IL LASCITO DI BIDEN A TRUMP

Nel febbraio 2018 scrissi su queste pagine un articolo inteso a tirare le somme sulla politica di Donald Trump ad un anno dal suo insediamento alla Casa Bianca [VEDI]. Il suo contenuto è tuttora valido, e il programma di Trump non fa che ricalcare i suoi passi, interrotti per un mandato, e più che mai deciso a continuarne l’attuazione.
Joe Biden lascia a Trump un’America in grande difficoltà finanziaria, con la spesa per interessi cresciuta in maniera drammatica a partire dal 2020, come appare chiaramente da questo grafico, in miliardi di dollari [VEDI]:

In sostanza, a fronte di un Pil di $ 28.781 miliardi, il debito federale è di $ 34.831, con un rapporto debito/Pil di oltre il 121%. Se guardassimo un grafico della spesa pubblica, vedremmo che il suo andamento segue fedelmente quello degli interessi, che dal 2020 subirono un’impennata per contrastare il risveglio improvviso dell’inflazione, col risultato di oltre € 1 trilione di interessi annui, sottratti alla spesa pubblica.
Si dirà: un rapporto debito/Pil del 121% non è poi così drammatico, se solo pensiamo all’Italia, che viaggia intorno al 143%, o addirittura al Giappone, che raggiunge il 250%. La differenza sta nel fatto che il debito pubblico italiano è in mani straniere per il 27% del Pil [VEDI], quello giapponese per il 10%; mentre quello americano per il 60% [VEDI].
Un rapporto così alto rappresenta il tallone d’Achille degli USA, significando che essi si reggono in parte maggioritaria su finanziamenti esteri, esponendoli agli umori dei mercati, nonostante la loro valuta sia stata sinora considerata così solida da costituire bene di riserva, equiparabile all’oro. Ho sottolineato “sinora”, in quanto si è profilato un grande avversario di questo sistema dollaro-centrico: i BRICS. Un pericolo ben chiaro agli occhi di Trump, che nella sua campagna elettorale non si è stancato di ripetere quanto la difesa del dollaro sia fondamentale per la supremazia degli USA.

Sono lontani i tempi in cui circolavano questi dollari “pagabili a vista al portatore”, si intende in oro equivalente. Dall’epoca in cui vigeva questa equivalenza il dollaro ha perso il 92% del suo potere d’acquisto. Trump è ben conscio dell’importanza di un dollaro forte, e la sua rimonta costituisce uno dei suoi traguardi. Aggiungo io che è facile farne crescere il valore trascurando l’ambiente. Ma i nodi, più prima che poi, verranno al pettine 

E Trump non ha cambiato l’atteggiamento tenuto nel precedente mandato, di combattere a spada tratta le cause di questo stato di precarietà finanziaria degli Stati Uniti, che oggi, nonostante gli atteggiamenti imperiali, non è poi molto diversa da Paesi ben più poveri, proprio a causa della loro dipendenza dai finanziamenti esteri.
Trump è ben conscio che l’attuale malessere americano affonda le radici negli anni ’90, quando il crollo del principale nemico degli USA infuse in essi un senso di onnipotenza, tanto da dar vita all’effimero periodo della globalizzazione, che era poi sinonimo, tra l’altro, di delocalizzazione del lavoro fuori dai propri confini, in base ad una miope equiparazione dei profitti all’esternalizzazione di inquinamento e sfruttamento salariale fuori dai propri confini. [Accenno qui di sfuggita alla “finanza creativa” cui dette la stura Bill Clinton nel 1999, abolendo la separazione tra banche di deposito e banche d’affari, tenute separate da apposita legge dopo le intemperanze degli anni ’20. Su questo versante, però, Trump appare assai più benevolo verso nuove forme di neoliberismo finanziario, tra le quali spiccano le criptovalute, la cui volatilità è dovuta all’assenza di un sottostante e, come ben sottolinea Paolo Savona, presidente Consob e malcelato sovranista, alla mancanza di un creditore [VEDI]].

Alle criptovalute Trump ha riservato sulle prime un giudizio negativo (“basate sul nulla”), per poi sterzare verso la loro piena accettazione, persino nella propria cassaforte. Tanto che la sua rielezione ha spinto verso i massimi storici sia loro che la galassia Tesla/Elon Musk

Il risultato di questa “genialata” è stata una crescita senza precedenti della disoccupazione in patria, coniugata con una pari crescita del credito da parte delle nazioni dove si era traslocato il lavoro, in primis la Cina, che con i dollari accumulati acquistava Buoni del Tesoro americani (treasury), a tassi dipendenti dal mercato, facendo da stampella finanziaria agli USA.

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E proprio questo meccanismo spiega come mai il debito pubblico USA sia tuttora detenuto al 60% da mani straniere. Mani peraltro sempre meno amichevoli; tanto meno quanto più i BRICS ostili si estenderanno a nuove nazioni in cerca di una rivalsa a decenni di dominio americano e ai prestiti iugulatori di FMI e BM.
Se Biden non ha neppure tentato di arginare questa deriva, acuendola addirittura con l’immigrazione facile, ossia con una replica in patria del lavoro a basso costo, Trump ha progetti radicalmente diversi, erigendo un muro lungo la frontiera messicana, progettando di sbarazzarsi dei clandestini* e conseguente lavoro nero, chiudendo gli USA in una gabbia di dazi e aiuti di Stato (leggi: abbassamento delle tasse alle industrie) per maggiormente indurle a “tornare a casa”.    
Un ritorno a casa agevolato altresì da un atteggiamento molto lassista nei confronti della difesa ambientale; che è il solito prezzo da pagare per aumentare i profitti privati e socializzare le perdite, disseminando l’entropia nell’ambiente, in pratica riportando in casa quella sinora confinata altrove. Il prezzo per tenere lontani fabbriche e inquinamento lo si pagava stampando moneta facile. D’ora in poi non sarà più così facile.
Sono questi i due poli incompatibili della mentalità della crescita, che nessuna nazione si è premurata di affrontare seriamente; e men che meno quella che tornerà ad essere l’America di Trump, sotto l’insegna MAGA, Make America Great Again.
>L’eredità che Biden passerà a Trump, d’altronde, è un’America fisicamente a pezzi, se pensiamo allo stato fatiscente delle sue infrastrutture, che richiedono investimenti trilionari per essere ammendate. Trilioni di dollari che semplicemente non ci sono. Infatti, sarà sempre più arduo far conto su compiacenti prestiti stranieri, man mano che il dollaro uscirà dalla sua centralità. L’ultimo articolo di una sovranista, familiare a chi mi legge, Ellen Brown [VEDI], fornisce un quadro desolante delle vetuste infrastrutture americane. La Brown parte dall’ultimo uragano Helene che ha devastato interi Stati, mettendo in particolare a dura prova le dighe (l’intero territorio americano ne conta a decine di migliaia), tutte costruite per far fronte ad eventi ben lontani da quelli estremi che stiamo sempre più subendo. E non devo qui sottolineare quali disastri comporti il cedimento di una diga in termini umani ed ambientali. Pertanto, il negazionismo climatico di Trump gli si ritorce contro, col lievitare esponenziale dei costi per far fronte al crescere in numero ed intensità dei fenomeni avversi che ne sono l’effetto. (Un problema che ci è purtroppo famigliare…).  

Una delle migliaia di dighe disseminate sul territorio americano, la maggior parte risalenti a più di mezzo secolo fa, quando il clima era ben diverso; e quindi non più adatte a resistere ai recenti fenomeni atmosferici estremi. Il tutto aggravato dal moltiplicarsi di agglomerati residenziali a valle

Nel solo North Carolina i danni causati dall’uragano Helene ammontano a circa $ 53 miliardi, che metterebbero a dura prova anche uno Stato sovranista, con l’emissione di tale importo, pur senza gli interessi che stanno strangolando un mondo imperniato su denaro a debito come quello attuale, pazientemente costruito nei secoli dal mondo bancario e finanziario, a scapito degli Stati.
Ecco, questi sono solo esempi di cosa si troverà a dover affrontare Donald Trump, dedito al risanamento economico e produttivo della nazione, ma dimentico delle crescenti catastrofi che questa voluta ignoranza delle cause comporta.

Quanto alle grandi città, la situazione debitoria è quanto mai allarmante, come chiaramente esposto nel video che segue:

In un simile contesto, stride notare il fiume di soldi, aiuti umanitari e armamenti inviati da vari attori a sostegno dell’Ucraina, mentre i loro territori si sfaldavano per il dissesto idrogeologico dovuto alla scarsa manutenzione e messa in sicurezza; mentre lo stesso territorio ucraino affonda sotto i colpi incrociati dei due belligeranti. Aiuti che sono serviti soltanto a prolungare una guerra con un vincitore designato sin dall’inizio.
Ma sembra che il peggio, per noi europei, debba ancora venire. Il misterioso piano di Trump per por fine alla guerra in Ucraina “in un paio di giorni”, che tutti pensavamo si riducesse al cessato invio di armi a Zelensky, potrebbe invece essere una ritirata degli USA di Trump dal teatro di guerra (del resto, di ritirate USA ne abbiamo viste parecchie, dopo il 1945), concedendo a Putin gran parte dei territori occupati, ma scaricando sulle spalle europee il costo della ricostruzione. E noi europei, dopo aver seguito gli USA come tanti cagnolini sotto l’egida UE, a scapito della nostra stessa economia, vedremmo l’istigatore tirarsene fuori e lasciare a noi la patata bollente. Grazie Ursula, grazie Giorgia, se finisse così, congratulazioni per l’ottimo lavoro! [VEDI] Con che faccia ci chiederete nuovi sacrifici, nuova miseria, per colpa della vostra dabbenaggine, del vostro servilismo?
Vogliamo adesso dare un’occhiata al fiume di soldi che già c’è costata l’avventura ucraina?

Europa prima con 156 miliardi, 3,4 dall’Italia. Dagli Usa armi per 71,8 miliardi [VEDI]

Gli Usa, al solito, sono stati i più accorti, trattandosi perlopiù di armamenti prodotti in casa, alimentando un Pil che dai tempi dell’ultima guerra non si reggeva più così sostanziosamente su spese militari. Mi chiedo come abbia potuto l’intera Europa cadere in un simile tranello.

* Ossia deportare, mentre noi ci balocchiamo sulla definizione di “Stati sicuri” e traslochiamo 8-12 migranti con navi da guerra in quel centro demenziale costruito, chissà perché, in Albania, con una magistratura che rema sistematicamente contro ogni tentativo del governo di arginare l’invasione di sconosciuti e indesiderabili.

Marco Giacinto Pellifroni     10 novembre 2024

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