Gabriello Chiabrera e la cultura figurativa del suo tempo. Le lettere a Bernardo Castello

Lo specchio più completo degli interessi figurativi del Chiabrera e senza dubbio l’epistolario di 258 lettere inviate dal poeta Savonese al pittore Bernardo Castello (Genova 1557 1629) tra il 1590 e il 1619, ossia nell’arco di quasi trent’anni di costante affettuoso legame fra i due uomini.
Scritte ad uso privato, le lettere al Castello riflettono gli aspetti più liberi, meno convenzionali del gusto figurativo del poeta (oltre che del suo carattere) che, nei componimenti poetici destinati alla pubblicazione, risultano viceversa sacrificati ai canoni espressivi più ufficiali.
A saper leggere e interpretare le lettere al Castello rivelano una quantità innumerevole di sfaccettature, che non solo gettano luce sulla cultura figurativa del poeta e sulla biografia d’uomo e di letterato, ma forniscono uno spaccato tanto più interessante quanto ancora poco noto, del gusto, in fatto d’arte, d’un intellettuale del tempo. Purtroppo questa miniera informativa si arresta al 1619 precisamente al 6 giugno 1619 data dell’ultima lettera scritta dal Gabriele all’amico pittore da Firenze.
Restano quindi scoperti gli ultimi 19 anni di vita del poeta, e con essi, resta da verificare l’eventuale rivoluzione della sua cultura figurativa in un’epoca di grandi mutamenti artistici.
A questo scopo sarebbe stato assai utile conoscere il contenuto delle 24 lettere scritte dal Chiabrera il pittore genovese Luciano Borzone (Genova 1590 -1657) conservate dall’archivio comunale di Savona all’incirca fino alla metà del secolo scorso e oggi introvabili.
Col Borzone, i rapporti dovettero cominciare almeno nel 1612, e proseguire negli anni Venti e Trenta, come dimostrano le lettere del Chiabrera a P. Giuseppe Giustiniani, che presentano fino al 1632, diversi riferimenti al ”compare” Borzone, utilizzato spesso dal poeta  – anche a causa della giovane età – come tramite e galoppino nei suoi “negozi” genovesi.

Renato Giusto

Ma torniamo all’esame delle lettere a Bernardo Castello. Questi, di poco più vecchio del Chiabrera, non solo edita in ambito genovese la rete di committenze che era stata propria del suo maestro Luca Cambiaso, lavorando per le famiglie patrizie più in vista della città, come gli Spinola, gli Imperiali, i Centurione, ma svolge all’interno di questo contesto un ruolo di attiva partecipazione alla vita culturale del tempo organizzando presso la sua abitazione in Albaro una sorta di cenacolo di intellettuali e letterati.
Certamente vi dovevano partecipare poeti ben noti anche al Chiabrera come Ansaldo Cebà, Don Angelo Grillo e Leonardo Spinola che dedicarono al pittore componenti poetici celebrativi della sua arte in cambio dei ritratti che eseguì loro il Castello.
È in questo clima che il pittore genovese a Ferrara nel 1586, prende accordi col Tasso per l’edizione illustrata della Gerusalemme Liberata, che uscirà a Genova nel 1590, con le incisioni di Agostino Carracci e Giacomo Franco, tratte dai disegni del Castello e alla quale seguiranno, sempre con i disegni del Castello, le edizioni illustrate nel 1604 e del 1617.
Sono certamente questi comuni interessi culturali che almeno dal 1590, mettono in contatto il Chiabrera e il Castello, il momento è favorevole ad entrambi. Assente da Genova il Paggi fino al 1599, il Castello è incontrastato dominatore della scena pittorica genovese, il decoratore dei palazzi patrizi che, sulla scia del programma urbanistico alessiano, stavano sorgendo in Strada Nuova, così come nelle ville suburbane di Sampierdarena o di Albaro.
Analogamente il Chiabrera si avvia a diventare non solo il principale esponente della vita culturale savonese, ma una tra le figure eminenti del panorama letterario italiano.  Concluso l’irrequieto periodo giovanile romano (almeno dal 1561 al 1576), da saltuari rientri a Savona e da brevi soggiorni a Venezia, Torino e Firenze, la vocazione letteraria del Chiabrera si consolida e si afferma nel corso del nono decennio del secolo, con le prime importanti pubblicazioni di carattere epico lirico e, proprio nel 1590, con l’inizio della stesura della Amedeide. Sono gli anni in cui il poeta chiarisce anche i propri ideali di vita, coscienziosamente divisa tra il prediletto ozio letterario, ossia l’intimo raccoglimento nella quiete e serena della sua città e della sua casa, e l’indispensabili sortite a Roma, Bologna e presso le corti che ne richiedono l’opera, quella di Carlo Emanuele di Savoia, dei Gonzaga a Mantova e con maggiore frequenza, quella dei Medici.
Per la corte medicea il Chiabrera volentieri si adattava ad abbandonare periodicamente il raccoglimento della sua vita savonese. In essa egli doveva riconoscere un vero e proprio modello di corte principesca, in cui l’esercizio del potere politico si intrecciava armonicamente all’attivo patrocinio delle arti, dalla poesia al teatro, alla musica, alle espressioni figurative.

Renato Giusto

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