Un inatteso No Global: Donald Trump

UN INATTESO NO GLOBAL:
DONALD TRUMP

UN INATTESO NO GLOBAL:
DONALD TRUMP

 Chi l’avrebbe mai detto quando per le strade del mondo sfilavano le proteste contro la globalizzazione, osteggiate dai circoli del potere con manganelli e gas, che il comandante in capo della potenza che maggiormente l’aveva propugnata si sarebbe idealmente unito a quei ragazzi con jeans e tatuaggi nel rivendicare che “locale è bello”?

Cerchiamo adesso di fare una disamina spassionata delle politiche protezionistiche del nuovo inquilino della Casa Bianca: un poderoso colpo di freno alle tendenze in corso da almeno un trentennio, quando Reagan e Thatcher dominavano la scena mondiale.


Donald Trump.   Un sorprendente miscuglio di NoGlobal/NoGreen

Nel suo recente discorso a Davos, poi ribadito in quello sullo Stato dell’Unione, Trump ha biasimato la deindustrializzazione degli USA, avvenuta a causa della delocalizzazione di gran parte della produzione (eccezion fatta per gli armamenti, gelosamente trattenuti in casa). Delocalizzazione che, com’era facilmente prevedibile, ha causato una massiccia disoccupazione e, di conseguenza, un abbassamento dei livelli salariali, di fronte ad una crescente sproporzione tra domanda e offerta di lavoro.

L’immagine più pregnante di questa situazione fu quella di Detroit, rapidamente decaduta a mera sopravvivenza di quella che era stata, per più di un secolo, l’icona della “città dell’automobile”.

Il trasferimento in Paesi dove il lavoro è prossimo allo schiavismo e massimo è il disprezzo per l’ambiente ha comportato, negli USA e in Europa, la possibilità di varare a casa propria norme più stringenti sull’inquinamento industriale, spingendo ancor più le fabbriche rimaste a chiudere ed espatriare. Di contro, l’escalation della disoccupazione e del precariato, specie giovanile, riduceva la capacità di spesa di ampie fette della popolazione, sempre più costretta ad attingere dai risparmi familiari o dalle residue fonti di reddito improduttivo, come le pensioni dei più anziani. Tutto questo mentre lo Stato, dopo decenni di “buon padre di famiglia” grazie al welfare strappato dalle lotte sindacali e parasindacali, mostrava il suo volto più torvo e banditesco torchiando i cittadini con tasse e sanzioni sproporzionati alle loro disponibilità finanziarie: le multe stradali sono ormai parte dei bilanci preventivi degli enti locali per sopperire all’avarizia del governo..


Autovelox. Enti pubblici costretti a far cassa spacciandola per sicurezza

In una realtà come questa, l’Europa, vassalla dell’UE, rectius di una Germania avvantaggiata dal cambio fisso dell’euro, ha assistito all’impoverimento della gente comune e al crescere delle diseguaglianze, senza che in nessuno dei vari Stati emergesse un vero leader in grado di anteporre gli interessi della propria nazione a quelli propugnati da un lontano e opaco organismo come l’UE. Contro ogni pronostico, un leader siffatto compariva invece negli USA, ossia proprio nel Paese da cui il modello globale era nato e aveva fatto scuola: il dileggiato e screditato Donald Trump, un personaggio contrario ai cliché dei presidenti precedenti, ossequiosi dei dettami di Wall Street.

 
Artico, Antartico, Amazzonia: non ci sono più “santuari” ecologici

Quest’uomo ha capovolto le lenti con cui si era sin lì guardato il mondo, creando i presupposti per far rientrare le aziende fuggite nei paradisi salariali ed ambientali asiatici e tornare a dare occupazione ai lavoratori americani messi forzatamente a riposo dalle precedenti amministrazioni. E per esser ben certo della cessata convenienza a mantenere le produzioni all’estero non ha esitato a smontare gli indirizzi ambientali e commerciali delle passate amministrazioni: in pratica un futuro imbevuto di passato remoto. Due drastici colpi di manovella all’indietro in materia di regole ambientali e doganali, onde penalizzare le troppo facili importazioni. Per agevolare questa retromarcia ha dovuto negare evidenze palmari come il riscaldamento globale, rimettendo in pista i combustibili fossili di produzione americana, dal carbone al petrolio da scisti bituminosi, la cui estrazione è enormemente più devastante del petrolio “facile” del Medio Oriente ed altre aree…VEDI. Ciò in controtendenza a tutti gli indirizzi industriali, puntati ormai a senso unico verso le fonti rinnovabili. Con l’aggravante che gli USA sono stati autosufficienti per petrolio e materie prime sino ai primi anni ’70, mentre la loro voracità consumistica potrebbe presto portarli ad inquinare il loro territorio a livelli cinesi. Trump dimostra così la sua ambivalenza: è NO GLOBAL, ma insieme NO GREEN. 

Si sconquassano enormi territori per l’oro nero

È innegabile che il lavoro umano è stato svilito negli ultimi anni dall’irrompere di vari fattori di disturbo: sua rarefazione per la crisi economica e parallelo spostamento all’estero di numerose aziende; invasione di masse di immigrati di bassa qualifica e disposti ad accettare qualsiasi lavoro a qualsiasi prezzo, abbassando con ciò ogni possibile rivendicazione da parte dei lavoratori locali; crescente affidamento a computer e robot di mansioni sempre più specializzate.

Di fronte a ciò non si poteva rimanere inerti, come è successo qui in Europa, e in particolare in Italia, dove al massimo si è varato un Jobs Act, che ha soprattutto precarizzato e polverizzato il magro lavoro esistente. Ma la formula di Trump, di ritorno ai dazi e, ancor peggio, all’allentamento dei vincoli ambientali, è una valida soluzione? O non crea problemi ancora maggiori di quelli che ambisce risolvere? È forse migliore l’indirizzo di vari partiti italiani, che optano per un reddito di inclusione, di cittadinanza o come altro lo si voglia chiamare, sostituendo il salario con sussidi che non fanno che evidenziare l’inutilità dell’uomo?

 
Il dazio come antica difesa del lavoro locale e fonte di soldi per i Comuni

Si sta inaugurando un’era nella quale coesisteranno nazioni con diverse soluzioni al dramma del precariato e della disoccupazione dilagante, ambedue col corollario di una natalità in drastica discesa per l’insicurezza di un futuro che si presenta come un’esplosione dei problemi attuali.

Sembra che l’alternativa oscilli tra lavoro per tutti a costi ambientali insostenibili e lavoro per pochi in un ambiente sostenibile. Il dilemma degli anni ’70 “inquinamento o disoccupazione?” si è riproposto in tutta la sua drammaticità, e anzi amplificato dal raddoppio della popolazione e dalla parallela devastazione del pianeta alla ricerca di materie prime di sempre più difficile estrazione: si pensi solo alle trivellazioni in quelli sino a ieri considerati “santuari ecologici”, come Artico e Antartico, per non dire dell’Amazzonia, che santuario non è mai stato, anzi; e, per restare vicini a casa, lo stesso Mediterraneo, area di caccia di petrolieri internazionali.

Non c’è pace neanche sotto casa nostra e in tutto l’ex Mare Nostrum

Quando i partiti discettano di lavoro devono tenere a mente che esiste sullo sfondo una Terra, che non ha diritto di voto ma è il classico convitato di pietra ed è silenziosamente presente dietro ogni decisione politica. Neanche le generazioni future hanno diritto di voto, ma gli anni prossimi venturi saranno decisivi per la loro esistenza. O non esistenza.

 Marco Giacinto Pellifroni  4 febbraio 2018  

 

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