia segnali in codice che i giornalisti di corte leggono come indisponibilità a un secondo mandato. Le anime semplici si chiedono come mai non la dichiari apertis verbis. E mentre grandi e piccoli membri dell’Ue sigillano i propri confini Draghi proclama solennemente di porre fine al flusso migratorio proprio mentre nonostante la stagione le coste italiane sono prese d’assalto e la guardia costiera italiana fa a gara con le navi “umanitarie” nel salvare i disperati che scappano dalla Tunisia, dall’Egitto e dalla Turchia, Paesi notoriamente investiti da terribili calamità. Giorgetti dal canto suo ha messo mano alla carta costituzionale e ha deciso che l’Italia è una repubblica semipresidenziale (il semi esime dal voto) e Fedriga con un colpo di reni ha scavalcato Toti, si è aggregato al corteo di Speranza e finge di non sapere che il focolaio che ha determinato l’impennata di contagiati nella sua regione non sono i portuali e i dimostranti no green- passma è la Slovenia, come lo sono l’Austria e la Baviera per l’Alto Adige.

Massimiliano Fedriga

Ma guai chiedere se non la chiusura delle frontiere quanto meno uno straccio di controllo; i controlli si riservano agli italiani. Ai quali del resto non si chiede se sono o no contagiosi ma se sono in regola con i vaccini e hanno con sé la carta verde che garantisce l’immunità. Così ora lo scapestrato Fedriga, il sovranista Fedriga, il mezzo fascista Fedriga è diventato un politico e un amministratore di tutto rispetto, degno di raccogliere lo scettro di Bonaccini, un interlocutore privilegiato del governo di Salute Pubblica. E ancora Mattarella, questa volta non per enigmi ma a chiarissime note, ogni volta che le cronache danno notizia di sbarchi o di veri o presunti naufragi non perde occasione per raccomandare inclusione e accoglienza con uno zelo superiore a quello del papa argentino. Il quale, bisogna riconoscerlo, non è vincolato dalla costituzione italiana, che impone a tutti i cittadini, e quindi si presume anche al capo dello Stato, l’obbligo di difendere i sacri confini della Patria. Poi c’è l’inamovibile Speranza, sopravvissuto al Conte due, che, forte di non averne azzeccata una, continua a pontificare illudendo gli italiani con la storiella che una volta vaccinati tutti il virus scomparirà d’incanto. E porta come prova i numeri: aumentando i vaccinati diminuiscono i contagi: una rassicurante correlazione negativa.

Che, purtroppo, è falsa, come dimostrano Paesi come l’Irlanda, nei quali l’en plein del vaccino non ha impedito al virus di tornare all’assalto; e non tiene conto della circostanza che i contagiati guariti sono molti di più di quelli che risultano alle Asl (qual è il bottegaio che ai primi sintomi della malattia si è sottoposto al tampone con la certezza di dover chiudere la sua attività finché non si negativizza?) e a fronteggiare il virus sono proprio gli anticorpi di chi l’ha suo malgrado ospitato.  Di sicuro è più saggio correre il rischio di incorrere in “eventi avversi” col vaccino piuttosto che esporsi senza far niente al rischio del contagio, che se per molti si risolve in un leggero malessere di qualche giorno per altri – e non pochi come ammoniscono le cifre – è un calvario che porta direttamente in terapia intensiva e all’obitorio: ma non c’è alcuna necessità di mentire e raccontare balle: i vaccini contro il Covid- almeno quelli attuali – sono poco più che una pistola ad acqua. È certo che senza l’interessata drammatizzazione, senza il continuo allarmismo, senza i metodi polizieschi, senza lo stato di emergenza  quando ormai l’emergenza  è normalità non avremmo avuto un’opinione pubblica confusa, disorientata o esacerbata, non si sarebbe alimentato da un lato un pecorismo servile dall’altro un ottuso negazionismo, un paranoico complottismo e soprattutto una pericolosa sfiducia nelle istituzioni. Sfiducia che non è esclusiva della variegata minoranza dei no-vax o dei più che giustificati no green pass ma anche di tanti che in piazza non ci vanno, si vaccinano per scelta, rispettano le regole che ritengono giuste e ragionevoli ma provano un profondo disgusto per chi ci governa, che purtroppo si irradia su tutta la politica come dimostra la diserzione dalle urne. E più volgari sono gli insulti, più pesanti le minacce e il sarcasmo verso i pazzi, gli stupidi, gli ignoranti, i nemici dell’umanità che non si fidano del vaccino o negano l’utilità della carta verde più l’opinione pubblica si radicalizza e maggiore credibilità politica acquistano i contestatori.

Cacciari e Montesano

Fra i quali, ricordiamolo, ci sono vecchie icone della sinistra come Cacciari o Montesano, improvvisamente impazziti a sentire gente come Guzzanti o Sansonetti. Loro che, attenti ad ogni alzata di ciglia del Cavaliere, si sono prestati a interpretare il ruolo di utili idioti con l’illusione di contribuire all’accreditamento del capo.  Il Covid è una calamità che ci deve insegnare a mettere al bando gli apprendisti stregoni, non solo quelli con gli occhi a mandorla, che lavorano nei laboratori biochimici collegati con gli apparati militari (è semplicemente grottesca l’accusa che gli americani rivolgevano a Saddam Hussein di fare quello che lui non era in grado di fare ma  che le grandi potenze facevano  e continuano a fare  spudoratamente); è una calamità che un po’ i vaccini, quelli che ci sono e quelli che sono in preparazione, un  po’ le terapie, un po’ l’immunizzazione naturale che  è già in atto  – la stessa per la quale l’umanità finora non si è estinta  nonostante gli innumerevoli flagelli che l’hanno colpita – finiranno per neutralizzare, anche se probabilmente rimarrà endemica e suscettibile di periodici picchi epidemici.  La malattia e la morte non si sconfiggono ma se la seconda è ineluttabile e può solo in qualche caso essere procrastinata la prima è un mostro dalle cento teste che la medicina taglia ma fatalmente ricrescono: finita l’emergenza pandemica è questa la normalità, piaccia o no si convive con la vulnerabilità del nostro organismo. Ma l’emergenza della pandemia è stata in molti Paesi, fra cui l’Italia, anche un pretesto non solo per rafforzare il potere esecutivo, cosa inevitabile e perfino necessaria, ma per instaurare una vera dittatura di non eletti, appena contemperata dalla cooptazione di una parte dell’opposizione. E qui veniamo al ruolo di Salvini e della Lega. Covid a parte il nostro Paese si trova a fronteggiare tre emergenze strettamente connesse fra di loro, che indico in ordine di gravità crescente: l’abnorme divaricazione fra una  maggioranza di poveri  e una  minoranza di ricchi; il progressivo restringimento delle libertà individuali; la riduzione dell’Italia a pattumiera dell’Europa. Su tutte e tre queste emergenze il regime, vale a dire la sinistra, non solo tace ma si adopera attivamente per aggravarle esasperando la pressione fiscale che riduce in povertà la classe media, lucrando sulle porte spalancate agli invasori e approfittando della pandemia per liberarsi del controllo del parlamento nonché della volontà popolare. A contrastarlo avrebbe dovuto pensarci il centrodestra unito su preciso mandato dei suoi elettori. Ma i grillini hanno fatto scuola e dopo il voto a chi ti ha votato si fa uno sberleffo.  Del resto che il centrodestra non esiste più lo dimostrano i giornali di riferimento, ciascuno dei quali se ne va per conto suo, con posizioni diverse o addirittura opposte fra il Giornale, Libero e La Verità.

Non è solo la feroce polemica personale fra Sallusti e Belpietro ma è la linea sul governo, sulla sua politica economica, sulla gestione della pandemia: Il Giornale più draghiano dei compagni, Libero che invoca la repressione contro chi contesta l’efficacia salvifica dei vaccini, la Verità lasciata sola in compagnia del Fatto a rivendicare un minimo di trasparenza  e a ricordarci che Draghi non è l’uomo della provvidenza. Non solo non è l’uomo della provvidenza ma rischia di essere il becchino dell’Italia, tornata agli anni del vassallaggio alla Francia bonapartista e massonica. E Salvini che fine ha fatto?  Già, Salvini, mezzo al governo, mezzo all’opposizione, sbiadito nell’uno e nell’altro ruolo. La Lega al governo sembra al guinzaglio di Forza Italia che si identifica con Brunetta, il migliore alleato di Letta, e ogni giorno che passa perde credito e credibilità e non basta certo a restituirglieli il goffo tentativo di mantenere un ponte con la società civile mostrando un po’ di comprensione per le piazze che si oppongono alla tirannide sanitaria, in una sterile competizione con la Meloni, illusa dai sondaggi di essere una vera leader ma priva di uno straccio di visione politica. L’alternativa al regime dopo la tragicomica esperienza grillina non è interpretata dagli ex missini che superato il momento della nostalgia brancolano nel nulla della “destra moderna” verso la quale li aveva indirizzati il signor Turriani; ma a questo punto non è nemmeno la Lega, che avrebbe potuto e dovuto imporre la rimozione di Speranza e della Lamorgese per dare un minimo di decenza ad un governo di unità nazionale che è anzitutto di difesa nazionale. Non bastava il silenzio imbarazzato sugli sbarchi, non bastava l’oggettiva complicità con gli sbandamenti e l’allarmismo nella gestione della pandemia, ci voleva l’adesione convinta e soddisfatta a un provvedimento truffa come quello della revisione dell’Irpef.

Salvini, Berlusconi, Meloni

Non esiste un altro Paese al mondo in cui lo Stato affami i contribuenti predando col 38% redditi al limite della sussistenza e obbligando così chi può a evadere il fisco, col risultato che gli equilibri sociali ne risultano compromessi e la distribuzione della ricchezza fa dell’Italia un Paese del terzo mondo.  E ora per coprire questa magagna una copertina corta corta che Bonomi e i sindacati tirano da una parte e dall’altra lasciando equamente scoperto il costo del lavoro e lo stipendio dei dipendenti. Intanto nel corso di quest’anno disgraziato sono entrati in Italia 60.000 migranti illegali con un costo sulla comunità stimabile in almeno 2 miliardi e 700 milioni di euro, che si sommano, ovviamente, a quello delle centinaia di migliaia di irregolari già presenti sul territorio da mantenere di tutto punto. E Salvini? e la Meloni?  due paroline di disappunto ad ogni sbarco più consistente, come se la questione fosse secondaria e, quel che è più grave, una tacita concordanza con l’ipocrita ritornello dell’Europa che ci ha lasciati soli. Bisognerebbe invece gridare forte e chiaro che non solo i Paesi di Visegrád, non solo la Polonia ma tutti gli Stati europei hanno giustamente chiuso la porta in faccia ai clandestini e, Francia in testa, non ne vogliono far entrare più nemmeno uno. E allora è legittimo chiedersi: come mai a Bruxelles a Francoforte e a Strasburgo non si incoraggia l’Italia a respingere i cosiddetti migranti e a riportarli da dove hanno preso il mare?  Non sarà che l’Europa intende proseguire sulla linea dell’accoglienza e dell’inclusione facendone carico all’Italia dove, una volta entrati, i clandestini debbono rimanere? E non sarà che i fondi europei oltre a incatenarci all’Ue, oltre a indebitare le prossime generazioni, prevedono anche questo ricatto? Poi il grande evento, strombazzato come l’inizio di un nuovo asse che sposta verso sud il baricentro dell’Unione europea, il “patto del Quirinale” – a scriverlo rischio un attacco di orticaria – col quale l’Italia diventa ufficialmente il reggicoda della Francia che potrà così pesare di più nel vero autentico asse con la Germania. L’Italia sancisce la sua dipendenza energetica dal nucleare francese, avalla lo shopping su quel che di appetibile rimane nel nostro Paese, si impegna a non urtare gli agricoltori francesi e soprattutto giura che non accadrà più che a Ventimiglia si ammassino clandestini in cerca di un varco per la Francia. E la Lega che ci fa al governo? e l’opposizione della Meloni dov’è? Tout va très bien, madame la marquise, tiriamo a campare e pensiamo a intessere trame per la partita del Quirinale, con lo spettro di trovarci Draghi e l’incubo di un bis di Mattarella e una grande confusione nella testa del centrodestra. Il problema vero riguardo al Quirinale è quello di ricondurlo alla lettera e allo spirito della carta costituzionale: una funzione notarile e di rappresentanza, stop. Il governo deve rimanere saldamente nelle mani di quelli che il voto popolare vorrà eleggere. La cosa più saggia sarà allora far fronte comune con la pattuglia di Italia viva, gli uomini di Paragone e qualche grillino meno peggio degli altri per mandare sul Colle una delle due donne che più hanno titolo per salirci e chiuderla lì (di fronte ad una candidatura femminile i compagni sono spiazzati).

Mattarella, Macron Draghi il “patto del Quirinale” (foto ANSA)

Chiuderla e pensare al futuro, e al presente, del Paese con uno sguardo più attento ai problemi e alle difficoltà che lo attanagliano, che non sono solo le emergenze socioeconomiche e l’invasione di clandestini. C’è solo l’imbarazzo della scelta: dal dissesto idrogeologico aggravato dal fiume di chiacchiere esondato da oltre mezzo secolo al sistema formativo che ad ogni riformetta ha perso di efficacia e di efficienza (e ora è finito nelle mani dell’ultimo padrone) alla sanità vittima di un decentramento disastroso al welfare che non esiste per chi ne avrebbe veramente bisogno. I compagni hanno altre priorità: oltre alla strenua difesa delle posizioni acquisite la liquidazione di quel che resta della sovranità dello Stato, la riforma della lingua da passare al vaglio del politicamente corretto, lo svecchiamento di concetti e valori che rinviano alla sessualità organizzata su due generi, il bando alla genitorialità naturale – ohibò, animalesca – l’abolizione di ogni riferimento alla nazione o alla patria e, in cima ad ogni priorità, la morte programmata. Ma, al di là delle dichiarazioni di principio e delle promesse elettorali, lo schieramento liberale, nazionale, popolare è veramente in grado di guardare alle necessità vere del Paese? se continua a stringersi addosso a Berlusconi temo di no. Le avvisaglie non fanno presagire nulla di buono: due provvedimenti sciagurati – soprattutto per il modo col quale sono stati applicati – come il reddito di cittadinanza e il bonus ristrutturazioni, che avrebbero dovuto essere cancellati, sono stati rifinanziati e perpetuati su pressione anche di Forza Italia. Il piccolo proprietario che deve rifare un intonaco o sostituire gli infissi se è tanto fortunato o ammanigliato da usufruire del superbonus trova i prezzi triplicati, se non lo è ci deve rinunciare perché in giro non c’è disponibile nemmeno un muratore albanese.  I nostri politici lungimiranti non conoscono il confine che separa il sostegno a un settore in difficoltà da interventi che drogano il mercato del lavoro e il sistema produttivo.  Sul reddito di cittadinanza tutto quello che si poteva dire è stato detto: è servito solo a scoraggiare la ricerca di un lavoro e a rendere l’Italia una meta ancora più appetibile e quelli per i quali era stato pensato – vittime spesso incolpevoli dei casi della vita – sono rimasti a bocca asciutta, continuano a dormire in macchina, a fare la fila alla Caritas o a cercare la soluzione in una corda a cui appendersi.

Pierfranco Lisorini

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