Fra catastrofe nucleare e catastrofe demografica
Se la salvezza del pianeta è riposta nella denatalità
In Italia nel 2023 i morti sono stati 660.000 a fronte di 379.339 nuovi nati. Di questi una percentuale significativa sono stranieri di seconda o terza generazione; poiché considero la sostituzione etnica una prospettiva terrificante ma voglio essere ottimista ipotizzo che nel prossimo ventennio la presenza di stranieri si riduca alla percentuale fisiologica del 5%; un’ipotesi per altro non campata in aria ma fondata su diversi fattori: il freno all’immigrazione illegale che prima o poi dovrà essere posto perché dopo il fallimento della destra e la débâcle politica e culturale della sinistra è inevitabile un governo di ispirazione popolare e sovranista; la minore pressione migratoria conseguente l’anch’essa inevitabile stabilizzazione politica del medio e vicino oriente; la riduzione della prolificità degli stranieri. E anche se il trend negativo della natalità continuerà per un altro quinquennio per poi stabilizzarsi si può concludere che nel prossimo ventennio la popolazione italiana si ridurrà del 20% assestandosi intorno ai 47 milioni con 15 milioni di unità lavorative attive.
Nello stesso lasso di tempo i processi di automazione sono destinati a crescere incidendo soprattutto sulle attività manuali e quelle che richiedono minori competenze specifiche, il valore degli stipendi dopo il picco negativo è destinato a salire anche perché l’evasione totale da parte dei 55% dei produttori di reddito (lavoratori autonomi, liberi professionisti, negozianti, doppiolavoristi, pensionati) non può protrarsi ancora per molto – come il malgoverno del resto – compensando i costi di una drastica riduzione della pressione fiscale diretta e indiretta e dell’allineamento dei salari alla media dei grandi paesi industriali.
Insomma non voglio arrivare a dire che nell’attuale contesto la denatalità sia la manna dal cielo ma sono convinto che non sia nemmeno un disastro al quale porre rimedio incentivando l’afflusso di manodopera dall’estero. Semmai il problema nasce dal contrasto fra bassa natalità in Italia e alta natalità in Africa e Asia ed è su questa che la politica mondiale dovrà intervenire non solo per arrestare i flussi migratori ma per evitare che l’umanità finisca per collassare. Non è tollerabile che quando si va verso l’azzeramento della mortalità infantile e una continua crescita della speranza di vita ci siano aree del pianeta con oltre 3 figli per donna in età fertile causando una sovrappopolazione già ora intollerabile e destinata a divenire incompatibile con le risorse disponibili, che non sono incrementabili all’infinito nemmeno con la progressiva distruzione dell’ambiente.
Il problema, infatti, non è la denatalità, che alleggerisce il peso dell’antropizzazione ma l’eccesso di natalità. L’abbattimento della mortalità infantile da passo avanti della civiltà rischia di tradursi in una corsa verso il baratro. E nemmeno si può contare – come probabilmente fanno in certi circoli di miliardari fuori di testa – sulle guerre o su epidemie, magari create ad arte se diamo ascolto a complottisti paranoici che qualche volta ci azzeccano. Senza un deciso intervento internazionale basato su un piano strategico mirato non semplicemente a contenere ma a ridurre drasticamente il numero degli abitanti del pianeta Paesi come l’Italia a bassa natalità rischiano di non sopravvivere alla pressione delle aree in continua espansione demografica e per contrastarla si troveranno costretti a loro volta ad una politica in sé assurda di incremento della natalità. Infatti il contenimento delle nascite o si realizza ad un livello globale o finisce per ritorcersi sui Paesi più virtuosi.
E almeno sotto questo riguardo l’Italia dovrebbe essere un esempio per il resto dell’Europa. Non è più il tempo della carne da cannone, anche perché se c’è un futuro sarà un futuro senza guerre, e non è nemmeno il tempo delle braccia per l’agricoltura, che richiede programmazione, razionalità, competenze, meccanizzazione non masse di braccianti, o per l’industria, che va verso una sempre più sofisticata automazione e un personale altamente qualificato ma ridotto all’osso. Ma il capitale industriale non ha una visione strategica: bada al suo tornaconto immediato ed è fermo al rapporto fra domanda e offerta con l’obbiettivo di una manodopera sempre più a buon mercato. D’altronde gli affari sono affari e nel mondo dell’imprenditoria regnano il profitto, il contingente e un individualismo senza freni; il brutto è che la politica veicola l’ipocrisia e, peggio ancora, la sprovvedutezza: come accade con la deputata piddina che auspica un incremento dei flussi migratori per “ringiovanire” il Paese e riempire le culle vuote. E non dico delle responsabilità della Chiesa. Già l’Italia rischia l’identità per colpa di una scuola squinternata e un uso distorto della tecnologia: giovani inebetiti, praticamente analfabeti, ignari di ciò che accade intorno a loro; l’onorevole vorrebbe rincarare la dose puntando sui “nuovi italiani”. Non ci sono parole.
Sono consapevole che il contenimento delle nascite è un obbiettivo difficile da raggiungere; ma se dal 1990 ad oggi la popolazione del Pakistan è più che raddoppiata toccando la cifra monstre di 240 milioni e mezzo, se la Nigeria nello stesso periodo da 40 milioni di abitanti è passata a oltre duecento milioni, il Bangladesh, con un territorio che è meno della metà di quello italiano e che un secolo fa, su un’area più estesa, con 40 milioni di abitanti era considerato sovrappopolato ora ne conta 173 milioni e la curva non accenna a invertirsi, e sono tutti paesi poverissimi destinati a moltiplicare il loro tasso di inquinamento e distruzione dell’ambiente, la catastrofe non avverrà fra qualche secolo ma fra pochi decenni.
Non sono a rischio solo la flora o la fauna selvatica, come paventano gli animalisti, ma la stessa compatibilità della presenza umana nel pianeta.
Siamo fra Scilla e Cariddi: da un lato la follia di governanti – compresa la nostra Meloni – che ci porta verso l’apocalisse della terza e ultima guerra globale, dall’altro l’assenza di un’omeostasi interna al sistema che impedisca la deflagrazione della bomba demografica, non meno distruttiva di quella atomica. E quindi mi viene da concludere che quell’obbiettivo, difficile quanto si vuole, deve però necessariamente essere perseguito e raggiunto. L’altra minaccia annulla la prima ma è una ben magra consolazione; per allontanarla bisogna restituire alla politica il decoro perduto, fare in modo che non venga inquinata da persone che non sono culturalmente, intellettivamente, moralmente in grado di farne parte attiva, da riservare ai pochi o tanti che siano che abbiano interiorizzato l’evidenza che col ventesimo secolo si è chiusa la stagione delle guerre su vasta scala e col ventunesimo va chiusa anche quella dei conflitti locali perché non si può tollerare che venga acceso un fuoco davanti a una polveriera.
Nota finale
Per il momento rallegriamoci dell’uscita di scena della Kamala ridens ma ricordiamo che chi manovra dietro le quinte non si lascia sfrattare tanto facilmente. E Trump, se non intende cambiare pelle, ricordi il vecchio detto: non c’è due senza tre.
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